Chiarimenti sulla psicoterapia cognitivo-comportamentale
Buonasera a tutti volevo sapere i diversi punti di vista riguardo al passato nelle differenti tipologie di psicoterapia perché ho delle cose che mi sono chiare e altre no.
Ad esempio gli psicoanalisti lavorano principalmente sul passato, hanno la teoria che i problemi mentali siano comparsi, naturalmente in parte, da qualcosa che è successo nel passato...
In teoria si analizza e si comprende cosa è successo nel passato (non lo so io perché con la mia vecchia psicoanalista è andato tutto a tarallucci e vino)
Sono andata recentemente da una psicodinamica 1 volta, ha dato quasi tutta la responsabilità del mio malessere a mio padre.
E in tutto questo i cognitivo comportamentali dove si posizionano?
Gli passa per la testa l’idea che i problemi mentali derivano in parte anche dal passato?
Si può, con loro analizzare e capire cosa è successo nel passato? O ti fanno stare bene nel qui ed ora che comunque non è poco però io sento che voglio capirlo il mio passato
E poi un’altra cosa, l’analisi analizza
Ci sono andata 2 anni.
Analizza perché abbiamo un certo comportamento, le emozioni..
Ma i cognitivi-comportamentali analizzano?
Grazie
Non so... per voi magari sono domande stupide ma io mi faccio spesso queste domande
Ho un’altra domanda che vi sembrerà ancora più stupida ma la faccio lo stesso... uno psicoterapeuta (mi sembra sistemico-razionale) che lavorava in comunità dove sono stata un anno e poi scappata (forse se fossi rimasta di più a quest’ora starei bene... )
Insomma questo psicoterapeuta ha scritto sul suo profilo anche il fare è una forma di evitamento
Io ho pensato eh che cavolo, adesso inizio a lavorare, penso sia la migliore terapia pero se dopo 6 mesi non mi rinnovano il contratto e io ci metto un po’ per cercare un altro lavoro che faccio torno a stare male?
Da quella frase io capisco lavorate, fate sport, tenetevi impegnati ma fate anche psicoterapia intanto
Ad esempio gli psicoanalisti lavorano principalmente sul passato, hanno la teoria che i problemi mentali siano comparsi, naturalmente in parte, da qualcosa che è successo nel passato...
In teoria si analizza e si comprende cosa è successo nel passato (non lo so io perché con la mia vecchia psicoanalista è andato tutto a tarallucci e vino)
Sono andata recentemente da una psicodinamica 1 volta, ha dato quasi tutta la responsabilità del mio malessere a mio padre.
E in tutto questo i cognitivo comportamentali dove si posizionano?
Gli passa per la testa l’idea che i problemi mentali derivano in parte anche dal passato?
Si può, con loro analizzare e capire cosa è successo nel passato? O ti fanno stare bene nel qui ed ora che comunque non è poco però io sento che voglio capirlo il mio passato
E poi un’altra cosa, l’analisi analizza
Ci sono andata 2 anni.
Analizza perché abbiamo un certo comportamento, le emozioni..
Ma i cognitivi-comportamentali analizzano?
Grazie
Non so... per voi magari sono domande stupide ma io mi faccio spesso queste domande
Ho un’altra domanda che vi sembrerà ancora più stupida ma la faccio lo stesso... uno psicoterapeuta (mi sembra sistemico-razionale) che lavorava in comunità dove sono stata un anno e poi scappata (forse se fossi rimasta di più a quest’ora starei bene... )
Insomma questo psicoterapeuta ha scritto sul suo profilo anche il fare è una forma di evitamento
Io ho pensato eh che cavolo, adesso inizio a lavorare, penso sia la migliore terapia pero se dopo 6 mesi non mi rinnovano il contratto e io ci metto un po’ per cercare un altro lavoro che faccio torno a stare male?
Da quella frase io capisco lavorate, fate sport, tenetevi impegnati ma fate anche psicoterapia intanto
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Cara Eli_sa, forse senza saperlo sfiora un punto molto interessante e direi centrale nell attuale dibattito in merito alla efficacia delle terapie psicologiche (che non sono solo i due o tre approcci promossi in rete ma, almeno quelli che hanno una certa attendibilità, sono più di cento!)
E lo coglie con quella acutezza con cui lo colgono le persone che hanno esperienza del dolore e del disagio psicologico.
Ha raccontato molto di sé Eli_sa, di un passato travagliato, di una esperienza in comunità, di un passaggio da uno Psicologo all'altro, il "giro delle sette chiese ", di una permanente insoddisfazione in merito a questi trattamenti o percorsi; anche di un sua tendenza (mi permetto di alludervi ma potrei sbagliarmi) a controllare attraverso lo strumento del "sapere", del "sapere prima", del "sapere tutto": questa modalità potrebbe rinviare a una organizzazione delle Sue difese "molto alta", cioè sono difese intellettuali (non importa che Lei abbia la terza media o due lauree: qui i titoli di studio non c'entrano). Se fosse, sappia che è una difesa "tosta"... ma non impossibile da ammorbidire e modificare:)
Credo di comprendere la Sua storia di dolore e di smarrimento, ne ho ascoltate tante di simili. In tutti questi casi le pazienti, che venivano da me tutte dopo aver fatto il giro delle sette chiese, sembravano non aver mai considerato né fatto esperienza di una cosa semplice: ossia la relazione professionale con uno Psicologo è innanzitutto una relazione tra due persone: nella qualità di questa relazione passa più del 50% delle probabilità che il percorso vada a buon fine. Che poi il metodo sia questo o quello importa poco: importa la capacità umana del professionista di applicarlo adeguatamente nella relazione con ciascun singolo paziente che, prima di essere un "paziente" è una persona. È l'ascolto empatico e la comprensione dei disagi del paziente che devono indurre nello psicologo le modalità più adeguate per aiutare realmente il paziente. Il primo campanello di allarme che il percorso non sta andando bene è quando il paziente non si sente compreso, non si sente ascoltato, non si sente aiutato. Allora quello che non va non è il metodo più o meno di moda in quel momento, ma è la scarsa qualità della relazione tra persona e persona che si riflette nella scarsa qualità della relazione tra paziente e psicologo.
Questo non vuol dire necessariamente che quello psicologo non sia bravo, significa semplicemente che quel paziente non fa per lui (e viceversa!), significa che quella magica alchimia (Jung!) che dovrebbe avviarsi tra quelle due persone semplicemente non c'è. Capita. È un'esperienza dolorosa, capisco, ma tante sono ancora le possibilità di fare incontri più fortunati e importanti. Cara Eli_sa, là fuori il mondo è grande, tante sono le opportunità per conoscere persone che ci facciano sentire bene con noi stessi, con cui imparare a stare bene con noi stessi e con gli altri: e molte di queste opportunità non passano per forza dallo studio di uno Psicologo... Ci rifletta.
Un caro saluto Eli_sa con i miei migliori auguri per una vita serena che merita di vivere.
Dr. Claudio Puliatti
E lo coglie con quella acutezza con cui lo colgono le persone che hanno esperienza del dolore e del disagio psicologico.
Ha raccontato molto di sé Eli_sa, di un passato travagliato, di una esperienza in comunità, di un passaggio da uno Psicologo all'altro, il "giro delle sette chiese ", di una permanente insoddisfazione in merito a questi trattamenti o percorsi; anche di un sua tendenza (mi permetto di alludervi ma potrei sbagliarmi) a controllare attraverso lo strumento del "sapere", del "sapere prima", del "sapere tutto": questa modalità potrebbe rinviare a una organizzazione delle Sue difese "molto alta", cioè sono difese intellettuali (non importa che Lei abbia la terza media o due lauree: qui i titoli di studio non c'entrano). Se fosse, sappia che è una difesa "tosta"... ma non impossibile da ammorbidire e modificare:)
Credo di comprendere la Sua storia di dolore e di smarrimento, ne ho ascoltate tante di simili. In tutti questi casi le pazienti, che venivano da me tutte dopo aver fatto il giro delle sette chiese, sembravano non aver mai considerato né fatto esperienza di una cosa semplice: ossia la relazione professionale con uno Psicologo è innanzitutto una relazione tra due persone: nella qualità di questa relazione passa più del 50% delle probabilità che il percorso vada a buon fine. Che poi il metodo sia questo o quello importa poco: importa la capacità umana del professionista di applicarlo adeguatamente nella relazione con ciascun singolo paziente che, prima di essere un "paziente" è una persona. È l'ascolto empatico e la comprensione dei disagi del paziente che devono indurre nello psicologo le modalità più adeguate per aiutare realmente il paziente. Il primo campanello di allarme che il percorso non sta andando bene è quando il paziente non si sente compreso, non si sente ascoltato, non si sente aiutato. Allora quello che non va non è il metodo più o meno di moda in quel momento, ma è la scarsa qualità della relazione tra persona e persona che si riflette nella scarsa qualità della relazione tra paziente e psicologo.
Questo non vuol dire necessariamente che quello psicologo non sia bravo, significa semplicemente che quel paziente non fa per lui (e viceversa!), significa che quella magica alchimia (Jung!) che dovrebbe avviarsi tra quelle due persone semplicemente non c'è. Capita. È un'esperienza dolorosa, capisco, ma tante sono ancora le possibilità di fare incontri più fortunati e importanti. Cara Eli_sa, là fuori il mondo è grande, tante sono le opportunità per conoscere persone che ci facciano sentire bene con noi stessi, con cui imparare a stare bene con noi stessi e con gli altri: e molte di queste opportunità non passano per forza dallo studio di uno Psicologo... Ci rifletta.
Un caro saluto Eli_sa con i miei migliori auguri per una vita serena che merita di vivere.
Dr. Claudio Puliatti
Dr. Claudio Puliatti, psicologo.
Ricevo a Roma e Online.
www.psicologoclaudiopuliatti.com
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 330 visite dal 23/01/2025.
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