Incapacità di provare rabbia
Dunque, ho qualche difficoltà a spiegare quello che io sento come un problema ma che potrebbe benissimo rientrare a pieno titolo nel mio carattere.
Sono sempre stata una persona tranquilla, senza aver mai avuto scontri con altre persone, a partire dai genitori per poi arrivare agli amici. La figlia modello, l'amica ideale. Mai un litigio ma sempre piena comprensione.
Considerata da tutti una persona calma, pacata, serena, in quest'ultimo periodo mi rendo conto che questa mia "dote" si trasforma in un problema nel momento in cui non riesco ad affrontare lo scontro.
In questo ultimo periodo, causa scelte non condivise dai genitori, mi trovo ad affrontare discussioni che sì, mi portano dolore, mi feriscono e mi creano sofferenza, alle quali eppure non riesco a reagire, non provo rabbia nè riesco ad impormi in alcun modo.
Ho un padre estremamente autoritario, una figura che mi ha sempre intimorita malgrado fosse una persona amorevole, che mi ha sempre tenuta in palmo di mano, almeno fino a quando non gli ho arrecato deluscione. Mi sento vuota, in balia degli altri e con la ferma consapevolezza di essere sempre stata così, di essere cresciuta inadatta ad affrontare discussioni spiacevoli, incapace di opporre me stessa agli altri perchè sempre pronta a scendere a compromessi.
Da qualche mese a questa parte, analizzandomi spesso, mi rendo conto di essere diventata apatica, reagisco nell'unico modo che mi riesce lasciandomi scivolare addosso le parole altrui ma senza, comunque, riuscire ad oppormi. Mi scivola addosso anche la vita, le serate divertenti, le risate degli amici e dei colleghi.
Mi sento inadeguata nei confronti dei parenti, degli amici e del partner.
Ho provato ad affrontare la questione con una psicologa, ma non ho trovato altre risposte oltre a quelle che già da sola mi so dare.
Sapete consigliarmi qualcosa per uscire da questa situazione? Grazie in anticipo.
Sono sempre stata una persona tranquilla, senza aver mai avuto scontri con altre persone, a partire dai genitori per poi arrivare agli amici. La figlia modello, l'amica ideale. Mai un litigio ma sempre piena comprensione.
Considerata da tutti una persona calma, pacata, serena, in quest'ultimo periodo mi rendo conto che questa mia "dote" si trasforma in un problema nel momento in cui non riesco ad affrontare lo scontro.
In questo ultimo periodo, causa scelte non condivise dai genitori, mi trovo ad affrontare discussioni che sì, mi portano dolore, mi feriscono e mi creano sofferenza, alle quali eppure non riesco a reagire, non provo rabbia nè riesco ad impormi in alcun modo.
Ho un padre estremamente autoritario, una figura che mi ha sempre intimorita malgrado fosse una persona amorevole, che mi ha sempre tenuta in palmo di mano, almeno fino a quando non gli ho arrecato deluscione. Mi sento vuota, in balia degli altri e con la ferma consapevolezza di essere sempre stata così, di essere cresciuta inadatta ad affrontare discussioni spiacevoli, incapace di opporre me stessa agli altri perchè sempre pronta a scendere a compromessi.
Da qualche mese a questa parte, analizzandomi spesso, mi rendo conto di essere diventata apatica, reagisco nell'unico modo che mi riesce lasciandomi scivolare addosso le parole altrui ma senza, comunque, riuscire ad oppormi. Mi scivola addosso anche la vita, le serate divertenti, le risate degli amici e dei colleghi.
Mi sento inadeguata nei confronti dei parenti, degli amici e del partner.
Ho provato ad affrontare la questione con una psicologa, ma non ho trovato altre risposte oltre a quelle che già da sola mi so dare.
Sapete consigliarmi qualcosa per uscire da questa situazione? Grazie in anticipo.
[#1]
Gentile ragazza, trovo molto strano che la psicologa non abbia saputo darle altre risposte oltre a quella che lei stessa si è data - in pratica nessuna, se non ho capito male, se si esclude la laconica constatazione "forse è perché sono fatta così". È sicura - mi perdoni la domanda - che si trattasse davvero di una psicologa?
Dalla sua descrizione mi sembra che il suo umore sia un po' depresso e che la sensazione che prova sia un senso di colpa, che probabilmente sostituisce la rabbia e la forza di reagire che non trova. Se si è trovata a dover fronteggiare un padre con un carattere molto autoritario, è possibile che abbia "deciso" di sentirsi in colpa, piuttosto che reagire e ribellarsi. Ma è solo un'ipotesi.
Provi a leggere quest'articolo e veda se ci ritrova qualcosa della sua condizione attuale:
http://www.giuseppesantonocito.it/art_depress.htm
Cordiali saluti
Dalla sua descrizione mi sembra che il suo umore sia un po' depresso e che la sensazione che prova sia un senso di colpa, che probabilmente sostituisce la rabbia e la forza di reagire che non trova. Se si è trovata a dover fronteggiare un padre con un carattere molto autoritario, è possibile che abbia "deciso" di sentirsi in colpa, piuttosto che reagire e ribellarsi. Ma è solo un'ipotesi.
Provi a leggere quest'articolo e veda se ci ritrova qualcosa della sua condizione attuale:
http://www.giuseppesantonocito.it/art_depress.htm
Cordiali saluti
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#2]
Ex utente
Innanzitutto volevo ringraziare per la rapidissima risposta e per la disponibilità.
Per quanto concerne la Psicologa in questione, mi sono affidata al consultorio della mia città. Mi rendo conto che probabilmente io per prima potrei non aver avuto sufficiente pazienza o, forse, pretese troppo alte.
So che il problema non si sarebbe risolto in qualche seduta ma, dopo qualche mese, ho scelto di non andare più perchè il tutto si riduceva alla constatazione che soffro di una sorta di complesso edipico attenuato dal fatto che i miei genitori sono divorziati.
"Deciso" di sentirmi in colpa per timore di mio padre, intende?
Ho letto con attenzione l'articolo che ha riportato, grazie.
In alcuni punti, passaggi che riguardano lo "stato emotivo" della persona depressa, mi ci rivedo. Non avverto, tuttavia, nessuno dei sintomi "fisici".
C'è la rinuncia, una scarsa autostima, ma nessun senso di rabbia, nemmeno all'idea di non riuscire a reagire (certo, è un serpente che si morde la coda).
Grazie ancora.
Per quanto concerne la Psicologa in questione, mi sono affidata al consultorio della mia città. Mi rendo conto che probabilmente io per prima potrei non aver avuto sufficiente pazienza o, forse, pretese troppo alte.
So che il problema non si sarebbe risolto in qualche seduta ma, dopo qualche mese, ho scelto di non andare più perchè il tutto si riduceva alla constatazione che soffro di una sorta di complesso edipico attenuato dal fatto che i miei genitori sono divorziati.
"Deciso" di sentirmi in colpa per timore di mio padre, intende?
Ho letto con attenzione l'articolo che ha riportato, grazie.
In alcuni punti, passaggi che riguardano lo "stato emotivo" della persona depressa, mi ci rivedo. Non avverto, tuttavia, nessuno dei sintomi "fisici".
C'è la rinuncia, una scarsa autostima, ma nessun senso di rabbia, nemmeno all'idea di non riuscire a reagire (certo, è un serpente che si morde la coda).
Grazie ancora.
[#3]
Adesso è tutto più chiaro. La psicologa che l'ha seguita utilizza evidentemente un approccio psicodinamico, che può avere tempi più lunghi. Il terapeuta psicodinamico utilizza concetti particolari come "complesso di Edipo", e offre poche resistuzioni e commenti al materiale portato dal paziente.
Ecco perché è rimasta con l'impressione di non aver ricevuto risposte: in questo tipo di terapia si presume che queste debbano arrivare alla fine del percorso o comunque più in là nel tempo.
"Deciso" era fra virgolette perché ironico: è ovvio che lei non ha deciso consapevolmente di sentirsi in colpa. Diciamo che a lei è venuto più facile così, magari a un'altra persona sarebbe venuto più facile ribellarsi, con un padre come il suo.
Se deciderà di rivolgersi nuovamente a un professionista, e questo può deciderlo solo lei sulla base di quanto sente di averne bisogno, le suggerisco di reperirne uno che utilizzi un approccio breve e concreto. Può leggere quest'altro articolo, che le spiega cosa cercare, fra le altre cose:
http://www.giuseppesantonocito.it/art_psicoterapia.htm
Cordiali saluti
Ecco perché è rimasta con l'impressione di non aver ricevuto risposte: in questo tipo di terapia si presume che queste debbano arrivare alla fine del percorso o comunque più in là nel tempo.
"Deciso" era fra virgolette perché ironico: è ovvio che lei non ha deciso consapevolmente di sentirsi in colpa. Diciamo che a lei è venuto più facile così, magari a un'altra persona sarebbe venuto più facile ribellarsi, con un padre come il suo.
Se deciderà di rivolgersi nuovamente a un professionista, e questo può deciderlo solo lei sulla base di quanto sente di averne bisogno, le suggerisco di reperirne uno che utilizzi un approccio breve e concreto. Può leggere quest'altro articolo, che le spiega cosa cercare, fra le altre cose:
http://www.giuseppesantonocito.it/art_psicoterapia.htm
Cordiali saluti
[#4]
Gentile Utente,
se si chiede "Perchè non provo rabbia?" è perchè in realtà forse ne prova tanta.
Il problema quindi non è "provare" rabbia, ma saperla esprimere quando serve.
Non tutti ci riescono: c'è chi ad esempio si arrabbia (e la esprime) sempre e per tutte le cose che capitano, oppure c'è anche chi tenta di tenerla giù la rabbia finchè poi un bel momento scoppia (come una pentola a pressione).
Però ci sono anche persone, forse come Lei, che non si sentono "a proprio agio" con certe emozioni negative, e preferiscono non doversi confrontare con le reazioni che avrebbero gli altri di fronte ad una eventuale esternazione.
L'idea che mi sono fatto di Lei è quella di una persona sensibile ma per certi versi passiva: forse passa anche molto tempo a rimuginare su cosa avrebbe potuto/dovuto dire a questo o a quello.
E' chiaro che, in fondo, Lei è consapevole di questo processo: da qui deriva la tristezza, come un'amara consapevolezza di voler fare/dire qualcosa ma senza la determinazione necessaria per farlo.
Un po' come la consapevolezza più o meno conscia di avere bisogno di un confronto psicologico con qualcuno. Altrimenti perchè scrivere qui?
se si chiede "Perchè non provo rabbia?" è perchè in realtà forse ne prova tanta.
Il problema quindi non è "provare" rabbia, ma saperla esprimere quando serve.
Non tutti ci riescono: c'è chi ad esempio si arrabbia (e la esprime) sempre e per tutte le cose che capitano, oppure c'è anche chi tenta di tenerla giù la rabbia finchè poi un bel momento scoppia (come una pentola a pressione).
Però ci sono anche persone, forse come Lei, che non si sentono "a proprio agio" con certe emozioni negative, e preferiscono non doversi confrontare con le reazioni che avrebbero gli altri di fronte ad una eventuale esternazione.
L'idea che mi sono fatto di Lei è quella di una persona sensibile ma per certi versi passiva: forse passa anche molto tempo a rimuginare su cosa avrebbe potuto/dovuto dire a questo o a quello.
E' chiaro che, in fondo, Lei è consapevole di questo processo: da qui deriva la tristezza, come un'amara consapevolezza di voler fare/dire qualcosa ma senza la determinazione necessaria per farlo.
Un po' come la consapevolezza più o meno conscia di avere bisogno di un confronto psicologico con qualcuno. Altrimenti perchè scrivere qui?
Cordialmente
Daniel Bulla
dbulla@libero.it, Twitter _DanielBulla_
[#5]
Ex utente
Rispondo con un notevole margine di ritardo, mi spiace.
Grazie ancora per la disponibilità.
Ho letto l'articolo consigliatomi dal Dr. Santonocito e credo che tornerò a rivolgermi ad uno psicologo.
Ultimamente mi rendo conto di vivere questa mia "apatia" come una sorta di difesa nei confronti dei giudizi altrui. Se le parole degli altri non possono suscitarmi rabbia non possono nemmeno provocare dolore. L'approccio alle sensazioni negative, tuttavia, si estende anche a quelle positive. E così, davvero, non va bene.
Grazie mille a voi che avete avuto la pazienza di ascoltarmi in un momento in cui scrivere su di una tastiera era più facile che confrontarsi a parole.
Grazie ancora per la disponibilità.
Ho letto l'articolo consigliatomi dal Dr. Santonocito e credo che tornerò a rivolgermi ad uno psicologo.
Ultimamente mi rendo conto di vivere questa mia "apatia" come una sorta di difesa nei confronti dei giudizi altrui. Se le parole degli altri non possono suscitarmi rabbia non possono nemmeno provocare dolore. L'approccio alle sensazioni negative, tuttavia, si estende anche a quelle positive. E così, davvero, non va bene.
Grazie mille a voi che avete avuto la pazienza di ascoltarmi in un momento in cui scrivere su di una tastiera era più facile che confrontarsi a parole.
[#6]
Mi pare che questa sia un'ottima scelta, ed è un bene che lei stessa riesca a a fare la riflessione che "così non va bene". È segno che il primo passo nella giusta direzione è già stato compiuto.
Sono contento d'esserle stato un poco d'aiuto.
Cordiali saluti
Sono contento d'esserle stato un poco d'aiuto.
Cordiali saluti
Questo consulto ha ricevuto 7 risposte e 16.7k visite dal 06/10/2009.
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