Perché non voglio un figlio biologico, ma desidero tantissimo adottarne uno?
Buongiorno,
Ho 39 anni, sposata da 10 anni, libera professionista molto affermata e felice del mio lavoro.
È da qualche mese che io e mio marito sentiamo il desiderio molto forte di adottare un bambino, anche per esperienze di volontariato in Africa.
Ritengo questa cosa un desiderio bellissimo, ma quando ne parlo mi viene sempre chiesto perché prima non faccio un figlio mio.
Io in verità non ho l'istinto di avere un figlio biologico, sia per un cambiamento al mio corpo che non sono pronta ad affrontare, sia una assenza dal mio lavoro di un anno almeno a cui non sono disposta a rinunciare.
Sono sbagliata?
Le due cose sono troppo in contrasto tra loro o avere la voglia di adottare un figlio è comunque un percorso percorribile e fattibile?
Grazie
Ho 39 anni, sposata da 10 anni, libera professionista molto affermata e felice del mio lavoro.
È da qualche mese che io e mio marito sentiamo il desiderio molto forte di adottare un bambino, anche per esperienze di volontariato in Africa.
Ritengo questa cosa un desiderio bellissimo, ma quando ne parlo mi viene sempre chiesto perché prima non faccio un figlio mio.
Io in verità non ho l'istinto di avere un figlio biologico, sia per un cambiamento al mio corpo che non sono pronta ad affrontare, sia una assenza dal mio lavoro di un anno almeno a cui non sono disposta a rinunciare.
Sono sbagliata?
Le due cose sono troppo in contrasto tra loro o avere la voglia di adottare un figlio è comunque un percorso percorribile e fattibile?
Grazie
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Gentile utente,
la scelta di avere un figlio andrebbe supportata, se non si vuole determinare l'infelicità di tutti i coinvolti, da un grande desiderio di essere genitori, nella consapevolezza della responsabilità che un figlio comporta, senza esagerare -come si fa spesso oggi- ma riconoscendo la natura di questo impegno. Lei fa parte di una coppia, perciò dovrebbe condividere questo desiderio con suo marito.
Un figlio vuol dire tenerezza e fermezza da erogare nei momenti giusti ma con costanza; lacrime da asciugare, allegrie da condividere, malattie da curare, tappe esistenziali da percorrere assieme nel ruolo di guida.
Un antico proverbio recita: "Quando fai un figlio, non sai mai chi ti metti in casa", avvertendo che il figlio non sarà come lo avevamo immaginato e potrebbe rappresentare una bella, ma anche una brutta sorpresa. Dopodiché questo "sconosciuto" ci sarà sempre. Devo correggere questo proverbio così: non quando FAI un figlio, ma quando lo HAI.
Infatti, gentile utente, tutto quello che ho scritto riguarda un figlio biologico (definizione oggi molto estesa: si partoriscono anche figli nati da ovuli e spermatozoi a noi estranei) così come un figlio adottivo.
Lei scrive: "in verità non ho l'istinto di avere un figlio biologico".
Non so se questo istinto esista. In genere la riproduzione è effetto dell'innamoramento, come diceva Platone: "L'amore è il desiderio di generare nel bello". Non tanto quindi il desiderio di perpetuare i propri geni, quanto la volontà di fondersi ed eternare la persona amata.
A mio parere l'impegno genitoriale può creare comunque una trasmissione di valori e tradizioni che può cementare il legame tra i due partner.
Il problema piuttosto è nel considerare un figlio biologico "un cambiamento al mio corpo che non sono pronta ad affrontare" e "una assenza dal mio lavoro di un anno almeno a cui non sono disposta a rinunciare".
Potrebbe rivelare, ciascuno di questi timori, una scarsa disponibilità a cedere vasti brani della propria vita; e questo, anche se il figlio è adottato, è invece indispensabile.
Lei può non attraversare la gravidanza, che non è così terribile, ma perderà lo stesso ore di sonno e giorni di lavoro perché il piccolo è malato; perderà lo stesso la libertà di uscire la sera, di parlare col suo partner o con un'amica quando vuole; di preoccuparsi del suo lavoro più che della famiglia.
Un figlio sarà in ogni caso una presenza a cui fornire, relativamente all'età, una serie di supporti, tempo ed energie.
Che io sappia, il non essere consapevoli di questo è talvolta il motivo per cui viene negata l'adozione. Sarebbe certo motivo di esclusione il sapere che lei considera un figlio adottato con meno diritti o meno esigenze di uno generato.
Vengo alle sue domande: "Sono sbagliata?" e "Le due cose sono troppo in contrasto tra loro o avere la voglia di adottare un figlio è comunque un percorso percorribile e fattibile?"
Sull'essere "sbagliata" non saprei dire nulla, non conoscendola e soprattutto non sapendo a quali parametri lei voglia riferire l'essere "giusta".
Quanto al "percorso percorribile e fattibile", perché non si rivolge direttamente ai centri per le adozioni?
Ci tenga al corrente, se le fa piacere.
la scelta di avere un figlio andrebbe supportata, se non si vuole determinare l'infelicità di tutti i coinvolti, da un grande desiderio di essere genitori, nella consapevolezza della responsabilità che un figlio comporta, senza esagerare -come si fa spesso oggi- ma riconoscendo la natura di questo impegno. Lei fa parte di una coppia, perciò dovrebbe condividere questo desiderio con suo marito.
Un figlio vuol dire tenerezza e fermezza da erogare nei momenti giusti ma con costanza; lacrime da asciugare, allegrie da condividere, malattie da curare, tappe esistenziali da percorrere assieme nel ruolo di guida.
Un antico proverbio recita: "Quando fai un figlio, non sai mai chi ti metti in casa", avvertendo che il figlio non sarà come lo avevamo immaginato e potrebbe rappresentare una bella, ma anche una brutta sorpresa. Dopodiché questo "sconosciuto" ci sarà sempre. Devo correggere questo proverbio così: non quando FAI un figlio, ma quando lo HAI.
Infatti, gentile utente, tutto quello che ho scritto riguarda un figlio biologico (definizione oggi molto estesa: si partoriscono anche figli nati da ovuli e spermatozoi a noi estranei) così come un figlio adottivo.
Lei scrive: "in verità non ho l'istinto di avere un figlio biologico".
Non so se questo istinto esista. In genere la riproduzione è effetto dell'innamoramento, come diceva Platone: "L'amore è il desiderio di generare nel bello". Non tanto quindi il desiderio di perpetuare i propri geni, quanto la volontà di fondersi ed eternare la persona amata.
A mio parere l'impegno genitoriale può creare comunque una trasmissione di valori e tradizioni che può cementare il legame tra i due partner.
Il problema piuttosto è nel considerare un figlio biologico "un cambiamento al mio corpo che non sono pronta ad affrontare" e "una assenza dal mio lavoro di un anno almeno a cui non sono disposta a rinunciare".
Potrebbe rivelare, ciascuno di questi timori, una scarsa disponibilità a cedere vasti brani della propria vita; e questo, anche se il figlio è adottato, è invece indispensabile.
Lei può non attraversare la gravidanza, che non è così terribile, ma perderà lo stesso ore di sonno e giorni di lavoro perché il piccolo è malato; perderà lo stesso la libertà di uscire la sera, di parlare col suo partner o con un'amica quando vuole; di preoccuparsi del suo lavoro più che della famiglia.
Un figlio sarà in ogni caso una presenza a cui fornire, relativamente all'età, una serie di supporti, tempo ed energie.
Che io sappia, il non essere consapevoli di questo è talvolta il motivo per cui viene negata l'adozione. Sarebbe certo motivo di esclusione il sapere che lei considera un figlio adottato con meno diritti o meno esigenze di uno generato.
Vengo alle sue domande: "Sono sbagliata?" e "Le due cose sono troppo in contrasto tra loro o avere la voglia di adottare un figlio è comunque un percorso percorribile e fattibile?"
Sull'essere "sbagliata" non saprei dire nulla, non conoscendola e soprattutto non sapendo a quali parametri lei voglia riferire l'essere "giusta".
Quanto al "percorso percorribile e fattibile", perché non si rivolge direttamente ai centri per le adozioni?
Ci tenga al corrente, se le fa piacere.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 82 visite dal 11/12/2024.
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