Rapporto genitori/figli
Buongiorno, sono una ragazza di 29 anni che da più di 6 anni sta con un uomo di 23 anni in più.
Nel 2016 decido di spostarmi per una stagione invernale in montagna dove conosco il mio attuale compagno, sardo.
La farò breve, ci siamo conosciuti in un brutto periodo della mia vita, quando i miei genitori sono venuti a conoscenza della relazione é successo la tragedia definendolo un pedofilo e un approfittatore, inoltre inizialmente non mi è stato permesso di rientrare a casa pper recuperare le mie cose negandomi ogni contatto.
Se inizialmente potevo comprendere la loro reazione ad oggi non so veramente come comportarmi.
Abitando a 400 km di distanza da loro cerco ogni tanto di andarli a trovare (da sola) per il quieto vivere.
Ogni volta vi è un tacito accordo per il quale nessuna delle parti menziona il mio compagno, ogni racconto di esperienza di vita diventa per me impegnativo perché devo ricostruire gli avvenimenti come se lui non facesse parte della mia vita.
Mi hanno chiesto persino di dire in giro che fossi single.
Posso accettare il dissenso, ma far finta che io non abbia fatto una scelta no.
Mi hanno anche esplicitamente detto che se tornassi a casa potrei avere tutto quello che voglio.
Detto questo sono afflitta dai sensi di colpa, nonostante razionalmente sappia che un genitore non dovrebbe portare un figlio a scegliere tra loro e la sua relazione, mi fa male vederli soffrire.
Sono figlia unica e penso che se un giorno avranno bisogno io avrò costruito una vita da un'altra parte.
So che non lo fanno con cattiveria, a volte il troppo bene porta a fare errori.
Ad oggi però sono 6 anni che non ricevo una chiamata da parte loro, chiamo sempre io, torno sempre io.
Il tempo non ha migliorato le cose, per tutti i parenti sono la menefreghista che ha rovinato la famiglia.
Sono davvero confusa su cosa dovrei fare, mollare tutto per non far star male i miei genitori o no?
In fondo la famiglia non si può scegliere, il compagno per la vita in un certo senso si...chiudo specificando che sono veramente innamorata dell'uomo in questione, non ha mai speso una brutta parola nei confronti dei miei genitori, anzi mi ha sempre spronato al dialogo.
Ringrazio.
Nel 2016 decido di spostarmi per una stagione invernale in montagna dove conosco il mio attuale compagno, sardo.
La farò breve, ci siamo conosciuti in un brutto periodo della mia vita, quando i miei genitori sono venuti a conoscenza della relazione é successo la tragedia definendolo un pedofilo e un approfittatore, inoltre inizialmente non mi è stato permesso di rientrare a casa pper recuperare le mie cose negandomi ogni contatto.
Se inizialmente potevo comprendere la loro reazione ad oggi non so veramente come comportarmi.
Abitando a 400 km di distanza da loro cerco ogni tanto di andarli a trovare (da sola) per il quieto vivere.
Ogni volta vi è un tacito accordo per il quale nessuna delle parti menziona il mio compagno, ogni racconto di esperienza di vita diventa per me impegnativo perché devo ricostruire gli avvenimenti come se lui non facesse parte della mia vita.
Mi hanno chiesto persino di dire in giro che fossi single.
Posso accettare il dissenso, ma far finta che io non abbia fatto una scelta no.
Mi hanno anche esplicitamente detto che se tornassi a casa potrei avere tutto quello che voglio.
Detto questo sono afflitta dai sensi di colpa, nonostante razionalmente sappia che un genitore non dovrebbe portare un figlio a scegliere tra loro e la sua relazione, mi fa male vederli soffrire.
Sono figlia unica e penso che se un giorno avranno bisogno io avrò costruito una vita da un'altra parte.
So che non lo fanno con cattiveria, a volte il troppo bene porta a fare errori.
Ad oggi però sono 6 anni che non ricevo una chiamata da parte loro, chiamo sempre io, torno sempre io.
Il tempo non ha migliorato le cose, per tutti i parenti sono la menefreghista che ha rovinato la famiglia.
Sono davvero confusa su cosa dovrei fare, mollare tutto per non far star male i miei genitori o no?
In fondo la famiglia non si può scegliere, il compagno per la vita in un certo senso si...chiudo specificando che sono veramente innamorata dell'uomo in questione, non ha mai speso una brutta parola nei confronti dei miei genitori, anzi mi ha sempre spronato al dialogo.
Ringrazio.
[#1]
Gentile Utente,
Mi dispiace sempre quando sento di genitori che imprigionano (psicologicamente) i figli; forse perché infangano la "categoria-genitori", e anch'io faccio parte di questa categoria.
Noi persone siamo gli unici esseri viventi a non lasciare andare i figli e le figlie nemmeno quando sono in grado di farlo.
Ma quel che è peggio riempiamo talmente i figli di sensi di colpa che neppure loro riescono a svincolarsi serenamente quando ne hanno tutte le capacità; se non a prezzo di un faticoso percorso psicologico personale.
Stranamente sempre più lettere arrivano qui su Medicitalia con tale problematica. Come se in una società che è diventata "liquida", gelatinosa, alcuni genitori di figli/e adulti/e si sentissero investiti -o si auto-investissero- del ruolo di custodi rigidi dell'ortodossia tradizionale.
Il vero problema è che neppure la loro morte libera i figli e soprattutto le figlie dai sensi di colpa, perché i genitori giudicanti e castranti ce li riportiamo dentro; e altrettanto i sensi di colpa di cui loro hanno piantato i semi e che loro stessi sono in grado di abbeverare e concimare costantemente con i modi che conoscono bene: alternando il silenzio, le promesse, la critica, le blandizie.
Probabilmente non si tratta di 'colpa', da parte loro; cioè di un male prodotto consapevolmente e volontariamente.
Ma un insieme di pregiudizi, egoismo, paura del giudizio sociale e della parentela, li porta a rovinare vita delle figlie: sì, le femmine sono più sensibili a tutto ciò.
Non colpa quindi, ma certamente responsabilità ben precise.
Ne ho parlato qui:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/9264-la-relazione-complessa-tra-figli-giovani-adulti-e-genitori.html
e ho risposto proprio ieri ad un altro consulto su tema "Rapporto genitori/figli" [Suo titolo]:
https://www.medicitalia.it/consulti/psicologia/1077982-approccio-da-seguire-con-una-madre-screditante-e-dispotica.html
Se il dialogo (come Le suggerisce il suo compagno) può essere utile, occorre che avvenga tra pari, come in realtà siete: tutte persone adulte.
Però attualmente Lei è troppo psicologicamente provata (per come traspare dal consulto) per dialogare.
Per mettersi alla prova potrebbe iniziare a parlare anche di lui con loro, quando capita, occasionalmente, con tranquillità. Ma per fare ciò occorre essere molto ferm* sulle proprie posizioni e scelte.
E poi, perchè tacere la cosa ai parenti, come se fosse un segreto vergognoso?
Ha già pensato di iniziare un percorso psicologico al proposito, in presenza, assieme ad un* psicolog* che sia anche psicoterapeuta?
Mi sembrerebbe veramente importante, sia per Lei stessa, sia nel rispetto di lui: l'uomo che ha Lei ha scelto.
Glielo suggerisco con affettuosa empatia.
Saluti cordiali.
dott. Brunialti
Mi dispiace sempre quando sento di genitori che imprigionano (psicologicamente) i figli; forse perché infangano la "categoria-genitori", e anch'io faccio parte di questa categoria.
Noi persone siamo gli unici esseri viventi a non lasciare andare i figli e le figlie nemmeno quando sono in grado di farlo.
Ma quel che è peggio riempiamo talmente i figli di sensi di colpa che neppure loro riescono a svincolarsi serenamente quando ne hanno tutte le capacità; se non a prezzo di un faticoso percorso psicologico personale.
Stranamente sempre più lettere arrivano qui su Medicitalia con tale problematica. Come se in una società che è diventata "liquida", gelatinosa, alcuni genitori di figli/e adulti/e si sentissero investiti -o si auto-investissero- del ruolo di custodi rigidi dell'ortodossia tradizionale.
Il vero problema è che neppure la loro morte libera i figli e soprattutto le figlie dai sensi di colpa, perché i genitori giudicanti e castranti ce li riportiamo dentro; e altrettanto i sensi di colpa di cui loro hanno piantato i semi e che loro stessi sono in grado di abbeverare e concimare costantemente con i modi che conoscono bene: alternando il silenzio, le promesse, la critica, le blandizie.
Probabilmente non si tratta di 'colpa', da parte loro; cioè di un male prodotto consapevolmente e volontariamente.
Ma un insieme di pregiudizi, egoismo, paura del giudizio sociale e della parentela, li porta a rovinare vita delle figlie: sì, le femmine sono più sensibili a tutto ciò.
Non colpa quindi, ma certamente responsabilità ben precise.
Ne ho parlato qui:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/9264-la-relazione-complessa-tra-figli-giovani-adulti-e-genitori.html
e ho risposto proprio ieri ad un altro consulto su tema "Rapporto genitori/figli" [Suo titolo]:
https://www.medicitalia.it/consulti/psicologia/1077982-approccio-da-seguire-con-una-madre-screditante-e-dispotica.html
Se il dialogo (come Le suggerisce il suo compagno) può essere utile, occorre che avvenga tra pari, come in realtà siete: tutte persone adulte.
Però attualmente Lei è troppo psicologicamente provata (per come traspare dal consulto) per dialogare.
Per mettersi alla prova potrebbe iniziare a parlare anche di lui con loro, quando capita, occasionalmente, con tranquillità. Ma per fare ciò occorre essere molto ferm* sulle proprie posizioni e scelte.
E poi, perchè tacere la cosa ai parenti, come se fosse un segreto vergognoso?
Ha già pensato di iniziare un percorso psicologico al proposito, in presenza, assieme ad un* psicolog* che sia anche psicoterapeuta?
Mi sembrerebbe veramente importante, sia per Lei stessa, sia nel rispetto di lui: l'uomo che ha Lei ha scelto.
Glielo suggerisco con affettuosa empatia.
Saluti cordiali.
dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#2]
Utente
Buonasera Dottoressa,
la ringrazio di cuore per la veloce risposta
Purtroppo al momento non è possibile un dialogo alla pari in quanto è evidente che loro non mi considerino una donna capace di prendere scelte e decisioni. Del resto, é sempre stato così, sin da quando ero bambina per loro non ero mai io a sbagliare, ma sempre spinta da qualcuno o qualcosa. Quello che più mi infastidisce é proprio il non riconoscimento delle mie scelte, credo molto diverso dal disappunto. Il disappunto comporta un'accettazione. Dopo tutto questo tempo ho ormai deciso di evitare qualsiasi menzione alla mia "reale" vita poiché sempre causa di forti litigi, ci vediamo poche settimane all'anno, cerco di limitare al minimo il conflitto.
Ho cominciato un paio di percorsi psicologici, ma sempre abbandonati, forse, riflettendoci, per paura di riuscire ad arrivare a "distaccarmi" da loro.. In fondo sono sempre stati dei bravi genitori.
L'unica certezza che oggi ho è che, purtroppo, non vi è possibilità di quel punto di incontro che inizialmente pensavo che il tempo avrebbe portato.
La ringrazio ancora
la ringrazio di cuore per la veloce risposta
Purtroppo al momento non è possibile un dialogo alla pari in quanto è evidente che loro non mi considerino una donna capace di prendere scelte e decisioni. Del resto, é sempre stato così, sin da quando ero bambina per loro non ero mai io a sbagliare, ma sempre spinta da qualcuno o qualcosa. Quello che più mi infastidisce é proprio il non riconoscimento delle mie scelte, credo molto diverso dal disappunto. Il disappunto comporta un'accettazione. Dopo tutto questo tempo ho ormai deciso di evitare qualsiasi menzione alla mia "reale" vita poiché sempre causa di forti litigi, ci vediamo poche settimane all'anno, cerco di limitare al minimo il conflitto.
Ho cominciato un paio di percorsi psicologici, ma sempre abbandonati, forse, riflettendoci, per paura di riuscire ad arrivare a "distaccarmi" da loro.. In fondo sono sempre stati dei bravi genitori.
L'unica certezza che oggi ho è che, purtroppo, non vi è possibilità di quel punto di incontro che inizialmente pensavo che il tempo avrebbe portato.
La ringrazio ancora
[#3]
Gentile utente,
Anche per chi ci legge (al momento centinaia di utenti interessat* alla tematica) mi corre l'obbligo di un'ultima precisazione riguardo a questo punto:
"...non è possibile un dialogo alla pari
in quanto è evidente che loro non mi considerino una donna capace di prendere scelte e decisioni."
Che non la considerino una adulta sta nel gioco che fanno loro.
Ma la sua parte, in questo gioco, è proprio quella di essere LEI una adulta e di comportarsi come tale difendendo in modo assertivo le sue scelte. Creando non un "distacco", ma un "distanziamento affettivo" che rompe la dipendenza; mi riferisco a quella che noi Psy definiamo la "giusta distanza".
ho utilizzato la parola "gioco" pensando al gioco della vita e delle relazioni, dove ognuno è protagonista per una certa parte.
Quanto detto, in linea di massima vale come obiettivo alla lontana, perchè a breve e medio termine ci sono ancora forti ambivalenze da superare; principalmente quella che Lei con grande sincerità descrive così:
".. [ho] paura di riuscire ad arrivare a "distaccarmi" da loro..",
e ciò proprio nel momento stesso in cui afferma che desidera essere rispettata e riconosciuta come adulta.
Le auguro di cuore di riuscire a superare tale impasse, conseguenza dell'ambivalenza sopra segnalata e causa della Sua sofferenza attuale.
Saluti cari.
Dott. Brunialti
Anche per chi ci legge (al momento centinaia di utenti interessat* alla tematica) mi corre l'obbligo di un'ultima precisazione riguardo a questo punto:
"...non è possibile un dialogo alla pari
in quanto è evidente che loro non mi considerino una donna capace di prendere scelte e decisioni."
Che non la considerino una adulta sta nel gioco che fanno loro.
Ma la sua parte, in questo gioco, è proprio quella di essere LEI una adulta e di comportarsi come tale difendendo in modo assertivo le sue scelte. Creando non un "distacco", ma un "distanziamento affettivo" che rompe la dipendenza; mi riferisco a quella che noi Psy definiamo la "giusta distanza".
ho utilizzato la parola "gioco" pensando al gioco della vita e delle relazioni, dove ognuno è protagonista per una certa parte.
Quanto detto, in linea di massima vale come obiettivo alla lontana, perchè a breve e medio termine ci sono ancora forti ambivalenze da superare; principalmente quella che Lei con grande sincerità descrive così:
".. [ho] paura di riuscire ad arrivare a "distaccarmi" da loro..",
e ciò proprio nel momento stesso in cui afferma che desidera essere rispettata e riconosciuta come adulta.
Le auguro di cuore di riuscire a superare tale impasse, conseguenza dell'ambivalenza sopra segnalata e causa della Sua sofferenza attuale.
Saluti cari.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 336 visite dal 07/12/2024.
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