Dipendenza affettiva
Buongiorno, mi permetto di rappresentare una situazione che mi crea uno stato di forte sofferenza.
Ho cercato la voce dipendenza affettiva, ma non so se il mio caso ne rientra.
Non credevo alla mia età (55 anni) di vivere questa forma di dolore.
Tre anni fa nella nostra vita lavorativa, cioè nell'azienda dove lavoro è stata assunta una ragazza di 26 anni con la quale tutti noi dipendenti abbiamo stabilito un rapporto di grande amicizia.
Ha fatto parte della nostra vita, si è integrata perfettamente, ha partecipato con entusiasmo ad ogni iniziativa... Ha sofferto nei momenti difficili ed ha gioito nei momenti belli...
Con me poi il rapporto è stato ancora più intenso (forse anche perché è stata assunta proprio al mio posto, quando nell'ambito di una riorganizzazione interna ho lasciato il ruolo che occupavo (gestore famiglie) e sono passato ad occuparmi delle aziende.
Ci siamo aiutati molto ed è stata una persona capace di sostenermi nei momenti difficili con il suo sorriso, la sua presenza e rispondendo ai tanti messaggi.
Ho provato anche io a supportarla quando è stata lei invece ad attraversare situazioni complicate.
I tanti caffè insieme (con lei e con gli altri colleghi perché è giusto dirlo, siamo una grande famiglia e nonostante le ovvie difficoltà alla fine siamo sempre uniti e ci apprezziamo a vicenda), i pranzi, il confidarsi reciprocamente le situazioni personali difficili e lei mi parlava del suo compagno e del dolore che provava perché viveva lontano per motivi di lavoro.
Dopo tre anni intensissimi finalmente questa collega ha potuto coronare il suo sogno che poi è stato quello di raggiungere il suo fidanzato.
È uscita un'opportunità in una agenzia che dista pochi chilometri di distanza dalla sede di lavoro e giustamente ne ha approfittato...
Abbiamo festeggiato tutti insieme, ci siamo salutati con tanto affetto e adesso che non è più con noi continuiamo comunque a sentirci quotidianamente con la chat di gruppo.
Per chiudere questo lungo messaggio.
Mi sento davvero male e soffro terribilmente la sua assenza, mi sento svuotato ed ho un magone continuo che non passa in alcun modo.
Dovrei essere felice, dovrei gioire perché è in procinto di realizzare un progetto di vita eppure è come se avessi perso una parte di me e non faccio che pensare a lei.
Eppure devo ben reagire, devo trovare una strada per recuperare quella serenità, ma per il momento sono in un vicolo cieco.
Un abbraccio
Ho cercato la voce dipendenza affettiva, ma non so se il mio caso ne rientra.
Non credevo alla mia età (55 anni) di vivere questa forma di dolore.
Tre anni fa nella nostra vita lavorativa, cioè nell'azienda dove lavoro è stata assunta una ragazza di 26 anni con la quale tutti noi dipendenti abbiamo stabilito un rapporto di grande amicizia.
Ha fatto parte della nostra vita, si è integrata perfettamente, ha partecipato con entusiasmo ad ogni iniziativa... Ha sofferto nei momenti difficili ed ha gioito nei momenti belli...
Con me poi il rapporto è stato ancora più intenso (forse anche perché è stata assunta proprio al mio posto, quando nell'ambito di una riorganizzazione interna ho lasciato il ruolo che occupavo (gestore famiglie) e sono passato ad occuparmi delle aziende.
Ci siamo aiutati molto ed è stata una persona capace di sostenermi nei momenti difficili con il suo sorriso, la sua presenza e rispondendo ai tanti messaggi.
Ho provato anche io a supportarla quando è stata lei invece ad attraversare situazioni complicate.
I tanti caffè insieme (con lei e con gli altri colleghi perché è giusto dirlo, siamo una grande famiglia e nonostante le ovvie difficoltà alla fine siamo sempre uniti e ci apprezziamo a vicenda), i pranzi, il confidarsi reciprocamente le situazioni personali difficili e lei mi parlava del suo compagno e del dolore che provava perché viveva lontano per motivi di lavoro.
Dopo tre anni intensissimi finalmente questa collega ha potuto coronare il suo sogno che poi è stato quello di raggiungere il suo fidanzato.
È uscita un'opportunità in una agenzia che dista pochi chilometri di distanza dalla sede di lavoro e giustamente ne ha approfittato...
Abbiamo festeggiato tutti insieme, ci siamo salutati con tanto affetto e adesso che non è più con noi continuiamo comunque a sentirci quotidianamente con la chat di gruppo.
Per chiudere questo lungo messaggio.
Mi sento davvero male e soffro terribilmente la sua assenza, mi sento svuotato ed ho un magone continuo che non passa in alcun modo.
Dovrei essere felice, dovrei gioire perché è in procinto di realizzare un progetto di vita eppure è come se avessi perso una parte di me e non faccio che pensare a lei.
Eppure devo ben reagire, devo trovare una strada per recuperare quella serenità, ma per il momento sono in un vicolo cieco.
Un abbraccio
[#1]
Caro utente,
appunto l'affetto ha questi caratteri, e non la "dipendenza affettiva", che è un processo patologico.
Viviamo in un mondo così stravolto che essere intensamente affezionati a qualcuno appare come una patologia.
Forse anche perché dell'affetto, ossia di quello che se vogliamo usare termini psicologici di chiama "attaccamento", non sappiamo più gestire i risvolti oscuri, ossia la sofferenza nel momento in cui l'oggetto di attaccamento e i bei giorni vissuti insieme si allontanano.
Un tempo non mancavano le parole intense, poetiche, per comunicare ad una persona apprezzata e amata il nostro attaccamento.
Ci sono nella letteratura, ma anche nelle lettere dei nostri nonni, degli scritti tra amici, anche di sesso diverso, tra fratelli, tra genitori e figli, traboccanti di affettuosa ammirazione e palpitanti di tenerezza.
Oggi sembra che l'unico sentimento intenso che ci sia concesso sia l'amore sessuale, e per lo più rimane muto anche quello.
Diciamo che l'alessitimia, come perdita delle parole per capire e definire l'emozione, è divenuta il vero male del secolo.
Provi a pensare a quanto bene ha voluto a questa collega, a quanto produttivo affetto vi siete scambiati, a quanto l'atmosfera del posto di lavoro si sia avvalsa del calore di questa presenza, e vedrà che anche il rimpianto potrà trovare le parole per esprimersi, stemperato dalla dolcezza.
Buone cose.
appunto l'affetto ha questi caratteri, e non la "dipendenza affettiva", che è un processo patologico.
Viviamo in un mondo così stravolto che essere intensamente affezionati a qualcuno appare come una patologia.
Forse anche perché dell'affetto, ossia di quello che se vogliamo usare termini psicologici di chiama "attaccamento", non sappiamo più gestire i risvolti oscuri, ossia la sofferenza nel momento in cui l'oggetto di attaccamento e i bei giorni vissuti insieme si allontanano.
Un tempo non mancavano le parole intense, poetiche, per comunicare ad una persona apprezzata e amata il nostro attaccamento.
Ci sono nella letteratura, ma anche nelle lettere dei nostri nonni, degli scritti tra amici, anche di sesso diverso, tra fratelli, tra genitori e figli, traboccanti di affettuosa ammirazione e palpitanti di tenerezza.
Oggi sembra che l'unico sentimento intenso che ci sia concesso sia l'amore sessuale, e per lo più rimane muto anche quello.
Diciamo che l'alessitimia, come perdita delle parole per capire e definire l'emozione, è divenuta il vero male del secolo.
Provi a pensare a quanto bene ha voluto a questa collega, a quanto produttivo affetto vi siete scambiati, a quanto l'atmosfera del posto di lavoro si sia avvalsa del calore di questa presenza, e vedrà che anche il rimpianto potrà trovare le parole per esprimersi, stemperato dalla dolcezza.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 65 visite dal 30/11/2024.
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