Dubbio doppia diagnosi
Buonasera a tutti, nel corso degli ultimi anni ho ricevuto due diagnosi, da professionisti diversi, che concordano tra di loro nel dire che ho due disturbi di personalità: borderline ed evitante.
Io non mi sento così.
Non so come fare perché a sto punto comincio a pensare che forse sono io che non mi capisco (che è possibilissimo eh!).
Per comprendere meglio ho letto molto e ho fatto molte ricerche in merito.
Però no, continuo a non sentirmi così.
Cosa dovrei fare?
Pensare a un terzo parere mi sembra quasi accanimento.
Forse dovrei solo accettare il fatto di avere questi due disturbi di personalità, e basta.
E prima che qualcuno dica E solo una diagnosi! oppure Che importa, lascia stare! , per me una diagnosi corretta è importante, serve a dare un nome e una chiave di lettura al mio vissuto quotidiano.
Gia la prima diagnosi mi aveva lasciata perplessa e ne parlai sia qui https://www.medicitalia.it/consulti/psicologia/1046635-dubbio-diagnosi.html ma anche con la terapeuta che mi segue.
Da qui la decisione di fare un secondo percorso diagnostico che pero' ha portato allo stesso risultato.
Io non mi sento così.
Non so come fare perché a sto punto comincio a pensare che forse sono io che non mi capisco (che è possibilissimo eh!).
Per comprendere meglio ho letto molto e ho fatto molte ricerche in merito.
Però no, continuo a non sentirmi così.
Cosa dovrei fare?
Pensare a un terzo parere mi sembra quasi accanimento.
Forse dovrei solo accettare il fatto di avere questi due disturbi di personalità, e basta.
E prima che qualcuno dica E solo una diagnosi! oppure Che importa, lascia stare! , per me una diagnosi corretta è importante, serve a dare un nome e una chiave di lettura al mio vissuto quotidiano.
Gia la prima diagnosi mi aveva lasciata perplessa e ne parlai sia qui https://www.medicitalia.it/consulti/psicologia/1046635-dubbio-diagnosi.html ma anche con la terapeuta che mi segue.
Da qui la decisione di fare un secondo percorso diagnostico che pero' ha portato allo stesso risultato.
[#1]
Gentile utente,
leggendo questa e la precedente richiesta di consulto mi sembra che i suoi dubbi nascano dall'aver ricevuto diagnosi da fonti imperfette, e di avere altrettanto imperfettamente tentato di interpretare queste diagnosi, leggendo molto, come dice, parlandone con la terapeuta che la segue, e anche chiedendo qui a noi.
Lei scrive: "per me una diagnosi corretta è importante, serve a dare un nome e una chiave di lettura al mio vissuto quotidiano".
Già questo punto di vista merita un chiarimento con lo specialista che la segue e un monitoraggio costante del "vissuto quotidiano", che forse lei ritiene debba essere congruente con la diagnosi ricevuta.
Non mi soffermerò su questo, ma su ciò che "diagnosi", nel campo del disturbo mentale, significa, e soprattutto sul modo in cui la diagnosi viene fatta.
Il termine "diagnosi" è comune al campo psichico e al campo somatico per alcune somiglianze che non sono però delle uguaglianze.
In entrambi i campi la diagnosi è il nome che si dà ad una malattia che si presenta per lo più con determinati sintomi, ossia manifestazioni avvertite dal paziente, e segni, ossia evidenze che si palesano all'occhio del clinico.
Nel campo somatico alla diagnosi si accompagna quasi sempre un riscontro visibile attraverso analisi, radiografia, visione diretta (pensi a un foruncolo o ad una frattura esposta), in quello mentale invece no.
Per farle un esempio, vomito e dolore nella regione ventrale destra sono sintomi che possono essere determinati dall'appendicite, ossia dall'infiammazione acuta di quel tratto del colon che viene chiamato "appendice". Questa diagnosi medica ha un riscontro rilevabile sia con analisi cliniche, che possono manifestare la presenza di un'infezione, sia con l'osservazione dell'appendice con strumenti come l'ecografia, sia con la visione diretta della stessa mediante intervento chirurgico.
Così è per la maggior parte delle diagnosi mediche. Il covid per esempio si manifesta con determinati sintomi (tosse, febbre, difficoltà di respirazione) ma si ha la certezza della presenza di questo virus tramite i reagenti che lo rilevano, le analisi dell'espettorato, etc.
Nei casi che ho citato e in moltissimi altri di natura medica (quindi somatica, organica) la diagnosi ha un riscontro visibile e una causa conosciuta: si tratta perciò di una diagnosi "eziologica", cioè basata sulle cause.
Nel campo mentale, solo recentemente le neuroscienze vanno rivelando delle funzioni del cervello così delicate, microscopiche e in perenne mutamento grazie ad elementi come il pensiero, che forse ad un tipo di diagnosi analoga a quella che individua il batterio o la lesione non arriveremo mai.
La diagnosi della disfunzione mentale è perciò quasi esclusivamente sui sintomi. Studi complessi, in rapida evoluzione e non sempre concordi, raccolgono questi sintomi, ne ricavano delle diagnosi e delle indicazioni terapeutiche.
Per farle ancora un esempio, un trauma nella sfera organica può provocare effetti visibili, dal livido fino alla frattura; un trauma psichico non ha effetti rilevabili, né a occhio nudo né con una radiografia. Insomma, l'appendicite si vede, la personalità borderline no.
Come dunque si fanno le diagnosi in campo mentale? Con una serie di test che analizzano idee, emozioni, storia pregressa, reazioni dell'individuo, ma soprattutto con il colloquio clinico.
Il periodo di valutazione di un* psicolog* può durare a lungo perché non basta un incontro per verificare le rigidità o le fissazioni del paziente, la resistenza ad uscirne, il grado di danno che queste disfunzioni mentali causano nella vita della persona e le strategie per superarle.
Ora, lei ci scrive che ha fatto diagnosticare il suo disturbo da due diversi diagnosti (i quali mi sembra concordino), però è seguita da una terza curante. Credo di capire che i primi due le abbiano somministrato dei test (il Minnesota, forse?) che non tutti gli psicologi usano.
In ogni caso, la semplice somministrazione di test, anche lunghi e complessi, non dà una diagnosi inoppugnabile, come sarebbe quella organica di morbillo, per esempio, ma orienta a considerare la presenza di un certo funzionamento mentale che va poi discusso e analizzato con il curante per capirne la gravità, la pervasività, l'incidenza sulla vita del paziente, i fattori di resilienza o di peggioramento, e infine gli strumenti di cura.
Non so se sulla sola base di test a lei siano stati diagnosticati i due disturbi di personalità che cita. La comorbilità tra i disturbi mentali è comune, nel senso che alcune manifestazioni del disagio mentale, che hanno nomi diversi ma forse la stessa causa, si presentano insieme. Non è questa la sede per spiegargliene la ragione.
Anche la malattia singola difficilmente si trova in ogni paziente con tutti i sintomi presentati nei manuali, e solo quelli. La stessa diagnosi non dà luogo alle stesse limitazioni: guardi il film "A beautiful mind", sulla vita di un genio schizofrenico.
La sua fiducia nella diagnosi è quindi mal riposta, sia per la natura della diagnosi in campo mentale, sia perché unico giudice dell'aderenza della diagnosi al suo caso specifico è la persona che attua con lei un colloquio clinico costante: la sua psicologa.
Lei non si riconosce in queste diagnosi, ma se ha ragione o se invece le sue sono delle resistenze mentali, solo la sua curante può dirlo. Così come può spiegarle che una diagnosi è un'indicazione, non una prescrizione, e che serve a correggere il comportamento disfunzionale, non ad autorizzarlo.
Buone cose.
leggendo questa e la precedente richiesta di consulto mi sembra che i suoi dubbi nascano dall'aver ricevuto diagnosi da fonti imperfette, e di avere altrettanto imperfettamente tentato di interpretare queste diagnosi, leggendo molto, come dice, parlandone con la terapeuta che la segue, e anche chiedendo qui a noi.
Lei scrive: "per me una diagnosi corretta è importante, serve a dare un nome e una chiave di lettura al mio vissuto quotidiano".
Già questo punto di vista merita un chiarimento con lo specialista che la segue e un monitoraggio costante del "vissuto quotidiano", che forse lei ritiene debba essere congruente con la diagnosi ricevuta.
Non mi soffermerò su questo, ma su ciò che "diagnosi", nel campo del disturbo mentale, significa, e soprattutto sul modo in cui la diagnosi viene fatta.
Il termine "diagnosi" è comune al campo psichico e al campo somatico per alcune somiglianze che non sono però delle uguaglianze.
In entrambi i campi la diagnosi è il nome che si dà ad una malattia che si presenta per lo più con determinati sintomi, ossia manifestazioni avvertite dal paziente, e segni, ossia evidenze che si palesano all'occhio del clinico.
Nel campo somatico alla diagnosi si accompagna quasi sempre un riscontro visibile attraverso analisi, radiografia, visione diretta (pensi a un foruncolo o ad una frattura esposta), in quello mentale invece no.
Per farle un esempio, vomito e dolore nella regione ventrale destra sono sintomi che possono essere determinati dall'appendicite, ossia dall'infiammazione acuta di quel tratto del colon che viene chiamato "appendice". Questa diagnosi medica ha un riscontro rilevabile sia con analisi cliniche, che possono manifestare la presenza di un'infezione, sia con l'osservazione dell'appendice con strumenti come l'ecografia, sia con la visione diretta della stessa mediante intervento chirurgico.
Così è per la maggior parte delle diagnosi mediche. Il covid per esempio si manifesta con determinati sintomi (tosse, febbre, difficoltà di respirazione) ma si ha la certezza della presenza di questo virus tramite i reagenti che lo rilevano, le analisi dell'espettorato, etc.
Nei casi che ho citato e in moltissimi altri di natura medica (quindi somatica, organica) la diagnosi ha un riscontro visibile e una causa conosciuta: si tratta perciò di una diagnosi "eziologica", cioè basata sulle cause.
Nel campo mentale, solo recentemente le neuroscienze vanno rivelando delle funzioni del cervello così delicate, microscopiche e in perenne mutamento grazie ad elementi come il pensiero, che forse ad un tipo di diagnosi analoga a quella che individua il batterio o la lesione non arriveremo mai.
La diagnosi della disfunzione mentale è perciò quasi esclusivamente sui sintomi. Studi complessi, in rapida evoluzione e non sempre concordi, raccolgono questi sintomi, ne ricavano delle diagnosi e delle indicazioni terapeutiche.
Per farle ancora un esempio, un trauma nella sfera organica può provocare effetti visibili, dal livido fino alla frattura; un trauma psichico non ha effetti rilevabili, né a occhio nudo né con una radiografia. Insomma, l'appendicite si vede, la personalità borderline no.
Come dunque si fanno le diagnosi in campo mentale? Con una serie di test che analizzano idee, emozioni, storia pregressa, reazioni dell'individuo, ma soprattutto con il colloquio clinico.
Il periodo di valutazione di un* psicolog* può durare a lungo perché non basta un incontro per verificare le rigidità o le fissazioni del paziente, la resistenza ad uscirne, il grado di danno che queste disfunzioni mentali causano nella vita della persona e le strategie per superarle.
Ora, lei ci scrive che ha fatto diagnosticare il suo disturbo da due diversi diagnosti (i quali mi sembra concordino), però è seguita da una terza curante. Credo di capire che i primi due le abbiano somministrato dei test (il Minnesota, forse?) che non tutti gli psicologi usano.
In ogni caso, la semplice somministrazione di test, anche lunghi e complessi, non dà una diagnosi inoppugnabile, come sarebbe quella organica di morbillo, per esempio, ma orienta a considerare la presenza di un certo funzionamento mentale che va poi discusso e analizzato con il curante per capirne la gravità, la pervasività, l'incidenza sulla vita del paziente, i fattori di resilienza o di peggioramento, e infine gli strumenti di cura.
Non so se sulla sola base di test a lei siano stati diagnosticati i due disturbi di personalità che cita. La comorbilità tra i disturbi mentali è comune, nel senso che alcune manifestazioni del disagio mentale, che hanno nomi diversi ma forse la stessa causa, si presentano insieme. Non è questa la sede per spiegargliene la ragione.
Anche la malattia singola difficilmente si trova in ogni paziente con tutti i sintomi presentati nei manuali, e solo quelli. La stessa diagnosi non dà luogo alle stesse limitazioni: guardi il film "A beautiful mind", sulla vita di un genio schizofrenico.
La sua fiducia nella diagnosi è quindi mal riposta, sia per la natura della diagnosi in campo mentale, sia perché unico giudice dell'aderenza della diagnosi al suo caso specifico è la persona che attua con lei un colloquio clinico costante: la sua psicologa.
Lei non si riconosce in queste diagnosi, ma se ha ragione o se invece le sue sono delle resistenze mentali, solo la sua curante può dirlo. Così come può spiegarle che una diagnosi è un'indicazione, non una prescrizione, e che serve a correggere il comportamento disfunzionale, non ad autorizzarlo.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 21 visite dal 23/11/2024.
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