Bimba 8 anni a volte piange per la separazione avvenuta 5 anni fa
Gentilissimi,
Sono ormai separata da 5 anni, la mia bimba all'epoca aveva 3 anni.
Dei sue prima 3 anni di vita non si ricorda niente, quindi non ha nessun ricordo di quando abitavamo tutti insieme.
Il rapporta tra me ed il padre è molto tranquillo, spesso quando ci incontriamo per prendere o portare la bimba ci fermiamo qualche minuto a parlare, ovviamente di cose inerenti alla bimba, un paio di volte l'anno, cioè alla recita di scuola e alla cena di fine anno, partecipiamo entrambi, insomma in sostanza il rapporto è buono.
Entrambi abbiamo un compagno/a non convivente, che la bimba adora.
Anche le maestre ci dicono che la bimba è serena, e anche noi la vediamo felice.
Ma da circa un anno/un anno e mezzo, almeno una volta al mese, così dal nulla si mette a piangere e dice che le manca il genitore che non è con lei in quel momento e che vorrebbe tanto che abitassimo tutti e tre insieme.
Per assurdo fino ai 5/6 non ha mai fatto così, forse è più consapevole rispetto a prima, non saprei.
In ogni caso la mia domanda è questa, è normale che possa avere questi momenti di tristezza?
Secondo voi è necessario un supporto psicologico?
Dopo averle parlato e dato tutte le rassicurazioni, lei si calma e dopo 10 minuti come se non fosse successo niente, e spero che non ricapiti, ma poi ricapita e penso che forse le spiegazioni che le do e le rassicurazioni non siano corrette o sufficienti.
Io ed il padre ci siamo accordati si da subito su cosa direl quindi entrambi, le spieghiamo che a volte succede, che ci vogliamo bene lo stesso ma come amici, e che anche se siamo amici non possiamo abitare insieme, perché sennò ci bisticciamo e nessuno di noi 3 sarebbe felice, che la amiamo e che ci siamo nello stesso modo.
Grazie per farmi sapere
Sono ormai separata da 5 anni, la mia bimba all'epoca aveva 3 anni.
Dei sue prima 3 anni di vita non si ricorda niente, quindi non ha nessun ricordo di quando abitavamo tutti insieme.
Il rapporta tra me ed il padre è molto tranquillo, spesso quando ci incontriamo per prendere o portare la bimba ci fermiamo qualche minuto a parlare, ovviamente di cose inerenti alla bimba, un paio di volte l'anno, cioè alla recita di scuola e alla cena di fine anno, partecipiamo entrambi, insomma in sostanza il rapporto è buono.
Entrambi abbiamo un compagno/a non convivente, che la bimba adora.
Anche le maestre ci dicono che la bimba è serena, e anche noi la vediamo felice.
Ma da circa un anno/un anno e mezzo, almeno una volta al mese, così dal nulla si mette a piangere e dice che le manca il genitore che non è con lei in quel momento e che vorrebbe tanto che abitassimo tutti e tre insieme.
Per assurdo fino ai 5/6 non ha mai fatto così, forse è più consapevole rispetto a prima, non saprei.
In ogni caso la mia domanda è questa, è normale che possa avere questi momenti di tristezza?
Secondo voi è necessario un supporto psicologico?
Dopo averle parlato e dato tutte le rassicurazioni, lei si calma e dopo 10 minuti come se non fosse successo niente, e spero che non ricapiti, ma poi ricapita e penso che forse le spiegazioni che le do e le rassicurazioni non siano corrette o sufficienti.
Io ed il padre ci siamo accordati si da subito su cosa direl quindi entrambi, le spieghiamo che a volte succede, che ci vogliamo bene lo stesso ma come amici, e che anche se siamo amici non possiamo abitare insieme, perché sennò ci bisticciamo e nessuno di noi 3 sarebbe felice, che la amiamo e che ci siamo nello stesso modo.
Grazie per farmi sapere
[#1]
Gentile utente,
continuamente ripetiamo alle persone in procinto di separarsi, e talvolta a separazione avvenuta anche da anni, che è opportuno fare una terapia di coppia. Quando ci sono dei figli questo non è più solo opportuno: è indispensabile.
A questa necessità di consulenza esterna molti si ribellano con varie argomentazioni esplicite e con motivazioni inespresse o inconsce, per noi psicologi trasparenti.
Gliene cito qualcuna. Tra le esplicite: "Ormai è finita e non c'è più niente da riparare"; "Non credo nella psicologia"; "Non voglio raccontare i fatti miei ad un estraneo".
Tra le inconsce c'è il desiderio di nascondere la propria fragilità o la sotterranea persuasione di essere nel torto; e tra le inespresse qualche fatto preciso: adulterio, debiti, disturbi sessuali, patologie, omosessualità.
Ma la terapia di coppia non serve per riparare il non riparabile, e non espone a confessarsi davanti all'ex. Ha invece due scopi fondamentali:
- ripristinare la comunicazione tra i due, compromessa a volte fin dall'inizio e sempre peggiorata dai successivi fraintendimenti, che diventano delusioni, liti, offese;
- creare una narrazione precisa di ciò che la relazione è stata e dei motivi per i quali è giunta al termine.
Se il primo punto -la comunicazione- è utile anche ai figli, lo storytelling per loro è indispensabile.
Anche per i due protagonisti acquisire il senso di ciò che si è vissuto è importante, ma gli adulti sono in grado di sopportare l'incertezza o di ricostruirsi una "verità" fatta di accuse all'altro. In ogni caso sono i protagonisti del processo di separazione. Per i figli questo non avviene. Più volte dobbiamo spiegare che il costo della separazione viene pagato dai figli per intero e senza compensi.
I due ex si rivolgono critiche reciproche, e ne traggono un amaro sollievo per il fallimento dell'unione, che è anche un fallimento personale; un figlio viene lacerato dalla necessità di dover giudicare e dover riconoscere uno dei genitori, spesso entrambi, come colpevoli.
A questo punto per i figli è indispensabile avere almeno un'idea chiara, sincera e comprensibile (ovviamente in base all'età) del motivo per cui il papà e la mamma, prima si sono avvicinati al punto da volere un figlio o più d'uno, poi non si sono più voluti, anzi hanno molte cose da rimproverarsi (altrimenti come spiegare la separazione?) e hanno scelto altri partner.
L'amore che finisce, con uno dei due genitori che se ne va, per un bambino è una tragedia, e anche una minaccia. Via via che cresce, con diverse declinazioni nelle varie età e in base al contesto sociale, agli esempi degli amichetti e ai discorsi dei parenti, il bambino può sentire più viva la mancanza del genitore non convivente.
Una collega psicologa -la cito perché è una persona equilibrata e consapevole- risente tuttora della ferita infertale dalla "leggerezza" dei genitori nel separarsi e nell'imporle i rispettivi nuovi partner, e dichiara di aver sentito la tragedia di questa situazione non da piccola, quando trovava divertente fruire di due case con tanti giocattoli e una stanza per sé in ciascuna casa, ma nell'adolescenza.
Lei ci scrive che sua figlia non ricorda nulla dei primi tre anni (il che può anche essere una censura volontaria, ma non è questo il punto); scrive che il rapporto tra lei madre e il padre è "molto tranquillo" e che parlate "ovviamente di cose inerenti alla bimba".
Ma un figlio che ama tutti e due non troverà gelido questo rapporto che lei definisce "buono"? Meno cordiale di quello che c'è tra due amici, a ben guardare.
Lei aggiunge una frase che abbiano sentito troppe volte: "Entrambi abbiamo un compagno/a non convivente, che la bimba adora".
Perché questa adorazione, così innaturale? I due nuovi cercano di ingraziarsela, o è la bambina che esagera le manifestazioni di entusiasmo, avvertendo che sono gradite ai genitori?
E se i nuovi partner diventassero conviventi, occupando lo spazio del genitore assente?
Inoltre le festività la bimba con chi le trascorre, e con che animo?
Lei scrive: "penso che forse le spiegazioni che le do e le rassicurazioni non siano corrette o sufficienti".
Giusto timore. Provi a leggere questo che lei scrive, cercando di immedesimarsi in una piccola che piange di nostalgia per il padre assente: "Io ed il padre ci siamo accordati si da subito su cosa direl quindi entrambi, le spieghiamo che a volte succede, che ci vogliamo bene lo stesso ma come amici, e che anche se siamo amici non possiamo abitare insieme, perché sennò ci bisticciamo e nessuno di noi 3 sarebbe felice, che la amiamo e che ci siamo nello stesso modo".
Non le sembra che lei risponde con fredda razionalità a un dolore vivo?
Se la bambina avesse perso un giocattolo o un animale o un parente, non sarebbe diversa la sua reazione, la sua empatia?
Inoltre l'idea che siate amici ma che bisticcereste se abitaste insieme, e che sareste infelici in tre, non le sembra sempre meno verosimile per sua figlia, via via che cresce? Non si chiederà perché col nuovo partner lei non bisticcia, e con suo padre sì?
Rispondo alle sue due domande:
"In ogni caso la mia domanda è questa, è normale che possa avere questi momenti di tristezza?"
Sì. Lei stessa fa l'ipotesi corretta: "forse è più consapevole rispetto a prima".
"Secondo voi è necessario un supporto psicologico?"
A mio parere, da quello che ci racconta, almeno al momento non per la bambina. Sarebbe patologizzare il suo dolore così naturale, facendola sentire "sbagliata".
Se lei riuscirà a cullarla, abbracciarla, consolarla, senza dare sul momento spiegazioni pseudo-razionali, bensì manifestando comprensione per la perdita che la piccola avverte, le cose possono migliorare.
Può anche, dopo averla rassicurata coi suoi abbracci, ricordarle che il papà è sempre raggiungibile per telefono e di persona, che per la piccola c'è sempre.
Diciamo che in ultima analisi la "cura" può essere attuata da genitori consapevoli e attenti.
A me sembra che lei che ci scrive possa esserlo.
Se dovesse sentirsi incerta, pensi a qualche seduta di training parentale assieme al suo ex, o meglio ad un terapeuta delle relazioni che vi aiuti a dipanare il vostro vissuto, rasserenandovi.
Auguri, e se vuole ci tenga al corrente.
continuamente ripetiamo alle persone in procinto di separarsi, e talvolta a separazione avvenuta anche da anni, che è opportuno fare una terapia di coppia. Quando ci sono dei figli questo non è più solo opportuno: è indispensabile.
A questa necessità di consulenza esterna molti si ribellano con varie argomentazioni esplicite e con motivazioni inespresse o inconsce, per noi psicologi trasparenti.
Gliene cito qualcuna. Tra le esplicite: "Ormai è finita e non c'è più niente da riparare"; "Non credo nella psicologia"; "Non voglio raccontare i fatti miei ad un estraneo".
Tra le inconsce c'è il desiderio di nascondere la propria fragilità o la sotterranea persuasione di essere nel torto; e tra le inespresse qualche fatto preciso: adulterio, debiti, disturbi sessuali, patologie, omosessualità.
Ma la terapia di coppia non serve per riparare il non riparabile, e non espone a confessarsi davanti all'ex. Ha invece due scopi fondamentali:
- ripristinare la comunicazione tra i due, compromessa a volte fin dall'inizio e sempre peggiorata dai successivi fraintendimenti, che diventano delusioni, liti, offese;
- creare una narrazione precisa di ciò che la relazione è stata e dei motivi per i quali è giunta al termine.
Se il primo punto -la comunicazione- è utile anche ai figli, lo storytelling per loro è indispensabile.
Anche per i due protagonisti acquisire il senso di ciò che si è vissuto è importante, ma gli adulti sono in grado di sopportare l'incertezza o di ricostruirsi una "verità" fatta di accuse all'altro. In ogni caso sono i protagonisti del processo di separazione. Per i figli questo non avviene. Più volte dobbiamo spiegare che il costo della separazione viene pagato dai figli per intero e senza compensi.
I due ex si rivolgono critiche reciproche, e ne traggono un amaro sollievo per il fallimento dell'unione, che è anche un fallimento personale; un figlio viene lacerato dalla necessità di dover giudicare e dover riconoscere uno dei genitori, spesso entrambi, come colpevoli.
A questo punto per i figli è indispensabile avere almeno un'idea chiara, sincera e comprensibile (ovviamente in base all'età) del motivo per cui il papà e la mamma, prima si sono avvicinati al punto da volere un figlio o più d'uno, poi non si sono più voluti, anzi hanno molte cose da rimproverarsi (altrimenti come spiegare la separazione?) e hanno scelto altri partner.
L'amore che finisce, con uno dei due genitori che se ne va, per un bambino è una tragedia, e anche una minaccia. Via via che cresce, con diverse declinazioni nelle varie età e in base al contesto sociale, agli esempi degli amichetti e ai discorsi dei parenti, il bambino può sentire più viva la mancanza del genitore non convivente.
Una collega psicologa -la cito perché è una persona equilibrata e consapevole- risente tuttora della ferita infertale dalla "leggerezza" dei genitori nel separarsi e nell'imporle i rispettivi nuovi partner, e dichiara di aver sentito la tragedia di questa situazione non da piccola, quando trovava divertente fruire di due case con tanti giocattoli e una stanza per sé in ciascuna casa, ma nell'adolescenza.
Lei ci scrive che sua figlia non ricorda nulla dei primi tre anni (il che può anche essere una censura volontaria, ma non è questo il punto); scrive che il rapporto tra lei madre e il padre è "molto tranquillo" e che parlate "ovviamente di cose inerenti alla bimba".
Ma un figlio che ama tutti e due non troverà gelido questo rapporto che lei definisce "buono"? Meno cordiale di quello che c'è tra due amici, a ben guardare.
Lei aggiunge una frase che abbiano sentito troppe volte: "Entrambi abbiamo un compagno/a non convivente, che la bimba adora".
Perché questa adorazione, così innaturale? I due nuovi cercano di ingraziarsela, o è la bambina che esagera le manifestazioni di entusiasmo, avvertendo che sono gradite ai genitori?
E se i nuovi partner diventassero conviventi, occupando lo spazio del genitore assente?
Inoltre le festività la bimba con chi le trascorre, e con che animo?
Lei scrive: "penso che forse le spiegazioni che le do e le rassicurazioni non siano corrette o sufficienti".
Giusto timore. Provi a leggere questo che lei scrive, cercando di immedesimarsi in una piccola che piange di nostalgia per il padre assente: "Io ed il padre ci siamo accordati si da subito su cosa direl quindi entrambi, le spieghiamo che a volte succede, che ci vogliamo bene lo stesso ma come amici, e che anche se siamo amici non possiamo abitare insieme, perché sennò ci bisticciamo e nessuno di noi 3 sarebbe felice, che la amiamo e che ci siamo nello stesso modo".
Non le sembra che lei risponde con fredda razionalità a un dolore vivo?
Se la bambina avesse perso un giocattolo o un animale o un parente, non sarebbe diversa la sua reazione, la sua empatia?
Inoltre l'idea che siate amici ma che bisticcereste se abitaste insieme, e che sareste infelici in tre, non le sembra sempre meno verosimile per sua figlia, via via che cresce? Non si chiederà perché col nuovo partner lei non bisticcia, e con suo padre sì?
Rispondo alle sue due domande:
"In ogni caso la mia domanda è questa, è normale che possa avere questi momenti di tristezza?"
Sì. Lei stessa fa l'ipotesi corretta: "forse è più consapevole rispetto a prima".
"Secondo voi è necessario un supporto psicologico?"
A mio parere, da quello che ci racconta, almeno al momento non per la bambina. Sarebbe patologizzare il suo dolore così naturale, facendola sentire "sbagliata".
Se lei riuscirà a cullarla, abbracciarla, consolarla, senza dare sul momento spiegazioni pseudo-razionali, bensì manifestando comprensione per la perdita che la piccola avverte, le cose possono migliorare.
Può anche, dopo averla rassicurata coi suoi abbracci, ricordarle che il papà è sempre raggiungibile per telefono e di persona, che per la piccola c'è sempre.
Diciamo che in ultima analisi la "cura" può essere attuata da genitori consapevoli e attenti.
A me sembra che lei che ci scrive possa esserlo.
Se dovesse sentirsi incerta, pensi a qualche seduta di training parentale assieme al suo ex, o meglio ad un terapeuta delle relazioni che vi aiuti a dipanare il vostro vissuto, rasserenandovi.
Auguri, e se vuole ci tenga al corrente.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Utente
Grazie mille dottoressa per gli spunti di riflessione ed i suggerimenti, probabilmente essendo io una persona estremamente razionale che tende a superare le difficoltà più con la testa che con il cuore, ero un po lontana dall'idea di dare poche spiegazioni, tante rassicurazioni, e sicuramente delle alternative per far sentire meno la mancanza dell'altro genitore, semplicemente come dice lei con la possibilità di una telefonata. Durante la separazione con il padre abbiamo fatto un percorso da una mediatrice, che ci aveva dato diciamo una linea generale su cosa dire alla bimba, all'epoca queste spiegazioni le erano bastate, ma evidentemente con l'età che cambia anche il nostro approccio dovrà cambiare. Per quanto riguarda i partner di entrambi li vede saltuariamente, diciamo 1 volta alla settimana a periodi anche meno, quindi quando passiamo il tempo insieme loro sono molto dediti alla bimba, per cui credo che a lei faccia semplicemente piacere stare al centro dell'attenzione. In ogni caso grazie per l'aiuto
[#3]
Gentile utente,
sono lieta di sapere che i miei suggerimenti possono esserle utili.
Tenga conto che la naturalezza nei rapporti con la bambina impedirà molti equivoci, ora e in futuro.
I due nuovi partner "molto dediti alla bimba" mi fanno pensare al comportamento che avevo ipotizzato: "I due nuovi cercano di ingraziarsela".
E' un metodo molto comune per rinsaldare il legame con un partner che ha figli, ma non è realmente rivolto alla bimba: è una rassicurazione per il suo genitore.
Forse ora la bambina non lo avverte, ma presto comprenderà anche questo: non è lei che è davvero "al centro dell'attenzione" - sempre che tale condizione sia desiderabile. Inoltre se i nuovi partner dovessero a loro volta allontanarsi, per la bambina sarebbe una nuova perdita.
Auguri per tutto.
sono lieta di sapere che i miei suggerimenti possono esserle utili.
Tenga conto che la naturalezza nei rapporti con la bambina impedirà molti equivoci, ora e in futuro.
I due nuovi partner "molto dediti alla bimba" mi fanno pensare al comportamento che avevo ipotizzato: "I due nuovi cercano di ingraziarsela".
E' un metodo molto comune per rinsaldare il legame con un partner che ha figli, ma non è realmente rivolto alla bimba: è una rassicurazione per il suo genitore.
Forse ora la bambina non lo avverte, ma presto comprenderà anche questo: non è lei che è davvero "al centro dell'attenzione" - sempre che tale condizione sia desiderabile. Inoltre se i nuovi partner dovessero a loro volta allontanarsi, per la bambina sarebbe una nuova perdita.
Auguri per tutto.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 93 visite dal 21/11/2024.
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