Dipendenza affettiva

Mi sono trasferita nella città del mio ragazzo per stare con lui e per lavoro.

Faccio una premessa: provengo da una famiglia dove le cose si fanno sempre insieme, mia madre non ha amiche e idem mio padre.
Vivono in simbiosi uno per l'altro e hanno trovato così il loro equilibrio, e sono certa che questa visione distopica ha influenzato il mio modo di vedere le relazioni.

Prima del trasferimento ho chiuso una relazione di 7 anni, dove l'altra persona "incarnava" gli ideali di mio padre, e i miei.
Ci vedevamo SEMPRE, ma a causa della distanza il sentimento è venuto meno, oltre che altri eventi.

Mi sono nuovamente innamorata, come dicevo prima, per poi trasferirmi.
Conviviamo da 1 anno.
Sono entrata nella sua vita, e gliel'ho sconvolta.
Lui però è stato molto bravo a cercare di tenere vive alcuni aspetti della sua vita prima della convivenza, tra cui uscire con amici ecc.

Io so che sbaglio, so che non è giusto, so che in questo modo faccio vivere una relazione tossica, ho bisogno di aiuto, ma lo vorrei quasi tutto per me.
Quando esce, non sono serena.
Ho bisogno del controllo di sapere dov'è.

So che sbaglio, giuro.
So che è dovuto alla mia famiglia.

Ora non posso permettermi sedute dallo psicologo, so che ne gioverei.

So anche che farmi amicizie aiuterebbe, ne ho poche ma sono qui da poco.
Ho pochissimi hobby, so che dovrei cercarne altri.

Ma a prescindere da ciò, voglio che mi venga automatico lasciarlo andare, senza poi aspettarlo piangendo.

Vi prego, datemi dei consigli
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
lei si muove nell'ambito di una confusione che partendo dalla sfera emotiva e cognitiva si riverbera sull'uso dei termini e subisce da quest'uso un ulteriore incremento.
L'essenziale è cominciare a fare ordine nei suoi pensieri, poi nelle sue emozioni, e il modo per iniziare questo processo può essere il fare ordine nel linguaggio.
Lei intitola la sua richiesta di consulto "dipendenza affettiva".
Questa condizione verrebbe smentita dal fatto che ha chiuso una relazione durata sette anni perché il sentimento era venuto meno.
Nessuna dipendenza affettiva quindi verso il primo partner, a proposito del quale lei aggiunge altre osservazioni contraddittorie: "Ci vedevamo SEMPRE", ma vi siete lasciati "a causa della distanza".
O stavate troppo vicini, o stavate troppo lontani, dice la logica.
Inoltre lei scrive che il suo primo partner " "incarnava" gli ideali di mio padre, e i miei".
Dunque lei, ancora adolescente, anziché vivere la normale crisi di separazione-individuazione che fa scoprire sé come differente dai genitori, sceglie un partner che si accorda alle scelte di suo padre.
Forse allora la sua dipendenza affettiva è nei confronti dei genitori?
Lo farebbe pensare l'eccessiva enfasi con la quale lei osserva il comportamento dei genitori come coppia, e sembra considerarlo un modello che è costretta ad imitare, pur disapprovandolo.
Ma la coppia genitoriale, per età, funzioni, appartenenza ad un'altra epoca, non diventa per i figli non ancora sposati un modello da imitare pedissequamente.
Inoltre lei imputa ai suoi genitori una "visione distopica" (di cosa? della gente, della vita, di che altro?) e ritiene che questa visione abbia influenzato il suo modo di vedere le relazioni.
La distopia, sappiamo, è il contrario dell'utopia, cioè è una visione della realtà e del futuro permeata di paura e angoscia.
Lei avverte questo nei suoi genitori? Stanno da soli e sempre insieme per difendersi da un mondo "cattivo" che li minaccia? E lei avrebbe ereditato senza confutarla questa visione paranoide, proiettandola sull'attuale partner, e temendo quindi che ogni sua uscita da solo sia un grave pericolo?
Dalle cose che ha scritto, sembrerebbe che "il pericolo", se c'è, sia proprio lei.
Scrive: "Sono entrata nella sua vita, e gliel'ho sconvolta"; aggiunge: "faccio vivere una relazione tossica, ho bisogno di aiuto, ma lo vorrei quasi tutto per me. Quando esce, non sono serena. Ho bisogno del controllo di sapere dov'è".
Conclude spostando la responsabilità di questo al di fuori di sé: "So che è dovuto alla mia famiglia".
La sua famiglia ha alimentato in lei questa paura? Le hanno parlato del drago che sputa fiamme e mangia i bravi ragazzi appena varcano la porta di casa, o di quale altro esito catastrofico di un'uscita con gli amici?
Provi piuttosto, visto che quando il suo partner passa un po' di tempo fuori, lei lo aspetta piangendo, ad analizzare davanti ad una pagina bianca quali sono le sue idee in quelle ore di angoscia. Un esercizio di Scrittura Espressiva le sarebbe molto utile. Potrebbe scoprire cose che hanno poco a che fare sia con la dipendenza affettiva, sia con l'abitudine dei suoi genitori di fare tutto insieme.
Quanto alla frase: "Ora non posso permettermi sedute dallo psicologo, so che ne gioverei" mi chiedo se lei direbbe lo stesso per l'ortopedico se avesse una frattura, per il chirurgo se avesse l'appendicite, per il cardiologo se avesse un'insufficienza cardiaca.
L'eventualità di perdere l'amore del suo ragazzo e soprattutto la sua possibilità di vivere felice, le sembrano meno gravi delle malattie che ho citato?
Quanto al non potersi permettere lo psicologo, ricordi che alle ASL, al Consultorio Familiare, al Centro di Salute Mentale, presso le Scuole di psicoterapia e anche con il bonus psicologi, se ricorrono le condizioni economiche, può incontrare psicologi a costi accettabili o gratuitamente.
Può farsi prescrivere dal suo medico di famiglia una serie di incontri con un* psicolog* del Servizio Pubblico o recarsi di persona a prendere informazioni. Inoltre molti specialisti privati non hanno prezzi proibitivi e possono venirle incontro.
Il problema vero sta nel non volersi assumere la responsabilità e la fatica del cambiamento.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#2]
Utente
Utente
La ringrazio per la risposta.
Per la mia vecchia relazione, questa è finita per un mio trasferimento, e ci siamo resi conto che il sentimento non era così forte da riuscire a stare distanti, io mi aspettavo che venisse a trovarmi ma mai una volta.
Però sono felice di come sia andata, senza questa rottura non avrei potuto conoscere il mio fidanzato attuale, sul quale vorrei focalizzare l'attenzione su questo forum.
Ho sbagliato nell'utilizzo delle parole, e mi risulta difficile spiegarlo diversamente.
sono consapevole di sbagliare, so che non ho motivo per essere in stato di ansia quando lui non c'è, vorrei però che mi venisse spontaneo essere felice per lui quando esce, e non dover sempre controllare il cellulare affinché mi dica che sta bene e cosa sta facendo.
Quando, per esempio, io sono fuori città (per trovare i miei), non sopporto che lui torni a casa alle 2.
Sarà perchè io invece quando sono dai miei, alle 22 sono già a letto? E per me non è un problema esserlo, perchè ho vissuto intensamente la giornata con loro e mi accontento di non uscire la sera, perchè ahimè nella mia vecchia città non ho più amici.
Ma come dicevo, vorrei che mi venisse spontaneo dirgli "che bello sono felice che sei uscito", senza l'angoscia di aver perso il controllo per quel lasso di tempo? Forse. Mi domando.
E il tutto l'ho attribuito parzialmente alla mia famiglia, perchè come dicevo, sono una coppia che se si viaggia, lo si fa assieme, spesa idem. E non dico che è giusto, ma è molto difficile per me aver avuto per 25 anni questo modello, e non volerlo riprodurre nella mia vita con lui.
Mentre, nella mia ex relazione, anche lui voleva questo tipo di relazione, quindi ora che la relazione è opposta, e nella quale vorrei rimanere, le cose sono diverse. E vorrei davvero essere serena, con me stessa.
Grazie.
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