Fine di una relazione pur amandolo

Buongiorno,
Ho lasciato 10 giorni fa il mio fidanzato dopo due anni e mezzo di relazione a distanza.
Io 34 ann-lui 42

Ho vissuto questi 2 anni e mezzo con la consapevolezza che per star con lui e progettare una vita con lui avrei dovuto cambiare città, vita, famiglia, amici e lavoro premetto che lui vive in un paese vicino Bologna dove ha un azienda familiare ed io a roma.
Lui prima di me ha solo avute storie brevi, niente convivenza, niente promesse di matrimonio o figli.
Io ho già avuto due convivenze e quando lo conobbi uscivo da una relazione molto importante.
Lui viene da una famiglia molto per bene ma molto fredda, priva di argomenti, giudicante, incapaci di comunicare amore e affetto al figlio (più piccolo di 4 fratelli) un padre assente, tutti obbligati a lavorare nella azienda di famiglia.
Io famiglia caotica, genitori separati, rapporto rivedibili con entrambi i miei genitori in particolare con mio padre che non vedo e sento da quasi 5 anni ormai.


Insomma l idea di dovermi traferire non mi ha mai entusiasmata ma non tanto per lui quanto per la poca certezza che quest uomo mi ha sempre trasmesso su questo passo.
Abbiamo discusso tanto su dove vivere perché l idea della campagna bolognese non è che mi allettasse tanto ma da parte sua ho sempre trovato un muro e poca comprensione rispetto al mio ipotetico sacrificio pretendeva che io facessi il passo di vivere da lui facendomi carico di tutto andando a vivere dove viveva lui senza che lui dovesse mettere in discussione neanche una piccola parte di se stesso.


Per la paura di perderlo prosegui con la storia evitando di toccare l argomento perché avevo la sensazione che se avessi preso una posizione in merito l avrei perso quindi occultai tutto.
Ma in me nacque frustrazione, delusione, rabbia, solitudine che spesso sfociano in discussioni o battibecchi che lui trasformava nella sua testa in liti che a detta sua lo portavano a pensare che non fossimo compatibili quindi mi metteva costantemente in discussione non siamo compatibili, non siamo fatti per stare insieme, io non ti chiedo di venire a vivere qui perché discutiamo troppo.
Ma non è vero avevamo discussioni piuttosto confronti o stupidi battibecchi come delle coppie normali una volta al mese?
Una volta ogni due mesi?

Morale della favola sembrava che volessimo prendere questa decisione pochi giorni prima di chiedere il trasferimento a causa di una mia brutta risposta, lui rimette tutto in discussione.
Ed è evidente che il motivo non fosse la brutta risposta ma una sua poca convinzione nei miei riguardi quindi mise tutto di nuovo in discussione e in dubbio.

Pochi giorni prima ti amo, mi manchi, non vedo l ora di stare insieme, ha parlato più e più volte di figli.
Lui ha iniziato un percorso di terapia perché è evidente che sia un uomo insicuro, confuso, che soffre per il rapporto dei genitori, forse non ha voluto cambiare città per me perché ha paura del loro giudizio.
Ma è finita ed io spero che ritorni da me.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 194
Gentile utente,
provo a formulare io la domanda che lei non esprime: "Faccio bene ad aspettarmi che lui torni sui suoi passi?"
Se sta chiedendo quali possibilità ci sono che lui torni sulla sua decisione, le risponderò che non possiamo saperlo. Certo il fatto che sia arrivato a quarantadue anni senza una convivenza né un legame duraturo, e che intorno ai quaranta abbia iniziato una relazione a distanza con una persona più giovane che presumibilmente non desiderava passare da una grande città del centro alle nebbie della campagna emiliana, lascia sospettare che il suo desiderio di una relazione stabile sia accompagnato da resistenze e paure, come avviene di frequente in queste persone rimaste sotto la presenza incombente dei genitori, specie se addirittura legate a filo doppio all'azienda di famiglia.
Ma venendo a lei che ci scrive, la stessa domanda prende un altro aspetto. Deve continuare a coltivare il sogno di un ritorno, nato dall'improvviso cambiamento di quest'uomo? Può credere davvero che lui si strapperà alle sue profonde radici, se non lo ha fatto nei primi mesi del vostro incontro, in genere quelli dei maggiori entusiasmi, e al contrario l'approfondirsi del legame lo ha portato a considerarlo una sorgente di stress e frustrazioni?
Guarda caso, la lite definitiva avviene proprio sul punto di concretizzare la convivenza, e come lei nota, per futili motivi...
Ci sarebbe da chiedersi, piuttosto, se lei stessa abbia analizzato i motivi delle sue scelte sentimentali, sia quella appena conclusa che le precedenti, e se non ci sia anche in lei una resistenza a concretizzare, o la tendenza a ripetere costantemente un copione che comporta la disfatta e la perdita.
Non ci dice se ha già compiuto un percorso psicologico di conoscenza di sé e riparazione degli schemi relazionali imperfetti.
Forse la crisi attuale può suggerirle nuovi spunti di riflessione.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#2]
Utente
Utente
Sono seguita da più di 5 anni.
Assolutamente sono al corrente delle mie problematiche e delle mie paura ma le mie resistenze sul concretizzare non nascono da me bensì dall aver avuto una persona affianco che non mi ha mai dato modo di sentirmi sicura del cambiamento che avrei dovuto affrontare che come definisce lei molto complesso passare da una grande città alla nebbia della compagnia emiliana. Ma in totale onestà sarei stata disposta ad affrontare questo cambiamento se ci fosse stata da parte sua una solidità che ho analizzato in questi due anni essere molto precaria per dinamiche che non riguardano noi ma solo lui purtroppo. Anche lui ha iniziato un percorso sotto mio sollecito in quanto vivendo la sua famiglia e i suoi stati d animo ho pensato lo avrebbero aiutato ad accettare la sua vita e la sua situazione lavorativa e familiare. Insomma sono molto confusa perché non è una decisione presa con il cuore ma per tutela verso me stessa e per la paura di rimanere in un limbo.
Ma vorrei vederlo tornare
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 194
Gentile utente,
come mai si trova in un percorso terapeutico così lungo? Esistono condizioni di cronicità, o piuttosto il suo impegno nel processo di cura è stato imperfetto, parziale?
Farebbe propendere per questa seconda ipotesi il fatto che si rivolge a noi anziché al suo curante per esprimere l'inevitabile sofferenza del distacco, ma anche il fatto che qui espone delle idee disfunzionali che senza dubbio il curante rifiuta, invitandola a metterle in discussione.
Mi riferisco a questo: "le mie resistenze sul concretizzare non nascono da me bensì dall aver avuto una persona affianco che non mi ha mai dato modo di sentirmi sicura"; "sarei stata disposta ad affrontare questo cambiamento se ci fosse stata da parte sua una solidità che ho analizzato in questi due anni essere molto precaria per dinamiche che non riguardano noi ma solo lui".
Certo lei capisce che nelle dinamiche di una coppia la mancanza di sicurezza viene da tutte e due le parti, tant'è vero che a mettere fine alla relazione siete stati in due: lui rimettendo in discussione la possibilità di convivere in seguito all'ennesimo scontro, lei prendendo la decisione di chiudere "per tutela verso me stessa per la paura di rimanere in un limbo".
Del resto nella sua prima email lei scriveva che fin dall'inizio a lei venivano chieste una serie di rinunce mentre lui non voleva rinunciare a nulla, e concludeva: "Per la paura di perderlo prosegui con la storia evitando di toccare l argomento perché avevo la sensazione che se avessi preso una posizione in merito l avrei perso quindi occultai tutto".
Un così palese timore dell'abbandono, tale da spingerla ad "occultare tutto", viene certo sistematicamente rilevato e confutato dal terapeuta; altrimenti in cosa consisterebbe la cura che porta avanti da cinque anni?
Evidentemente in questo momento di sofferenza lei sta attraversando una fase di regressione. Ne faccia l'occasione, con l'aiuto del curante, per un più deciso superamento degli schemi che fin qui hanno condizionato la sua vita.
Buone cose.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
Conosco molto bene la mia paura dell abbandono e del rifiuto. Non occulto niente al mio terapeuta ma dovendolo vedere tra qualche tempo sentivo il
Bisogno di condividere la mia sofferenza anche qui. La mia terapia prosegue perche senza dubbio ho ancora qualcosa di irrisolto.
Avevo bisogno di un sopporto e non di essere spinta in questo modo brusco.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 194
Gentile utente,
mi faccia capire meglio. Considera una "spinta brusca" le parole con cui la invitavo a trasformare la sua attuale sofferenza in "un più deciso superamento degli schemi che fin qui hanno condizionato la sua vita", ossia la spingevo verso la guarigione?
Glielo chiedo, sia per cercare di venirle ancora in aiuto, sia perché in questi giorni il mio Ordine professionale ha pubblicato un allarme sui malintesi che si producono da qualche tempo sulla funzione dello psicologo, e credo utile segnalare questi rischi non solo a lei, ma a tutti quelli che ci leggono.
Alcuni vanno dallo psicologo, oggi, non per conoscersi e cambiare quanto c'è di disfunzionale nel loro modo di affrontare la vita, ma cercando una spalla su cui piangere (per questo bastano i parenti, gli amici, perfino gli sconosciuti), o peggio ancora cercando una sorta di complice che avalli tutte le loro idee e i loro comportamenti, anche i più irrazionali e meno idonei al benessere, alimentando così la pericolosa illusione che almeno uno su tutta la terra li capisce, e che tutti gli altri, se non li accolgono così come sono, hanno torto, mentre loro stessi hanno sempre ragione.
Ne conseguirebbe la necessità di restare attaccati a questo pericoloso "curante che non cura" per tutta la vita, senonché la vita stessa segnala che stiamo sbagliando qualcosa, coi disturbi psicosomatici oltre che coi ripetuti insuccessi, per cui si tratta di cambiare abitudini, non di essere consolati delle continue cadute che queste abitudini inevitabilmente provocano.
Nel caso di lei che ci scrive, fa riflettere il fatto che abbia iniziato una relazione problematica pur essendo in terapia già da anni ed essendo consapevole della sua paura dell'abbandono e del rifiuto.
Certamente lei stessa si sarà interrogata sui motivi di questa scelta.
Rifletta, inoltre, che per dare sempre ragione a una persona che ha in sé stessa le cause della propria sofferenza non occorre uno specialista che ha studiato per almeno dieci anni.
Sono consapevole della sofferenza che lei sta attraversando in questo momento -tenga conto che prima di risponderle ho letto come sempre tutte le sue richieste di consulto- ma la invito ancora a farne lo strumento per prendere in pugno in maniera vincente la sua vita.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#6]
Utente
Utente
Cara dottoressa
Quindi ho commesso l errore di aver iniziato una relazione mentre sono in terapia per risolvere delle mie questioni tra cui la paura dell abbandono e del rifiuto? Se sei in terapia non puoi avere una relazione ?
Si è stata brusca anche perché sicuramente parlare tramite messaggi di massimo 3000 parole e senza poter spiegare tutto a 360 non permette di cogliere alcune sfumature.
Ad ogni modo non si preoccupi il mio curante non viene remunerato per assecondarmi.
Grazie
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 194
Gentile utente,
malgrado il mio esplicito intento di aiutarla la sento ancora polemica, e questo dovrebbe farla riflettere sulle sue modalità relazionali; la invito a farlo assieme al suo curante, che certamente non collude con lei.
Sono perfettamente d'accordo sul fatto che poche parole online non sostituiscono il colloquio clinico; le linee guida di questa piattaforma lo dicono agli utenti e a noi specialisti lo dice l'esperienza.
La pregherei tuttavia di rileggere con attenzione quanto ho scritto, anche perché in nessun modo lei è riuscita a indicare dove sarei stata brusca.
Certo si iniziano relazioni mentre si è in terapia, ma io ho scritto esplicitamente: RELAZIONE PROBLEMATICA. Dopo due anni di terapia mirata a sconfiggere la paura del rifiuto e dell'abbandono, in genere non si torna a scegliere un legame che lei descrive così: "Per la paura di perderlo prosegui con la storia evitando di toccare l argomento perché avevo la sensazione che se avessi preso una posizione in merito l avrei perso quindi occultai tutto".
Immagino che il curante le abbia fatto notare subito che stava incamminandosi per una china pericolosa e l'abbia invitata a immaginare le conseguenze di sue osservazioni come questa: "da parte sua ho sempre trovato un muro e poca comprensione rispetto al mio ipotetico sacrificio pretendeva che io facessi il passo di vivere da lui facendomi carico di tutto andando a vivere dove viveva lui senza che lui dovesse mettere in discussione neanche una piccola parte di se stesso".
Alcuni pazienti iniziano il percorso terapeutico con la ferma volontà di affrontare la fatica e l dolore del cambiamento e si avvalgono dell'aiuto del professionista come di una sponda a cui appoggiarsi; altri si rifugiano dietro il comportamento oppositivo-provocatorio che hanno adottato fin da bambini per autodifesa, e anche questo, come le ha certo detto il suo curante, ha un significato clinico a noi noto.
Anche per una parte di questi pazienti è possibile la guarigione, ma è necessario che desiderino ottenerla e lottino per questa meta, non contro di essa.
Da qui ritengo che non si possa fare altro per lei.
Ancora auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com