Quanto insistere se il paziente non vuole farsi curare?

Buongiorno,
Scrivo in quanto preoccupata per mio padre che, ora 70enne, all'età di 30 anni ha scoperto di avere una malattia invalidante, nonostante questo, grazie alla sua determinazione ha vissuto la sua vita senza lasciare che la malattia fosse un ostacolo per i suoi sogni: ha comprato un'azienda ed è diventato imprenditore, alzandosi tutte le mattine alle 5 e facendo 200 km ogni giorno.
Ha fatto grandi sacrifici e ha ottenuto molte soddisfazioni.

Da quando è andato in pensione, in concomitanza con il Covid (ha venduto l'azienda) è cambiato radicalmente.
Se prima era una persona molto decisa e sicura di sé, ora soffre di ansia e depressione e va in crisi per ogni piccola decisione.
Ha provato, su nostra insistenza, ad andare da 3 psicologici/ psichiatri diversi ma è stato un buco nell'acqua (è da sempre molto chiuso di carattere) non ne vuole sapere, alle sedute parla poco e niente e dopo poche volte smette in quanto non crede nei medici psicologi o psichiatri.

Passa le giornate sul divano vedendo problemi in qualsiasi cosa e assillando mia madre che per fortuna è molto forte, attiva e positiva, ma anche lei non sa più cosa fare.

Lui non ha più interesse per nulla, stima per sé stesso (si sente inutile) e fiducia negli altri (dovrebbere prendere delle decisioni urgenti ma non riesce e nemmeno lascia che mia madre o i figli se ne occupino).

Un paziente così chiuso e malfidente potrà mai essere aiutato?
Non riesco a pensare di rassegnarmi in quanto ha fatto una vita di sacrifici e non si merita questa infelicità ma non so quanto ha senso insistere ancora se lui non vuole essere aiutato?


Grazie mille
Silvia
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Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.4k 596 67
Gentile utente,

Ci sarebbe da fare un lungo discorso sulla crisi da pensionamento, soprattutto maschile.
In fondo quelle donne che per tutta la vita hanno lavorato (anche) fuori casa, nel momento in cui cessano l'attività professionale mantengono pur sempre una continuità su un'infinità di cose che caratterizza da sempre la loro vita di donne. Al contrario quando l'uomo va in pensione perde tutto; e questo avviene per una buona percentuale di maschi.

Tenga conto che la fase anziana viene anche denominata "età delle perdite":
-diminuiscono l'efficienza del corpo e la salute,
-si perdono le soddisfazioni e l'adrenalina del lavoro,
-si impoverisce il mondo relazionale anche a causa del decesso di persone vicine,
-i figli escono di casa per formarsi una propria realtà.
Ciò rappresenta la base per quella patologia specifica che viene denominata "depressione senile", e che talvolta ha bisogno di un apporto multidisciplinare.

"Un paziente così chiuso e malfidente potrà mai essere aiutato?", ci chiede Lei.

Per gran parte degli uomini di una certa età la psicoterapia non rappresenta una strada percorribile: non è che a loro manchino le parole per raccontarsi, a molti manca addirittura l'alfabeto.
E dunque la strada che rimane è quella farmacologica. Talvolta a cura dello Psichiatra; talaltra di un bravo Geriatra considerato che il percorso di cura e riabilitazione può essere differente da quello della persona adulta.

La problematica che Lei introduce è molto importante per tutti: figli e genitori/persone che invecchiano,
-sia perchè oggi investe un periodo piuttosto lungo della vita (può durare anche 15-20 anni, da 65 ad 85 di età )
- sia perchè dopo "una vita di sacrifici non si merita questa infelicità".
Cortesemente ci dia un riscontro qui.

Saluti cordiali.
dott. Brunialti

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

[#2]
Utente
Utente
Buonasera Dott.ssa,

Grazie per il riscontro. Mio padre segue già una cura farmacologica da 3 anni ma senza risultati perché di fatto non è stata mai abbinata a un dialogo o a dei colloqui costanti nel tempo e quindi le sole medicine non riescono a "curare" il suo malessere interiore (ansie,fissazioni, paure etc.) se queste non vengono affrontate.
Forzarlo ad andare da qualcuno di nuovo mi sembra sbagliato, ma anche lasciare stare non credo sia la strada giusta. Sicuramente la situazione non migliorerà da sé pertanto forse la prima opzione è necessaria?
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Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.4k 596 67
"..le sole medicine non riescono a "curare" il suo malessere interiore (ansie,fissazioni, paure etc.)
se queste non vengono affrontate."

Questo è il punto di vista che riflette le considerazioni valide per le persone adulte, come risulta anche dalla ricerca sintetizzata qui: https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/6285-depressione-psicoterapia-e-piu-efficace-dei-soli-farmaci-nel-lungo-periodo.html .
Però non sempre tutto ciò vale per le persone anziane, per i motivi che ho esposto nella precedente risposta.

Tenga conto inoltre che "ansie, fissazioni, paure" sono delle patologie psichiche; curabili.
Per "malessere interiore" invece perlopiù si intende quello esistenziale, riguardante l'invecchiamento, il senso della vita, le perdite. E certamente questi interrogativi non sono trattabili con i farmaci, anche se il disagio e la sofferenza che provocano possono essere alleviati farmacologicamente.

Riguardo ai farmaci, dopo tre anni sarebbe dunque il caso di far fare una rivalutazione della terapia, però da parte di un* specialista che sia veramente competente sulle tematiche della terza età, oltre che sulla farmacologia.

Non abbiamo ancora parlato delle attività che potrebbero far sentire ancora utile Suo padre, come spesso avviene facendo parte di un gruppo di volontariato che valorizzi le risorse individuali.

Saluti cordiali.
Dott. Brunialti

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/