Non capisco cosa mi stia succedendo
Negli ultimi mesi ho vissuto un'esperienza di ansia molto intensa che ha preso una forma più invasiva rispetto a quella a cui ero abituata.
Sono una ragazza di 22 anni e l'ansia è sempre stata parte della mia vita, ma per fortuna sono sempre riuscita a godermi la vita circondata da amici e affetti.
Sono sempre stata vivace e socievole, portando spesso allegria quando ce n'era bisogno.
A giugno, dopo un periodo di grande stress legato all'università e un lutto familiare, ho iniziato a sentire quotidianamente un peso sul petto.
Ho pensato fosse ansia, ma non riuscivo a capire da cosa dipendesse.
Mi ero appena laureata e avevo tutta l’estate libera, quindi non c'era un motivo evidente per sentirmi così.
Con il passare dei mesi, la mia situazione è peggiorata.
Ho iniziato a provare un forte senso di derealizzazione, che mi ha spaventata molto e che è durato per alcuni giorni.
A fine luglio, probabilmente arrivata a un punto di intolleranza fisica e mentale verso questa condizione, sono scoppiata in un pianto incontrollabile.
Questo episodio mi ha terrorizzata perché non sapevo perché stessi piangendo senza motivo e mi sono sentita fuori controllo, temendo di poter fare qualcosa di grave a me stessa.
Il giorno dopo mi è successo di nuovo alla stessa ora, e questo mi ha spaventata ancora di più, perché rivivevo le stesse emozioni.
Presa dalla paura, ho contattato una psicologa, che fortunatamente aveva un posto disponibile il giorno seguente.
Tuttavia, una sola seduta non mi è bastata, anche se lei mi ha detto che si trattava di ansia.
Purtroppo, non poteva seguirmi ad agosto perché era in ferie, così ho smesso di cercare aiuto.
Ricordo quel periodo come orribile.
Oltre all'ansia costante, non riuscivo a trovare gioia in nulla, nemmeno nelle cose che prima mi piacevano.
Mi sentivo senza speranze per il futuro, nonostante avessi piani entusiasmanti, come il trasferimento all’estero per lavoro, che prima mi avrebbe resa felice.
Non riuscivo a capire il perché di questa sensazione, mentre a tutto ciò si aggiungevano pensieri intrusivi e violenti, soprattutto verso le persone che amo, facendomi sentire in colpa e peggiorando la mia situazione.
Ora la situazione è cambiata: non ho più pensieri negativi verso il futuro e quelli violenti si sono attenuati.
Tuttavia, sento ancora quel peso sul petto ogni giorno e l’ansia si manifesta in altri modi.
Quando penso a casa mia o immagino luoghi come camere da letto o hotel, provo una forte ansia e non capisco perché.
Se sono fuori con amici e penso che poi devo tornare a casa, mi sale un'ansia terribile, come se avessi una forma di "claustrofobia".
Questo mi fa sentire in colpa e mi fa pensare di essere pazza, perché nemmeno casa, un luogo che dovrebbe essere sicuro, lo è più per me.
Oggi cerco di vivere la mia vita come prima, uscendo con amici e viaggiando.
Ho contattato una psicologa, che spero possa seguirmi a breve, ma ho paura che la situazione possa peggiorare con il mio trasferimento all’estero a fine mese.
Sono una ragazza di 22 anni e l'ansia è sempre stata parte della mia vita, ma per fortuna sono sempre riuscita a godermi la vita circondata da amici e affetti.
Sono sempre stata vivace e socievole, portando spesso allegria quando ce n'era bisogno.
A giugno, dopo un periodo di grande stress legato all'università e un lutto familiare, ho iniziato a sentire quotidianamente un peso sul petto.
Ho pensato fosse ansia, ma non riuscivo a capire da cosa dipendesse.
Mi ero appena laureata e avevo tutta l’estate libera, quindi non c'era un motivo evidente per sentirmi così.
Con il passare dei mesi, la mia situazione è peggiorata.
Ho iniziato a provare un forte senso di derealizzazione, che mi ha spaventata molto e che è durato per alcuni giorni.
A fine luglio, probabilmente arrivata a un punto di intolleranza fisica e mentale verso questa condizione, sono scoppiata in un pianto incontrollabile.
Questo episodio mi ha terrorizzata perché non sapevo perché stessi piangendo senza motivo e mi sono sentita fuori controllo, temendo di poter fare qualcosa di grave a me stessa.
Il giorno dopo mi è successo di nuovo alla stessa ora, e questo mi ha spaventata ancora di più, perché rivivevo le stesse emozioni.
Presa dalla paura, ho contattato una psicologa, che fortunatamente aveva un posto disponibile il giorno seguente.
Tuttavia, una sola seduta non mi è bastata, anche se lei mi ha detto che si trattava di ansia.
Purtroppo, non poteva seguirmi ad agosto perché era in ferie, così ho smesso di cercare aiuto.
Ricordo quel periodo come orribile.
Oltre all'ansia costante, non riuscivo a trovare gioia in nulla, nemmeno nelle cose che prima mi piacevano.
Mi sentivo senza speranze per il futuro, nonostante avessi piani entusiasmanti, come il trasferimento all’estero per lavoro, che prima mi avrebbe resa felice.
Non riuscivo a capire il perché di questa sensazione, mentre a tutto ciò si aggiungevano pensieri intrusivi e violenti, soprattutto verso le persone che amo, facendomi sentire in colpa e peggiorando la mia situazione.
Ora la situazione è cambiata: non ho più pensieri negativi verso il futuro e quelli violenti si sono attenuati.
Tuttavia, sento ancora quel peso sul petto ogni giorno e l’ansia si manifesta in altri modi.
Quando penso a casa mia o immagino luoghi come camere da letto o hotel, provo una forte ansia e non capisco perché.
Se sono fuori con amici e penso che poi devo tornare a casa, mi sale un'ansia terribile, come se avessi una forma di "claustrofobia".
Questo mi fa sentire in colpa e mi fa pensare di essere pazza, perché nemmeno casa, un luogo che dovrebbe essere sicuro, lo è più per me.
Oggi cerco di vivere la mia vita come prima, uscendo con amici e viaggiando.
Ho contattato una psicologa, che spero possa seguirmi a breve, ma ho paura che la situazione possa peggiorare con il mio trasferimento all’estero a fine mese.
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Gentile utente,
spesso l’ansia va vista come il messaggio che il nostro Sè, attraverso il corpo, ci restituisce riguardo le nostre condotte nella vita. Per fare un esempio, se siamo troppo accondiscendenti, se per quieto vivere rinunciamo a mettere in campo i nostri veri pensieri, bisogni ecc., il corpo ci restituisce un vissuto ansioso come campanello d’allarme, per far sì che possiamo ripensare in senso più assertivo e autentico le nostre risposte alle situazioni della vita.
Insomma, se rinunciamo a parti profondamente costitutive di noi, il corpo ci allerta. Il lutto è un’esperienza che necessita un attraversamento doloroso e complesso, e spesso noi cerchiamo di evitare tali vissuti per tornare a seguire al più presto le nostre "cose" della vita. Attraversare un’esperienza di questo tipo proprio quando si ha "tutta l’estate libera" di cui si vorrebbe godere può non essere facile. A volte l’ansia può venirci a dire di stare più con i veri bisogni del Sè che con bisogni più pensati (ed effettivamente desiderabili) ma che non costituiscono in qul nostro momento la priorità proprio in base al difficile compito che stiamo attraversando (quello, in questo caso, del lutto). é indicativo che si sia spaventata per il pianto incontrollabile, perchè in realtà secondo me è stata una risposta del tutto sana e congruente con quanto stava passando, ma forse si tratta di una parte di lei a cui ha sempre dato poco spazio, proprio perchè per la sua forza può spaventare e non permettere di sentirsi in pieno controllo; si trattava però di una necessità molto intima e profonda, circa l’esperienza vissuta. Credo che il suo timore di tornare a casa parli proprio della sua paura, una volta tornata nella situazione dello stare con se stessa, di contattare nuovamente questa parte molto legata all'affettività.
Provi quindi a ripensare la Sua situazione in questi termini, veda l’effetto che le fa
Un saluto cordiale
spesso l’ansia va vista come il messaggio che il nostro Sè, attraverso il corpo, ci restituisce riguardo le nostre condotte nella vita. Per fare un esempio, se siamo troppo accondiscendenti, se per quieto vivere rinunciamo a mettere in campo i nostri veri pensieri, bisogni ecc., il corpo ci restituisce un vissuto ansioso come campanello d’allarme, per far sì che possiamo ripensare in senso più assertivo e autentico le nostre risposte alle situazioni della vita.
Insomma, se rinunciamo a parti profondamente costitutive di noi, il corpo ci allerta. Il lutto è un’esperienza che necessita un attraversamento doloroso e complesso, e spesso noi cerchiamo di evitare tali vissuti per tornare a seguire al più presto le nostre "cose" della vita. Attraversare un’esperienza di questo tipo proprio quando si ha "tutta l’estate libera" di cui si vorrebbe godere può non essere facile. A volte l’ansia può venirci a dire di stare più con i veri bisogni del Sè che con bisogni più pensati (ed effettivamente desiderabili) ma che non costituiscono in qul nostro momento la priorità proprio in base al difficile compito che stiamo attraversando (quello, in questo caso, del lutto). é indicativo che si sia spaventata per il pianto incontrollabile, perchè in realtà secondo me è stata una risposta del tutto sana e congruente con quanto stava passando, ma forse si tratta di una parte di lei a cui ha sempre dato poco spazio, proprio perchè per la sua forza può spaventare e non permettere di sentirsi in pieno controllo; si trattava però di una necessità molto intima e profonda, circa l’esperienza vissuta. Credo che il suo timore di tornare a casa parli proprio della sua paura, una volta tornata nella situazione dello stare con se stessa, di contattare nuovamente questa parte molto legata all'affettività.
Provi quindi a ripensare la Sua situazione in questi termini, veda l’effetto che le fa
Un saluto cordiale
Dott. Andrea Di Monte
Psicologo psicoterapeuta -
Tolmezzo (Ud)
https://www.andreadimontepsicologopsicoterapeuta.it/
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 365 visite dal 08/10/2024.
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