Come accettare l'idea di restare sola per sempre
Buongiorno cari dottori,
Sono una ragazza di 23 anni, a breve 24 che sta attraversando e ha attraversato una situazione quanto mai difficile e brutta.
Dopo il bullismo subito in adolescenza, e con la pandemia dai 19 anni in su, appena iniziata l'università, si può dire che abbia vissuto perennemente da sola.
È una situazione che mi è iniziata a pesare a 21 anni, quando ho iniziato a rendermi conto che le mie giornate erano diventate monotone e buie.
Vivo con la mia famiglia, sono figlia unica.
Sono stata molto sfortunata.
Ho vissuto per intero i problemi economici dei miei che non mi hanno mai permesso di vivere una vita più aperta e magari poter andare via dal mio paese, in cui mi sono trovata sempre male.
Per non pesare economicamente frequento l'università viaggiando.
A causa di ciò ho sviluppato ansia sociale e fobie, visto che il mio unico contatto col mondo rimane solo questo prettamente didattico in cui non ci sono possibilità di incontri.
I legami che ho fatto si sono rivelati solo un intrattenimento transitorio per avere qualcuno con cui chiacchierare tra una lezione e l'altra ma niente di più.
Dal fronte ragazzi non ne ho mai avuto uno.
In passato ho provato interesse per un ragazzo che inizialmente sembrava ricambiare.
Ho paura di continuare a vivere così.
Ovunque vedo gente sistemata, amata e ricambiata e con dei progetti.
Impiegherò qualche anno ancora per finire l'università.
Questa situazione mi ha fatta rimanere anche indietro.
Non parlando e vedendo anima viva per mesi, specie col COVID, non riuscivo nemmeno lontanamente a parlare con qualcuno, figuriamoci sostenere un esame.
Non mi hanno capita, ascoltata o aiutata in nessun modo.
Ad oggi sento telefonicamente solo due ragazze che non mi sento di definire amiche perché ognuno fa la sua vita.
Credetemi che sono in una situazione in cui non posso fare proprio niente.
Qui non c'è una palestra.
Andare sola a passeggio e provare ad incontrare qualcuno?
fatto per due mesi circa con enorme imbarazzo, provare a studiare in università?
fatto, ma tutti i ragazzi che ho incontrato a stento ricambiano uno sguardo, fare terapie psicologiche per migliorare aspetti del mio carattere, non lo posso fare per una questione economica.
Sono molto bella e questo mi viene ribadito spesso.
Attraggo sguardi dai ragazzi quando ho occasione di incrociarne qualcuno fuori dai contesti universitari in tutti si sono fidanzati dai 18 praticamente.
Mi sento senza contesto.
Gli altri in carreggiata per percorrere il loro destino e io in un angolo.
Non dormo più la notte.
Sono stata sempre super brava a scuola e da qui è nata invidia e bullismo.
Che vita mi aspetta se non arriverà almeno una persona giusta e buona da poter amare e iniziare a camminare?
Dove andrò a finire in questa situazione?
Studio con tutta me stessa ma l'idea di andarmene a vivere da sola dopo mi fa paura.
È un dolore orribile che non auguro a nessuno di sperimentare.
Non so cosa fare, ne se si potrà mai fare qualcosa, se accadrà qualcosa che svolterà la situazione
Sono una ragazza di 23 anni, a breve 24 che sta attraversando e ha attraversato una situazione quanto mai difficile e brutta.
Dopo il bullismo subito in adolescenza, e con la pandemia dai 19 anni in su, appena iniziata l'università, si può dire che abbia vissuto perennemente da sola.
È una situazione che mi è iniziata a pesare a 21 anni, quando ho iniziato a rendermi conto che le mie giornate erano diventate monotone e buie.
Vivo con la mia famiglia, sono figlia unica.
Sono stata molto sfortunata.
Ho vissuto per intero i problemi economici dei miei che non mi hanno mai permesso di vivere una vita più aperta e magari poter andare via dal mio paese, in cui mi sono trovata sempre male.
Per non pesare economicamente frequento l'università viaggiando.
A causa di ciò ho sviluppato ansia sociale e fobie, visto che il mio unico contatto col mondo rimane solo questo prettamente didattico in cui non ci sono possibilità di incontri.
I legami che ho fatto si sono rivelati solo un intrattenimento transitorio per avere qualcuno con cui chiacchierare tra una lezione e l'altra ma niente di più.
Dal fronte ragazzi non ne ho mai avuto uno.
In passato ho provato interesse per un ragazzo che inizialmente sembrava ricambiare.
Ho paura di continuare a vivere così.
Ovunque vedo gente sistemata, amata e ricambiata e con dei progetti.
Impiegherò qualche anno ancora per finire l'università.
Questa situazione mi ha fatta rimanere anche indietro.
Non parlando e vedendo anima viva per mesi, specie col COVID, non riuscivo nemmeno lontanamente a parlare con qualcuno, figuriamoci sostenere un esame.
Non mi hanno capita, ascoltata o aiutata in nessun modo.
Ad oggi sento telefonicamente solo due ragazze che non mi sento di definire amiche perché ognuno fa la sua vita.
Credetemi che sono in una situazione in cui non posso fare proprio niente.
Qui non c'è una palestra.
Andare sola a passeggio e provare ad incontrare qualcuno?
fatto per due mesi circa con enorme imbarazzo, provare a studiare in università?
fatto, ma tutti i ragazzi che ho incontrato a stento ricambiano uno sguardo, fare terapie psicologiche per migliorare aspetti del mio carattere, non lo posso fare per una questione economica.
Sono molto bella e questo mi viene ribadito spesso.
Attraggo sguardi dai ragazzi quando ho occasione di incrociarne qualcuno fuori dai contesti universitari in tutti si sono fidanzati dai 18 praticamente.
Mi sento senza contesto.
Gli altri in carreggiata per percorrere il loro destino e io in un angolo.
Non dormo più la notte.
Sono stata sempre super brava a scuola e da qui è nata invidia e bullismo.
Che vita mi aspetta se non arriverà almeno una persona giusta e buona da poter amare e iniziare a camminare?
Dove andrò a finire in questa situazione?
Studio con tutta me stessa ma l'idea di andarmene a vivere da sola dopo mi fa paura.
È un dolore orribile che non auguro a nessuno di sperimentare.
Non so cosa fare, ne se si potrà mai fare qualcosa, se accadrà qualcosa che svolterà la situazione
[#1]
Gentile utente,
la domanda del titolo è una delle tante prove della sua condizione depressiva.
Lei dice di essere molto bella e molto brava a scuola. Non ci sono dunque ragioni oggettive né per la mancanza di relazioni sentimentali, né per il ritardo nel conseguire la laurea.
Avverto nelle sue parole un integrale disfattismo. Cosa le impedisce, per fare un esempio, di lavorare mentre studia, acquisendo così non solo contatti umani, ma quella sicurezza che deriva dal sapere che si è in grado di mantenersi?
Forse lei basa la sua sofferenza su quelle che in Schema Therapy si chiamano "pretese", ossia ritiene che fare la cameriera in un ristorante o in una birreria, la badante o la domestica a ore potrebbero "abbassarla" rispetto ad una sua visione in cui lei giganteggia su tutti.
Questa potrebbe essere la causa iniziale del suo isolamento, e perfino l'origine del bullismo a scuola.
Inoltre lei sembra chiedere aiuto nel modo sbagliato e alle persone sbagliate: delle amiche dice che non può considerarle tali perché "ognuno fa la sua vita". Le amiche dovrebbero essere delle assistenti sociali?
Peggio ancora, lei scrive: "fare terapie psicologiche per migliorare aspetti del mio carattere, non lo posso fare per una questione economica".
Premesso che per migliorare il carattere ci sono anche testi di auto-aiuto, all'università c'è lo psicologo gratuito, proprio dedicato a chi ritarda la conclusioni degli studi per ragioni eminentemente psicologiche. Poi esistono i consultori, le ASL e i tanti centri pubblici e privati a basso costo.
Lei dice che non ha parlato con nessuno in pandemia: e il telefono? I social? Questi strumenti addirittura invasivi, che in genere ci assillano, per lei non sono esistiti? E in assenza di distrazioni, invece di accelerare gli esami, con le lezioni e spesso gli esami stessi online, lei perché non li ha fatti?
Inoltra, lei vive coi suoi genitori. Almeno con loro parla, immagino, altrimenti non si spiega la frase: "Studio con tutta me stessa ma l'idea di andarmene a vivere da sola dopo mi fa paura".
Se al contrario coi genitori non c'è un gran dialogo, perché desidera spasmodicamente rimanerci?
E per concludere, lei auspica che arrivi "almeno una persona giusta e buona da poter amare e iniziare a camminare".
Ossia, vorrebbe ricadere a corpo morto su una specie di partner-terapeuta che però lei non riesce a intravedere da nessuna parte, e questo "complesso di Cenerentola" lo vuol coltivare nel terzo millennio?
Il problema che lei lamenta, quello di non venir mai compresa, e che probabilmente si ripeterà anche leggendo queste mie parole, scaturisce dal fatto che lei non attua un vero dialogo a cuore aperto, mettendo in discussione le sue resistenze, con nessuno.
Cominci a farlo.
Auguri.
la domanda del titolo è una delle tante prove della sua condizione depressiva.
Lei dice di essere molto bella e molto brava a scuola. Non ci sono dunque ragioni oggettive né per la mancanza di relazioni sentimentali, né per il ritardo nel conseguire la laurea.
Avverto nelle sue parole un integrale disfattismo. Cosa le impedisce, per fare un esempio, di lavorare mentre studia, acquisendo così non solo contatti umani, ma quella sicurezza che deriva dal sapere che si è in grado di mantenersi?
Forse lei basa la sua sofferenza su quelle che in Schema Therapy si chiamano "pretese", ossia ritiene che fare la cameriera in un ristorante o in una birreria, la badante o la domestica a ore potrebbero "abbassarla" rispetto ad una sua visione in cui lei giganteggia su tutti.
Questa potrebbe essere la causa iniziale del suo isolamento, e perfino l'origine del bullismo a scuola.
Inoltre lei sembra chiedere aiuto nel modo sbagliato e alle persone sbagliate: delle amiche dice che non può considerarle tali perché "ognuno fa la sua vita". Le amiche dovrebbero essere delle assistenti sociali?
Peggio ancora, lei scrive: "fare terapie psicologiche per migliorare aspetti del mio carattere, non lo posso fare per una questione economica".
Premesso che per migliorare il carattere ci sono anche testi di auto-aiuto, all'università c'è lo psicologo gratuito, proprio dedicato a chi ritarda la conclusioni degli studi per ragioni eminentemente psicologiche. Poi esistono i consultori, le ASL e i tanti centri pubblici e privati a basso costo.
Lei dice che non ha parlato con nessuno in pandemia: e il telefono? I social? Questi strumenti addirittura invasivi, che in genere ci assillano, per lei non sono esistiti? E in assenza di distrazioni, invece di accelerare gli esami, con le lezioni e spesso gli esami stessi online, lei perché non li ha fatti?
Inoltra, lei vive coi suoi genitori. Almeno con loro parla, immagino, altrimenti non si spiega la frase: "Studio con tutta me stessa ma l'idea di andarmene a vivere da sola dopo mi fa paura".
Se al contrario coi genitori non c'è un gran dialogo, perché desidera spasmodicamente rimanerci?
E per concludere, lei auspica che arrivi "almeno una persona giusta e buona da poter amare e iniziare a camminare".
Ossia, vorrebbe ricadere a corpo morto su una specie di partner-terapeuta che però lei non riesce a intravedere da nessuna parte, e questo "complesso di Cenerentola" lo vuol coltivare nel terzo millennio?
Il problema che lei lamenta, quello di non venir mai compresa, e che probabilmente si ripeterà anche leggendo queste mie parole, scaturisce dal fatto che lei non attua un vero dialogo a cuore aperto, mettendo in discussione le sue resistenze, con nessuno.
Cominci a farlo.
Auguri.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Ex utente
La ringrazio per la gentile risposta. Non mi sono mai sentita superiore a nessuno altrimenti non avrei sofferto la situazione attuale. Per risponderle brevemente, anche se la situazione è molto più complessa di come possa apparire, il bullismo a scuola è stato severamente punito dagli insegnanti e dal preside di allora che hanno seguito passo passo le varie vicende. Come poteva essere colpa mia se una ragazza si è messa in testa di farmi del male e da lì ha creato una catena in cui chiedeva agli altri di non parlarmi e tutti le davano retta? Lo sa meglio di me che i ragazzini possono diventare molto cattivi a volte. Ovviamente a furia di stare da sola ho sviluppato molta ansia sociale e il contatto con gli altri mi fa paura. Social in pandemia? Stavo a casa, non avevo nessuno con cui parlare e mi creda che ci ho provato a riallacciare qualche rapporto con qualche compagno di allora, a scrivere milioni di "come stai"? ai quali non ricevevo più risposta. Per non disturbare o sembrare disperata non chiedevo più. Con i miei ho sempre parlato. Hanno vissuto passo passo quello che mi è successo, soffrendo credo anche più di me. Non potevo ovviamente costringere a diventare mio amico chi non voleva, ho solo provato ad essere il più gentile possibile, ottenendo indietro solo male. Mi sfruttavano per quello che gli serviva, per i compiti perché ero brava, poi non mi volevano più. Non sono riuscita a fare gli esami in pandemia perché ovviamente dopo mesi e mesi di casa e stanzetta per me era terribile accendere un computer e parlare con tanta gente così di colpo. Temevo una brutta figura, che mi sarei bloccata, che non sarei stata in grado. Alla fine è un po' come prendere un animale che è sempre stato in cattività e mandarlo a New York di colpo, come si sentirebbe? Poi col tempo, andando in presenza e osservando da vicino e prendendo confidenza con l'ambiente, è una paura che ho superato. Non vorrei mai essere un peso per un partner, ma un valore aggiunto. Lo vorrei per avere la mia indipendenza e finalmente non stare a casa il giorno di Natale mentre gli altri vanno in vacanza. Le amiche non devono assolutamente essere assistenti sociali, ma se non mi scrivono se non so io la prima a farlo, se chiaramente non mi cercano come io faccio con loro, non posso arrivare a confidare certe problematiche. Quando scriviamo o parliamo, cerchiamo altri credo sia perché ne sentiamo il bisogno, se poi c'è una complicità è perché anche l'altro ne sente il bisogno. E così funziona in tutto, amicizia, amore e altro. Io sono una ragazza sensibile che aldilà di quello che stava vivendo a 16/17 anni, ad un certo punto ha messo da parte il dolore del bullismo perché c'era in famiglia chi stava peggio e avrei fatto di tutto per salvare mio nonno che mi ha lasciata dall' oggi al domani. Ho solo paura di rimanere sola perché non riesce niente di ciò che provo a fare per cambiare la mia situazione e dentro di me ogni giorno sogno cosa possa voler dire essere felici e poter amare. Vorrei poter condividere gioie e dolori con qualcuno e poterlo amare soprattutto. Mi dispiace che abbia un po' banalizzato e semplificato la mia richiesta di consiglio dandomi la colpa di tutto, ma comprendo che da un consulto online è difficile capire situazioni complesse. Per dire...mi facevano chiamate con numeri falsi, quando ero con mio nonno in ospedale, ridevano e chiudevano. Giustifichi lei una simile cattiveria.... Cordiali saluti
[#3]
Ex utente
Il modo in cui mi ha risposto mi ha lasciata totalmente sbigottita. Concludo il discorso e non la disturberò oltre perché non credo né valga la pena. Mi ha giudicata, riempita di colpe e ha banalizzato una situazione di enorme sofferenza in quattro righe. Nemmeno a dimostrare un attimo di sostegno ad una persona che comunque ha 20 anni, non 50 e ci sta possa avere una visione anche un po' sbagliata del mondo. Un giorno in classe una professoressa chiese:" Perché lasciate sempre sola lei? Vi ha fatto qualcosa?" Una compagna rispose:" No, non ci ha fatto nulla ma abbiamo già i nostri amici e lei non può farne parte". Come dovrei avere delle colpe in questo? Ed esisterebbero mille altri episodi. Che ne sa dei sorrisi, della disponibilità ( troppa, che forse ho sbagliato a dare) che dimostravo e che ha fatto si che si approfittassero della ragazza brava della classe per poi evitarla. Delle feste di compleanno alle quali volevo partecipare e non mi invitavano ma con la stessa faccia tosta, il giorno dopo impreparati venivano a chiedermi ripetizioni e io, per non negarmi quell'unico contatto umano, comunque davo per poi essere lasciata in un angolo. Non banalizzate le situazioni come se nulla fosse perché io sto soffrendo, è vero, ma sono stata comunque sempre in grado di avere coraggio, di resistere, di credere al meglio, di piangere per chi sta male, di aiutare quando possibile, di sorridere perché i sorrisi possono migliorare la giornata. Non tutti i ragazzi ne sono purtroppo in grado e mi fa soffrire tanto questo. Perché la solitudine imposta, la negazione dell'altro fa male, fa un male atroce specialmente quando effettivamente non ci sono motivi dietro ( anche se non esiste mai un motivo per negare il contato umano ad una persona, chiunque essa sia). E poi gira e rigira è normale che una volta originate determinate situazioni non sono facili da sciogliere, per quanto si provi. È un mondo arido quello in cui viviamo, privo di bellezza, in cui se rispondi subito su WhatsApp sei sfigato e non hai di meglio da fare, in cui non si conosce gentilezza, ascolto, complicità. In cui una persona ti deve "servire" per essere voluta, invece che essere amorevolmente tutti portati a stare più insieme con serenità. Non è giusto generalizzare, so che esistono anche le persone buone e in loro confido. Il complesso di Cenerentola? Cenerentola mi risulta avesse perso la mamma e venisse schiavizzata e seviziata dalle perfide sorellastre. Poteva ipoteticamente scappare. Ma a parole è facile, i fatti concreti sono altri. Se fino ad adesso ho sempre vissuto con i genitori non mi sembra facile andare a vivere di colpo sola, magari in una città, dopo la laurea. E proprio perché non ho nulla che non va per avere di più e magari una vita normale come vedo a molti mi sono posta il problema. Il motto di Cenerentola era"Sii gentile e abbi coraggio". Sforzatevi di capire i disagi delle persone perché nessuno soffre senza causa alcuna. Già un "sono con te", "voglio che tu stia meglio" è migliore rispetto a qualsiasi critica infondata e inopportuna. Almeno gli specialisti, cercate di non deludere.
[#4]
Gentile utente,
ancora una volta, come avevo previsto, lei scambia un tentativo di aiutarla per incomprensione e banalizzazione del suo problema, che crede unico e che accetta come una fatalità ineluttabile, senza cercarne una spiegazione: "Gli altri in carreggiata per percorrere il loro destino e io in un angolo".
Ma questo avrà un motivo, che ne dice? E ribadisco: non "una colpa", ma senza dubbio una causa. Lei dice che le attribuisco "la colpa" del bullismo subito a scuola; addirittura che le do "la colpa di tutto".
Rilegga con attenzione: ho parlato di "origine" del problema, non di colpa. Equivocare su questi termini è come non riconoscere l'origine della Shoà nel fatto che chi l'ha patita era ebreo, e dire invece che essere ebrei sarebbe una colpa!
Avendo più di cinquant'anni di professione sulle spalle, di casi come il suo ne ho visti più d'uno. La caratteristica di fondo è sempre quella di ritenere che tutto quello che accade: 1) dipende dagli altri; 2) è fatale e senza rimedio; 3) prima o poi un "amore" scaturito non si sa da dove risolverà tutto, dai problemi sentimentali a quelli pratici.
Lei conclude la prima email con le parole: "Non so cosa fare, ne se si potrà mai fare qualcosa, se accadrà qualcosa che svolterà la situazione" e nella seconda ribadisce il suo "complesso di Cenerentola" (argomento di un noto libro) con le parole: "Vorrei poter condividere gioie e dolori con qualcuno e poterlo amare soprattutto". Addirittura scrive: "Lo vorrei [il partner] per avere la mia indipendenza e finalmente non stare a casa il giorno di Natale mentre gli altri vanno in vacanza".
Ma quanto grande è il suo equivoco? Lei vorrebbe un legame, al fine di essere indipendente?
Se vuole andare in vacanza a Natale, perché non si organizza come tanti altri, con gite da single oppure offrendosi come accompagnatrice ad agenzie, a parrocchie che organizzano viaggi all'estero, a signore anziane sole?
Non essere un peso per un partner vuol dire essere serena e propositiva, e non voler riversare su di lui le confidenze dolorose e i dispiaceri che andavano elaborati con parenti, amici, da sola o con un* psicolog*, senza portarseli dietro per sempre come un bagaglio di scuse per favorire l'intorpidimento esistenziale.
La psicologia chiama quest'attitudine: "locus of control esterno"; e naturalmente, finché non si fanno i primi passi per uscirne, non comincia quell'allenamento che nel tempo ci fa sentire artefici della nostra vita.
Noti che dei suggerimenti che le davo non ne ha presi in considerazione nessuno. Li replico qui:
- lavorare in campi in cui l'offerta di lavoro non manca;
- recarsi dallo psicologo universitario, che a suo tempo l'avrebbe aiutata a fare gli esami in pandemia e adesso a partecipare a quei gruppi Facebook, Instagram, WhatsApp che aiutano a gestire anche gli aspetti pratici dell'università: procurarsi libri, dispense, riassunti, notizie sulle modalità di svolgimento di ogni esame, etc.;
- cercare gli psicologi gratuiti o quasi del Servizio Sanitario Nazionale.
Lei a questo non risponde: torna invece sulla sua attuale solitudine e sui torti subiti da tutti, dopo aver detto nella prima email due cose che si contraddicono: "tutti i ragazzi che ho incontrato a stento ricambiano uno sguardo"; e due righe sotto: "Attraggo sguardi dai ragazzi quando ho occasione di incrociarne qualcuno fuori dai contesti universitari". Allora questi sguardi li attira solo fuori dall'università? Come mai?
Eppure dice di essere molto bella. In che modo dunque raggela gli uomini? Li fulmina con lo sguardo, come la mitologica Medusa? Ha una voce sgradevole? Li offende? Che altro?
Le suggerirei uno dei tanti corsi sulla comunicazione che si trovano anche online, se lei non avesse parlato di fobie e ansie, elementi che rimandano a disturbi che richiedono una cura, non un addestramento generico alla socialità; ma certo nemmeno dei lamenti.
Penso che se lei avesse un doloroso e continuo mal di pancia andrebbe dal gastroenterologo, farebbe analisi, prenderebbe farmaci e seguirebbe una dieta. O invece non farebbe nient'altro che lamentarsi del fatto che le capita di mangiare solo brassicacee?
La vita è una sola, ragazza mia. Se la renda piacevole, cominciando a capire che solo lei può farlo, con o senza un aiuto specialistico, ma certo con la volontà di farsi del bene, anche se i primi passi richiedono fatica.
Auguri.
ancora una volta, come avevo previsto, lei scambia un tentativo di aiutarla per incomprensione e banalizzazione del suo problema, che crede unico e che accetta come una fatalità ineluttabile, senza cercarne una spiegazione: "Gli altri in carreggiata per percorrere il loro destino e io in un angolo".
Ma questo avrà un motivo, che ne dice? E ribadisco: non "una colpa", ma senza dubbio una causa. Lei dice che le attribuisco "la colpa" del bullismo subito a scuola; addirittura che le do "la colpa di tutto".
Rilegga con attenzione: ho parlato di "origine" del problema, non di colpa. Equivocare su questi termini è come non riconoscere l'origine della Shoà nel fatto che chi l'ha patita era ebreo, e dire invece che essere ebrei sarebbe una colpa!
Avendo più di cinquant'anni di professione sulle spalle, di casi come il suo ne ho visti più d'uno. La caratteristica di fondo è sempre quella di ritenere che tutto quello che accade: 1) dipende dagli altri; 2) è fatale e senza rimedio; 3) prima o poi un "amore" scaturito non si sa da dove risolverà tutto, dai problemi sentimentali a quelli pratici.
Lei conclude la prima email con le parole: "Non so cosa fare, ne se si potrà mai fare qualcosa, se accadrà qualcosa che svolterà la situazione" e nella seconda ribadisce il suo "complesso di Cenerentola" (argomento di un noto libro) con le parole: "Vorrei poter condividere gioie e dolori con qualcuno e poterlo amare soprattutto". Addirittura scrive: "Lo vorrei [il partner] per avere la mia indipendenza e finalmente non stare a casa il giorno di Natale mentre gli altri vanno in vacanza".
Ma quanto grande è il suo equivoco? Lei vorrebbe un legame, al fine di essere indipendente?
Se vuole andare in vacanza a Natale, perché non si organizza come tanti altri, con gite da single oppure offrendosi come accompagnatrice ad agenzie, a parrocchie che organizzano viaggi all'estero, a signore anziane sole?
Non essere un peso per un partner vuol dire essere serena e propositiva, e non voler riversare su di lui le confidenze dolorose e i dispiaceri che andavano elaborati con parenti, amici, da sola o con un* psicolog*, senza portarseli dietro per sempre come un bagaglio di scuse per favorire l'intorpidimento esistenziale.
La psicologia chiama quest'attitudine: "locus of control esterno"; e naturalmente, finché non si fanno i primi passi per uscirne, non comincia quell'allenamento che nel tempo ci fa sentire artefici della nostra vita.
Noti che dei suggerimenti che le davo non ne ha presi in considerazione nessuno. Li replico qui:
- lavorare in campi in cui l'offerta di lavoro non manca;
- recarsi dallo psicologo universitario, che a suo tempo l'avrebbe aiutata a fare gli esami in pandemia e adesso a partecipare a quei gruppi Facebook, Instagram, WhatsApp che aiutano a gestire anche gli aspetti pratici dell'università: procurarsi libri, dispense, riassunti, notizie sulle modalità di svolgimento di ogni esame, etc.;
- cercare gli psicologi gratuiti o quasi del Servizio Sanitario Nazionale.
Lei a questo non risponde: torna invece sulla sua attuale solitudine e sui torti subiti da tutti, dopo aver detto nella prima email due cose che si contraddicono: "tutti i ragazzi che ho incontrato a stento ricambiano uno sguardo"; e due righe sotto: "Attraggo sguardi dai ragazzi quando ho occasione di incrociarne qualcuno fuori dai contesti universitari". Allora questi sguardi li attira solo fuori dall'università? Come mai?
Eppure dice di essere molto bella. In che modo dunque raggela gli uomini? Li fulmina con lo sguardo, come la mitologica Medusa? Ha una voce sgradevole? Li offende? Che altro?
Le suggerirei uno dei tanti corsi sulla comunicazione che si trovano anche online, se lei non avesse parlato di fobie e ansie, elementi che rimandano a disturbi che richiedono una cura, non un addestramento generico alla socialità; ma certo nemmeno dei lamenti.
Penso che se lei avesse un doloroso e continuo mal di pancia andrebbe dal gastroenterologo, farebbe analisi, prenderebbe farmaci e seguirebbe una dieta. O invece non farebbe nient'altro che lamentarsi del fatto che le capita di mangiare solo brassicacee?
La vita è una sola, ragazza mia. Se la renda piacevole, cominciando a capire che solo lei può farlo, con o senza un aiuto specialistico, ma certo con la volontà di farsi del bene, anche se i primi passi richiedono fatica.
Auguri.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#5]
Ex utente
La ringrazio nuovamente per la gentile attenzione. Le rispondo un po' alle sue domande. Il mio impegno principale, al momento, è lo studio, in una facoltà che comunque occupa quasi la totalità delle mie giornate perché molto difficile e piena di tirocini da fare. Si sta dalle nove alle sei di sera. Viaggio per più di due ore per arrivare e tornare. Non credo ci sia tempo per altro. Pur volendo, la realtà del mio paese purtroppo, già non offre molto lavoro per chi lo cerca con estrema necessità, figuriamoci per una studentessa che non potrebbe nemmeno andarci con regolarità. I ragazzi che incontro nell' università "ricambiano a stento gli sguardi". Non li fulmino, ma non sono disponibili la maggior parte. Sono tutti fidanzati e forse questo mi sta causando molta ansia. Altri magari sono più freddi, schivi. Se sorrido e non ricambiano non posso prenderli di petto. Se c'è la possibilità di scambiare qualche chiacchiera, l'ho fatto tranquillamente qualche volta. Fuori mi capita spesso perché le ripeto, sono abbastanza carina, e forse questo attrae di più l'attenzione di ragazzi. Ho provato a cercare supporto psicologico, ma le ripeto la realtà è quella che è e non è facile. Lo psicologo tempo fa veniva una volta ogni tanto qui e le volte in cui ho provato, c'erano sempre prenotazioni e liste di attesa di anni. Nell'università l'hanno messo da poco, un anno forse. È mia intenzione informarmi meglio sicuramente perché so che aiuterebbe. Incolpo "gli altri" perché sono stati loro purtroppo e mi creda che a lungo avrei voluto avere e trovare dei difetti significativi in me, così da dire di dover cambiare e migliorare, mi avrebbe consolata perché mi avrebbe dato il controllo della situazione. Avrei potuto tirare un sospiro di sollievo perché allora qualcosa potevo effettivamente fare. Se arrivasse un ragazzo, nemmeno parlerei di tutto questo, perché sarei così felice da non aver tempo di pensare più a tutto questo e forse significherebbe che tutto ciò sia stato solo frutto della sfortuna e una brutta pagina da dimenticare e conservarne il coraggio che in me ha comunque da una parte forgiato. Il cervello vaglia soluzioni possibili con quello che ha a disposizione. Parlo dell' amore che deve "arrivare" perché in altri modi non riesco o posso raggiungerlo ora. Qua non c'è nessuna possibilità o via d'uscita. Comprendo che l'unica via, sia quella di cambiare città, anche da sola o con l'aiuto dei genitori all'inizio e provare a rinascere altrove. Aspetto l'avvento fortunato perché so che esiste. Mi viene in mente un calciatore che vede la bella bionda e si mette in testa che dovrà essere sua moglie, e alla fine così è stato. A tutti coloro che hanno fatto quell'incontro fortunato e la loro vita è cambiata. Io non mi sono mai messa a "giganteggiare" con nessuno, soprattutto a 15 anni quando tutto è iniziato. Ma lei conosce la storia di Kitty Genovese. Quando uno la uccideva gli altri guardavano. Con me hanno fatto la stessa cosa. Saranno stati due/tre a mettere in piedi il gioco, ma altri 30 a reggerlo, e quando chiedevo loro di essere ascoltata, proponevo uscite, ripeto, li aiutavo a studiare venivo solo sfruttata e poi lasciata la perché, perché, perché doveva andare così!! Boh, senza un senso. E se chiedevi loro perché si comportassero così, non sapevano rispondere perché un motivo non c'era. Ma siccome da adolescenti si è fragili, avevano paura di essere additati, esclusi a loro volta.E purtroppo che sia stata una violenza dolorosa ma all'apparenza incolore e inodore è stato constatato da chi ha indagato sopra. Ma questo appartiene al passato. È normale che iniziando l'università in DAD, conoscenze nuove zero e tanta tanta paura e insicurezza per il futuro mi ha veramente tanto sconfortata. Sto per cominciare gli ultimi anni. Non avere ancora nemmeno una benedetta ragazza da chiamare, da avere come punto di riferimento quando vado in aula, mi fa tremare puntualmente le gambe. Mi soffoca. Non uso nessuno come ancora di salvataggio perché tanto alla fine spesso, stringendo i denti, devo andarci così, ma mi si alleggerirebbe il cuore avere qualcuno affianco. Ma ti lasciano le conversazioni con il visualizzato. A semplici messaggi su "cosa ti sta piacendo di più di questo semestre" per esempio, nemmeno mi rispondono. E puntualmente rimango da sola. Purtroppo non so dove andare a sbattere la testa perché è una sofferenza forte che si ripete con regolarità. Che ci posso fare purtroppo se va così. Tendo a non pensarci per non perdere di nuovo la lucidità nello studio che è l'unica cosa che mi dà soddisfazione e che è stata in parte danneggiata dal blocco che mi ha colta. Stare tranquilli diciamo, e fuori dal mondo, senza stimoli e poi buttarsi di colpo in un ambiente molto caotico, è orribile e destabilizzante. Mi sento in imbarazzo. Ma mi pongo sempre con gentilezza e cautela. Magari appaio un po' impacciata, più che altro estremamente cauta e delicata visto tutto questo. Più che essere gentile, sorridente e provare a chiacchierare con garbo e gentilezza non so che fare. Non ho fatto breccia nell'interesse di nessuno fin'ora , e va avanti che ci messaggio un paio di volte e poi non mi rispondono più. Mi rifugio nella scienza che è sempre stata la mia grande passione e la complessità dei suoi meccanismi mi fa sperare che la vita di nessuno possa ridursi a qualcosa di così banale da non essere realizzata. Altrimenti cosa ne sarà valsa tanta perfezione nel creato?
La ringrazio per il suo tempo.
La ringrazio per il suo tempo.
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 646 visite dal 28/09/2024.
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