La mia reazione alla malattia di mio padre

Gentili medici,
sono la figlia di un malato oncologico grave e desidero porvi la richiesta di un consulto che non riguarda lui, bensì me.

Premesso che il mio rapporto con mio padre è sempre stato un rapporto complicato e "assente", per niente affettuoso, un legame "costretto" solo dall'essere padre e figlia.

Premetto anche che ho sempre avuto ansia e timore delle malattie, difficoltà difronte all'altrui sofferenza.

Specifico che sono da poco seguita da una psicologa/psicoterapeuta che penso possa aiutarmi a migliorare me stessa e ad affrontare meglio tutta questa situazione.

Ora questa mia richiesta riguarda il mio modo attuale di approcciarmi a lui e alla sua malattia, questione che ancora non ho posto alla mia psicologa poiché non abbiamo ancora approfondito questo tema.

Fin dall'inizio ho sofferto tremendamente per la scoperta della sua malattia, mi fa male vedere lui soffrire e non poter far nulla per aiutarlo, mi fa soffrire pensare che domani possa andare via alla sua "giovane" età sapendo che non si è mai goduto nulla della vita (ha solo lavorato ed ora che doveva meritatamente godersi la pensione è costretto a queste sofferenze).

Ma, dispiacere e dolore a parte, nella vita pratica di tutti i giorni io non riesco ad essergli vicina in alcun modo.
Fuggo dallo stargli accanto, quasi non riesco a guardarlo negli occhi.
Vederlo costretto a letto mi impressiona, sentirlo lamentarsi per i dolori anche, nelle ultime notti il fatto che lamentasse dolore ha fatto sì che noi familiari riuscissimo a riposare poco e male ed io oggi sono esplosa "accusandolo" (non direttamente ma parlando con mia madre) del mio malessere.
Se ne avessi la possibilità, difronte a questa situazione, scapparei via di casa (da gran codarda) per non dover ascoltare, vedere e assistere alle sue sofferenze, ai suoi lamenti, alle mille difficoltà con cui affronta anche la più semplice quotidianità.

Penso e provo tutto ciò e, un attimo dopo, mi sento tremendamente in colpa perché so bene che lui non ha assolutamente colpe per tutto ciò e perché so che domani potrei pentirmi di non aver goduto di questo tempo accanto a lui.

Ma io, è più forte di me, non sopporto più questa situazione e vivo ormai con questo conflitto interiore.

Preciso, ad ogni modo, che la mia presenza, il mio aiuto e supporto nelle faccende di casa e per mia madre, che lo assiste in prima linea, cerco di non farlo mai mancare e mi impegno tanto per essere utile.

Difronte a quanto da me fin qui esposto, quanto "normale" può considerarsi questo contrasto di sentimenti che provo?
In quale aspetto dovrei cercarne le cause?
Quanto è "moralmente" accettabile quello che provo?
Posso fare qualcosa di immediato per risolvere questo mio "rigetto" e per riuscire a sopportare in un modo migliore questa situazione senza straziarmi come faccio?

Attendo i Vostri preziosi consigli, qualora foste così gentili da voler proporre una Vostra chiave di lettura del mio problema.
Intanto Vi ringrazio sentitamente.
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Dr. Giovanni Ronzani Psicoterapeuta, Medico igienista 338 10
Gentile Signora,
Leggendo il suo messaggio si coglie il disagio ed il dolore di chi ha una cara persona in una situazione critica. Il rapporto tra genitori e figli è sempre stato un contesto particolare e ricco di preziose sfumature, talvolta con delle contraddizioni, ma caratterizzato da un forte, profondo legame. E' quel legame così unico, forte e profondo che non consente di accettare una continua sofferenza che purtroppo non lascia intravedere molte alternative. Il turbinio di sentimenti apparentemente contrastanti che prova, probabilmente si possono ricondurre all'inaccettabilità di questa situazione. Quindi, per mettere un po' di ordine si potrebbe iniziare a partire da lì. Provi pian piano a parlarne con la sua terapeuta; a volte iniziare ad affrontare un problema, per quanto doloroso, può essere l'inizio di una nuova via da percorrere.

Cordiali Saluti

dr Giovanni Ronzani