Come uscire da periodi burrascosi e sfortunati
Buonasera a tutti,
Scrivo per avere un consiglio e capire come mai mi ritrovo sempre a dover affrontare circostanze e dinamiche che non dipendono da me.
Ho 33 anni e fino adesso nella mia vita è stata caratterizzata da periodi alternati tra disgrazie e difficoltà.
Prima parte della mi infanzia l'ho passata in orfanotrofio poi sono stata adottata.
Pochi anni dopo, l'adozione papà è venuto a mancare.
Nel frattempo a scuola non andavo bene, vuoi inizialmente per la difficoltà linguistica vuoi per altri motivi ma alla fine non riuscivo proprio.
A differenza di altri, mi impegnavo moltissimo per poi arrivare si e no alla sufficienza.
Stessa difficoltà di rendimento l'ho avuto alle medie e alle superiori e per non bastare vengono a mancare mamma e nonno nel giro di un mese.
Decido nonostante tutto di non arrendermi, mi iscrivo alla triennale.
Tre anni più della mia vita, finalmente l'impegno che mettevo era ripagato.
Conseguo la laurea e da lì decido di proseguire gli studi che ovviamente mi mantenevo lavorando.
Gli esami li faccio tutti serenamente e con soddisfazione.
Scelgo primo relatore intraprendo la tesi, ma per motivi gravi di salute dell prof, devo cambiare insegnante.
Faccio così, trovo il secondo relatore e da qui inizia il lungo travaglio.
Tra periodo Covid e tesi da fare, rifare e disfare, decido di fare la rinuncia agli studi.
Su consiglio e solleciti di amici, uno in particolare, e di avvocati con cui ho avuto modo di collaborare, riprendo gli studi per fare la tesi rimasta.
Cambio insegnante e materia, faccio la tesi con la relatrice.
Questa volta va tutto tranquillo.
Penso ormai è fatta, mi laureo il 2 ottobre.
Non faccio in tempo a godermi un po' di pace che come un macigno a tre settimane dalla laurea, mi avvisa la segreteria dell'Università che manca un esame.
Faccio presente alla segreteria studenti che il problema è dovuto da un loro errore, non hanno controllato e avvisato per tempo.
Verificano il caso ed effettivamente riconosco che è un loro errore.
Tutto questo che ho scritto, è per dire evidenziare quanta fatica faccia a vivere con questi continue difficoltà gravi.
Mi sembra soltanto di camminare perennemente controcorrente.
Non non faccio altro che arrancare e cercare di risolvere problemi pur di uscire da questi periodi burrascosi.
Sono arrivata a un punto di avere il terrore, di sperare perché tanto la situazione non cambiano in meglio; e di pormi nuovi obiettivi perché tanto so che se intraprendo nuovi percorsi alla fine si trasformano in un calvario senza fine.
Mi sembra di essere una persona di 100 anni stanca e delusa dalla vita
Ad oggi mi trovo a non avere lavoro, a non essere riuscita ancora a conseguire la laurea specialistica e a non avere una relazione.
Quanto agli amici ne ho pochi e ci si vede veramente di rado.
Arrivati a questo punto, a 33 anni, mi chiedo come mai sono così tanto bersagliata da sfortune e problemi?
Perché attirò così tanta negatività e problemi?
Dov'è che sbaglio?
Scrivo per avere un consiglio e capire come mai mi ritrovo sempre a dover affrontare circostanze e dinamiche che non dipendono da me.
Ho 33 anni e fino adesso nella mia vita è stata caratterizzata da periodi alternati tra disgrazie e difficoltà.
Prima parte della mi infanzia l'ho passata in orfanotrofio poi sono stata adottata.
Pochi anni dopo, l'adozione papà è venuto a mancare.
Nel frattempo a scuola non andavo bene, vuoi inizialmente per la difficoltà linguistica vuoi per altri motivi ma alla fine non riuscivo proprio.
A differenza di altri, mi impegnavo moltissimo per poi arrivare si e no alla sufficienza.
Stessa difficoltà di rendimento l'ho avuto alle medie e alle superiori e per non bastare vengono a mancare mamma e nonno nel giro di un mese.
Decido nonostante tutto di non arrendermi, mi iscrivo alla triennale.
Tre anni più della mia vita, finalmente l'impegno che mettevo era ripagato.
Conseguo la laurea e da lì decido di proseguire gli studi che ovviamente mi mantenevo lavorando.
Gli esami li faccio tutti serenamente e con soddisfazione.
Scelgo primo relatore intraprendo la tesi, ma per motivi gravi di salute dell prof, devo cambiare insegnante.
Faccio così, trovo il secondo relatore e da qui inizia il lungo travaglio.
Tra periodo Covid e tesi da fare, rifare e disfare, decido di fare la rinuncia agli studi.
Su consiglio e solleciti di amici, uno in particolare, e di avvocati con cui ho avuto modo di collaborare, riprendo gli studi per fare la tesi rimasta.
Cambio insegnante e materia, faccio la tesi con la relatrice.
Questa volta va tutto tranquillo.
Penso ormai è fatta, mi laureo il 2 ottobre.
Non faccio in tempo a godermi un po' di pace che come un macigno a tre settimane dalla laurea, mi avvisa la segreteria dell'Università che manca un esame.
Faccio presente alla segreteria studenti che il problema è dovuto da un loro errore, non hanno controllato e avvisato per tempo.
Verificano il caso ed effettivamente riconosco che è un loro errore.
Tutto questo che ho scritto, è per dire evidenziare quanta fatica faccia a vivere con questi continue difficoltà gravi.
Mi sembra soltanto di camminare perennemente controcorrente.
Non non faccio altro che arrancare e cercare di risolvere problemi pur di uscire da questi periodi burrascosi.
Sono arrivata a un punto di avere il terrore, di sperare perché tanto la situazione non cambiano in meglio; e di pormi nuovi obiettivi perché tanto so che se intraprendo nuovi percorsi alla fine si trasformano in un calvario senza fine.
Mi sembra di essere una persona di 100 anni stanca e delusa dalla vita
Ad oggi mi trovo a non avere lavoro, a non essere riuscita ancora a conseguire la laurea specialistica e a non avere una relazione.
Quanto agli amici ne ho pochi e ci si vede veramente di rado.
Arrivati a questo punto, a 33 anni, mi chiedo come mai sono così tanto bersagliata da sfortune e problemi?
Perché attirò così tanta negatività e problemi?
Dov'è che sbaglio?
[#1]
Gentile utente,
mi dispiace profondamente per la sua storia.
Le domande che rivolge sono legittime, la vita non le ha risparmiato i dolori.
Ha trascorso la prima parte dell'infanzia in orfanotrofio, nel luogo della deprivazione, dell'abbandono e della solitudine. Poi dopo essere stata adottata, suo padre, ossia la persona nelle cui mani è stata consegnata, che dunque l'ha salvata da ciò offrendole probabilmente riparo, e che avrebbe dovuto rappresentare una garanzia del prevalere dell'amore su tutto il resto, è venuta a mancare.
Dopo molte difficoltà ad inserirsi e a trovare un suo posto a scuola e nel mondo, si è trovata ancora a misurarsi con la morte di sua madre e suo nonno.
Però nonostante tutto racconta di aver deciso di non "arrendersi", e infatti ha conseguito una laurea triennale lavorando, provvedendo a sè stessa, superando ostacoli e costruendo il suo mondo sulle macerie. Ciò mi fa pensare che oltre al luogo dentro di lei in cui è annidata la solitudine e la desolazione, ce ne sia un altro, forse ancora poco conosciuto, in cui ha riposto speranza e fiducia verso sè stessa e forse anche verso una vita fino ad ora così dura e ingiusta.
Le consiglierei di ripartire da qui, da sè stessa, dal suo coraggio, intraprendendo un percorso di supporto psicologico per affrontare l'assenza e il dolore del vuoto, dei lutti e del non avvenuto, trasformandolo da qualcosa di inspiegabilmente devastante ed insensato a qualcosa che ha un significato e che non deve attribuire a sè stessa.
Inizi col percorrere i luoghi più bui dentro di sè, offrendo ascolto e contenimento a tutte quelle emozioni violente e dolorose, poi il resto verrà da sè.
Auguri per tutto.
mi dispiace profondamente per la sua storia.
Le domande che rivolge sono legittime, la vita non le ha risparmiato i dolori.
Ha trascorso la prima parte dell'infanzia in orfanotrofio, nel luogo della deprivazione, dell'abbandono e della solitudine. Poi dopo essere stata adottata, suo padre, ossia la persona nelle cui mani è stata consegnata, che dunque l'ha salvata da ciò offrendole probabilmente riparo, e che avrebbe dovuto rappresentare una garanzia del prevalere dell'amore su tutto il resto, è venuta a mancare.
Dopo molte difficoltà ad inserirsi e a trovare un suo posto a scuola e nel mondo, si è trovata ancora a misurarsi con la morte di sua madre e suo nonno.
Però nonostante tutto racconta di aver deciso di non "arrendersi", e infatti ha conseguito una laurea triennale lavorando, provvedendo a sè stessa, superando ostacoli e costruendo il suo mondo sulle macerie. Ciò mi fa pensare che oltre al luogo dentro di lei in cui è annidata la solitudine e la desolazione, ce ne sia un altro, forse ancora poco conosciuto, in cui ha riposto speranza e fiducia verso sè stessa e forse anche verso una vita fino ad ora così dura e ingiusta.
Le consiglierei di ripartire da qui, da sè stessa, dal suo coraggio, intraprendendo un percorso di supporto psicologico per affrontare l'assenza e il dolore del vuoto, dei lutti e del non avvenuto, trasformandolo da qualcosa di inspiegabilmente devastante ed insensato a qualcosa che ha un significato e che non deve attribuire a sè stessa.
Inizi col percorrere i luoghi più bui dentro di sè, offrendo ascolto e contenimento a tutte quelle emozioni violente e dolorose, poi il resto verrà da sè.
Auguri per tutto.
Psicologa e Assistente Sociale
www.psicosocialmente.it
[#2]
Utente
Buongiorno Dr.ssa grazie per il suo riscontro.
Le dirò che negli anni ho affrontato periodi bui facendomi seguire da psicologi. Tutt' ora lo faccio.
Sicuramente mi hanno aiutato, ma alla fine mi sono ritrovata a riaffrontare le stesse situazioni, ma solo con dinamiche e problemi diversi.
In nome della speranza e della forza del riscatto non mi sono mai persa d'animo, ma alla fine in questi 33 anni, mi ritrovo ad aver solo rattoppato le mancanze che mi si (ri)presentavano. Mi ritrovo a non aver costruito nulla e trasformato il dolore.
Ormai sono arrivata a un punto di avere il terrore di sperare e di pormi obiettivi, perché tanto, ogni percorso che intraprendo si trasforma in un continuo calvario.
Le dirò che negli anni ho affrontato periodi bui facendomi seguire da psicologi. Tutt' ora lo faccio.
Sicuramente mi hanno aiutato, ma alla fine mi sono ritrovata a riaffrontare le stesse situazioni, ma solo con dinamiche e problemi diversi.
In nome della speranza e della forza del riscatto non mi sono mai persa d'animo, ma alla fine in questi 33 anni, mi ritrovo ad aver solo rattoppato le mancanze che mi si (ri)presentavano. Mi ritrovo a non aver costruito nulla e trasformato il dolore.
Ormai sono arrivata a un punto di avere il terrore di sperare e di pormi obiettivi, perché tanto, ogni percorso che intraprendo si trasforma in un continuo calvario.
[#3]
Gentile utente,
non mi pare che non abbia costruito nulla! Ha conseguito una laurea triennale, ha avuto esperienze lavorative, ha vissuto, ha trovato la forza e la determinazione per andare avanti sempre e comunque. E anche trasformare il dolore in realtà è un modo per andare oltre.
Rispetto al suo "terrore di sperare" la capisco. Sente forse che la speranza sia l'ultimo luogo interno confortevole e abitabile nel quale potersi ancora aspettare qualcosa di positivo e che dopo di essa ci sia solo il dolore. Però non è esattamente così; anche nel caso in cui le speranze dovessero risultare vane potrà sempre fare in modo che ci sia qualcosa di diverso rispetto all'abbandonarsi alla desolazione. Questo è ciò che in fondo, in misura maggiore o minore, facciamo tutti, ciascuno a proprio modo.
So che è difficile, e non dipende solo e tutto da lei, ma qualcosa sì. Parta o riparta da questo qualcosa per andare avanti.
Buona fortuna!
non mi pare che non abbia costruito nulla! Ha conseguito una laurea triennale, ha avuto esperienze lavorative, ha vissuto, ha trovato la forza e la determinazione per andare avanti sempre e comunque. E anche trasformare il dolore in realtà è un modo per andare oltre.
Rispetto al suo "terrore di sperare" la capisco. Sente forse che la speranza sia l'ultimo luogo interno confortevole e abitabile nel quale potersi ancora aspettare qualcosa di positivo e che dopo di essa ci sia solo il dolore. Però non è esattamente così; anche nel caso in cui le speranze dovessero risultare vane potrà sempre fare in modo che ci sia qualcosa di diverso rispetto all'abbandonarsi alla desolazione. Questo è ciò che in fondo, in misura maggiore o minore, facciamo tutti, ciascuno a proprio modo.
So che è difficile, e non dipende solo e tutto da lei, ma qualcosa sì. Parta o riparta da questo qualcosa per andare avanti.
Buona fortuna!
Psicologa e Assistente Sociale
www.psicosocialmente.it
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 210 visite dal 23/09/2024.
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