Autosabotaggio e depressione
Buongiorno,
Sono un uomo di 29 anni.
Da circa 5 anni sono in psicoterapia, di tipo junghiano.
Molte cose da allora sono migliorate, ma continuo a sabotarmi e a soffrire per comportamenti e modi di sentire poco lucidi e molto irrazionali.
Mi spiego con dei fatti.
Qualche anno fa mi ho vinto un Erasmus, sono andato a vivere all'estero, mi sono laureato col massimo dei voti.
Ho iniziato a lavorare.
Ho comprato casa, ho lasciato un posto di lavoro per un altro.
Mi sono licenziato da questo secondo lavoro.
Ho rivenduto la casa e sono tornato in Italia, dal mio ragazzo.
Un anno dopo ricevo una mail dove scopro di aver vinto un concorso importante, sempre in quella città.
2 mesi in cui mi sono tirato matto se accettare o rifiutare, in cui ho tirato matto anche il mio ragazzo.
Ritorno in quella città, firmo il contratto e pochi giorni dopo presento dimissioni a un lavoro comunque pagatissimo, senza dall'altra parte qui in Italia ad una alternativa paragonabile.
Mi ritrovo quindi con i nervi a pezzi, il morale a terra e col mio ragazzo che è disgustato dal mio comportamento illogico e irrazionale.
Mi sono ritrovato infine con un pugno di mosche, perché nel frattempo avevo rifiutato altre offerte di lavoro qua in Italia.
Il fatto è che tutto è stato soppesato razionalmente, il mio ragazzo mi avrebbe pure supportato.
Ma io alla fine ho detto no a tutto.
Questo quello che accade fuori di me.
Quello che accade dentro di me è anche peggio.
Recentemente ho pensieri suicidari.
Non è la prima volta, in momenti di crisi riaffiorano puntualmente.
Questo perché tutta la mia vita mi sembra un affanno costante.
Sono profondamente insicuro da un lato.
Dall'altro, invece mi mostro agli estranei molto sicuro di me stesso.
Non sono stupido e mi comporto da stupido.
Come accenavo, seguo una psicoterapia di tipo junghiano da circa 5 anni.
Ma sento che è arrivato il momento di smettere, forse di seguirne un'altra.
Sento che la mia vita è appesa a un filo.
Sono orfano di padre e di madre, non ho una casa e i miei parenti, ad eccezione di mia nonna, sono indifferenti verso di me.
Mi sento solo al mondo e non ho motivazione di fare nulla.
A volte penso alla morte come una via di uscita tra le possibili.
Ho provato a farmi seguire, per ben 5 anni.
Ho anche studiato per passione la psicologia per capire meglio me stesso.
Eppure niente.
Sono come un puzxle anche a me stesso.
Non mi capisco, non capisco perché ho certe immaginazioni che non corrispondono a realtà (catastrofistiche); il perché di certe emozioni negative che affiorano per un nonnulla.
Infine, mi sento come trasportato da un impulso alla rovina irresistibile.
E non comprendo il perché.
La vita mi crea affanno, mi sento come uno cui è stata lanciata una maledizione, difficile se non impossibile da sciogliere.
La mia psicoterapeuta dice che è controproducente sapere la diagnosi, ma per me sarebbe un sollievo.
Secondo voi, cosa devo fare?
Cordialmente
Un'anima in pena
Sono un uomo di 29 anni.
Da circa 5 anni sono in psicoterapia, di tipo junghiano.
Molte cose da allora sono migliorate, ma continuo a sabotarmi e a soffrire per comportamenti e modi di sentire poco lucidi e molto irrazionali.
Mi spiego con dei fatti.
Qualche anno fa mi ho vinto un Erasmus, sono andato a vivere all'estero, mi sono laureato col massimo dei voti.
Ho iniziato a lavorare.
Ho comprato casa, ho lasciato un posto di lavoro per un altro.
Mi sono licenziato da questo secondo lavoro.
Ho rivenduto la casa e sono tornato in Italia, dal mio ragazzo.
Un anno dopo ricevo una mail dove scopro di aver vinto un concorso importante, sempre in quella città.
2 mesi in cui mi sono tirato matto se accettare o rifiutare, in cui ho tirato matto anche il mio ragazzo.
Ritorno in quella città, firmo il contratto e pochi giorni dopo presento dimissioni a un lavoro comunque pagatissimo, senza dall'altra parte qui in Italia ad una alternativa paragonabile.
Mi ritrovo quindi con i nervi a pezzi, il morale a terra e col mio ragazzo che è disgustato dal mio comportamento illogico e irrazionale.
Mi sono ritrovato infine con un pugno di mosche, perché nel frattempo avevo rifiutato altre offerte di lavoro qua in Italia.
Il fatto è che tutto è stato soppesato razionalmente, il mio ragazzo mi avrebbe pure supportato.
Ma io alla fine ho detto no a tutto.
Questo quello che accade fuori di me.
Quello che accade dentro di me è anche peggio.
Recentemente ho pensieri suicidari.
Non è la prima volta, in momenti di crisi riaffiorano puntualmente.
Questo perché tutta la mia vita mi sembra un affanno costante.
Sono profondamente insicuro da un lato.
Dall'altro, invece mi mostro agli estranei molto sicuro di me stesso.
Non sono stupido e mi comporto da stupido.
Come accenavo, seguo una psicoterapia di tipo junghiano da circa 5 anni.
Ma sento che è arrivato il momento di smettere, forse di seguirne un'altra.
Sento che la mia vita è appesa a un filo.
Sono orfano di padre e di madre, non ho una casa e i miei parenti, ad eccezione di mia nonna, sono indifferenti verso di me.
Mi sento solo al mondo e non ho motivazione di fare nulla.
A volte penso alla morte come una via di uscita tra le possibili.
Ho provato a farmi seguire, per ben 5 anni.
Ho anche studiato per passione la psicologia per capire meglio me stesso.
Eppure niente.
Sono come un puzxle anche a me stesso.
Non mi capisco, non capisco perché ho certe immaginazioni che non corrispondono a realtà (catastrofistiche); il perché di certe emozioni negative che affiorano per un nonnulla.
Infine, mi sento come trasportato da un impulso alla rovina irresistibile.
E non comprendo il perché.
La vita mi crea affanno, mi sento come uno cui è stata lanciata una maledizione, difficile se non impossibile da sciogliere.
La mia psicoterapeuta dice che è controproducente sapere la diagnosi, ma per me sarebbe un sollievo.
Secondo voi, cosa devo fare?
Cordialmente
Un'anima in pena
[#1]
Lungi da me criticare la collega, ci mancherebbe altro! Certo che se dopo 5 anni sente di dover cambiare, forse è arrivato il momento di ascoltare sé stesso, non perché la sua terapeuta non abbia fatto un buon lavoro, anzi, ma forse perché la terapia junghiana non fa per lei. Forse per lei è utile un altro approccio. Non sono d'accordo sul fatto che sapere la diagnosi non aiuti nel percorso terapeutico ma io appartengono alla scuola di pensiero rogersiana ed è una metodologia completamente diversa.
Naturalmente non c'è un metodo giusto ed un metodo sbagliato ma terapie più o meno adatte a noi.
Naturalmente non c'è un metodo giusto ed un metodo sbagliato ma terapie più o meno adatte a noi.
Lores Bartelle
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 251 visite dal 10/09/2024.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.