Non riesco a trovare la serenità in questa nuova vita

Ho 36 anni e da 3 ho una relazione con un uomo di 10 anni in più.
Litigi, diversità di vedute, mancanza di progettazione e la mia sofferenza nel non ricevere l'affetto che volevo ha sempre caratterizzato il rapporto.
resto incinta.
Lui non ha mai voluto figli e mi chiede di abortire.
Io scelgo di tenerlo, nonostante i miei dubbi sulla sua comprensione e sostegno nei momenti critici.
La gravidanza è stata terribile.
Mentre tentavamo di convivere dopo i litigi spesso tornavo casa mia, lui sempre disinteressato per ciò che riguardava il bambino, sempre musone e centrato su sé stesso.
Ho fatto una gestosi nelle ultime settimane di gravidanza, trascorso 6 giorni in ospedale ricoverata, taglio cesareo di urgenza per aggravamento della gestosi e ulteriori giorni in ospedale.
Tornata a casa sono iniziate le incomprensioni.
Non sono riuscita ad allattare perché il bimbo prematuro era ormai abituato al biberon e per accontentare il mio ragazzo ho fatto venire a casa 2 ostetriche diverse con risultati sempre scadenti.
Ho dovuto dirgli che non ce la facevo più, dopo tutto quello che avevo passato, l'operazione, ecc.
Mi sono sentita sul serio uno strumento per raggiungere il fine che era il bimbo cresce meglio con il latte materno.
Per mesi ho sopportato una suocera comandina ed invadente con cui non avevo un rapporto nemmeno prima e che ha preteso di crearlo con me nella maniera più sbagliata, intromettendosi nei problemi di coppia ecc fino a sbottare rinfacciandomi che la volevo tenere lontana.
in tutto questo la mia famiglia è praticamente inesistente (mia madre bada a mio padre malato, mia sorella lavora 13h al giorno), faccio fatica a vedere amici perché portarmi dietro il bimbo diventa una tortura ed il mio ragazzo tende a non volerlo tenere se devo uscire.
A questo si aggiunge che sta sveglio la notte e la mattina mi ritrovo sola mentre dorme bellamente e poi tiro avanti "aiutata" da lui fino alle 23.
Gli ho spiegato che non ho più una vita al di fuori di casa e bimbo e che quelle ore ch lui si prende di notte per stare per i fatti suoi, io purtroppo di giorno non le ho.
Mi rinfaccia ora di avergli detto pure questo, chiedendomi come avrei fatto se lui avesse lavorato tutto il giorno, e che io non voglio un aiuto, ma che lui si sostituisca a me.
Mi sento totalmente incompresa in un momento in cui ho un estremo bisogno di aiuto per non impazzire.
Non provo nemmeno particolare piacere a badare al bimbo perché mi sembra che la mia vita sia finita qui, tra questa 4 mura e che se ho bisogno di una mano nessuno me la può dare.
sono spesso nervosa, provo odio nei confronti del mio partner, le mie capacità di concentrazione sono nettamente calate dalla gravidanza e difficilmente durante la giornata trovo piacere a fare qualcosa, se non a fumare sigarette quando posso.
Ho i sensi di colpa per aver rovinato la vita mia e di mio figlio per aver scelto un partner sbagliato
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.3k 193
Gentile signora,
una gravidanza non voluta dal partner e resa problematica da complicanze mediche, un puerperio segnato da aiuti insufficienti (anche se scrive che due ostetriche sono venute a darle una mano), il mancato allattamento, che quando c'è è una sorgente di ossitocina, positiva per la madre prima ancora che per il lattante, sono tutti elementi sufficienti a compromettere il suo stato emotivo.
E' indispensabile in questi casi trovare il coraggio di chiedere aiuto, a chiunque possa, ma soprattutto voglia, darglielo.
Sottolineo quest'ultimo aspetto (il volerla aiutare) perché se lei cerca aiuto dove è certa di non trovarlo, la ricerca stessa diviene un'ulteriore fonte di stress.
Ma finora è stata capace di scegliere nella giusta direzione?
Ampiamente adulta, lei ha voluto un partner con il quale "Litigi, diversità di vedute, mancanza di progettazione e la mia sofferenza nel non ricevere l'affetto che volevo ha sempre caratterizzato il rapporto".
Dunque è bene analizzare in tutta sincerità perché lo ha scelto, perché è rimasta con lui, perché non ha usato una contraccezione efficace, infine perché ha voluto tenere un figlio che il padre rifiutava: "Lui non ha mai voluto figli e mi chiede di abortire".
E' rimasta col suo uomo perché lo amava? Non sembrerebbe: in questo caso non lo avrebbe reso padre contro la sua volontà, e del resto a distanza di pochi mesi confessa: "provo odio nei confronti del mio partner".
Allora ha cercato la gravidanza perché alla sua età non c'erano più molte occasioni di avere figli?
Ma in questo caso certo aveva previsto il fatto di esacerbare i rapporti col partner. Del resto alcune donne ci tengono al figlio più che al partner e hanno gli strumenti materiali e morali per crescerlo da sole. Lei voleva il figlio per sé stessa, e aveva i mezzi per occuparsene?
Sapeva che dalla sua famiglia d'origine, intristita dalla malattia e dal super lavoro di sua sorella, non poteva avere aiuti, anzi forse sarebbe stato opportuno fornirne.
La suocera si era prestata, ma "nella maniera più sbagliata, intromettendosi nei problemi di coppia"; il suo partner lavora poche ore oppure non lavora affatto, e vive di rendita, per cui durante la giornata è disposto ad aiutarla, ma solo a partire dalla tarda mattinata.
Questo però a lei non basta.
Ma la vita è fatta di aggiustamenti; di progetti che non sempre si realizzano come vogliamo; di accettazione di ciò che ci appare meno piacevole rispetto al sogno; e in certi casi proprio dell'accontentarsi del male minore.
Oggi lei scrive: "Non provo nemmeno particolare piacere a badare al bimbo perché mi sembra che la mia vita sia finita qui, tra questa 4 mura".
Ma lei non lavora, signora? Ha provato ad assumere una baby sitter?
Del resto, nei primi anni di vita di un piccolino, poteva credere che si prestasse ad accudirlo un padre che nemmeno lo voleva?
Che tipo di progetto di vita è andata perseguendo, da quando ha incontrato quest'uomo e nei successivi tre anni?
Solo una spietata sincerità con sé stessa, chiarendo questi vari aspetti, potrà migliorare la situazione. Per ora si affidi a chi la può e ripeto la vuole aiutare, e cerchi al Consultorio, se ha difficoltà economiche, l'aiuto di un* psicolog*, per uscire dal tunnel.
Auguri vivissimi.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
Io lavoro si, ma sono in maternità. Ho una ragazza che mi viene ad aiutare tre mattine a settimana ma evidentemente non basta perché fondamentalmente faccio tutto io in casa. Ecco, per quanto possa essere giudicato "rischioso" avere un figlio con un uomo che non lo desidera, specificherei che siamo stati in due a non prendere precauzioni, e che non ha giocato un ruolo la mia età, quanto piuttosto che ero sicura sarei andata in depressione abortendo. Ed inoltre è stata una scelta che sentivo in cuor mio nonostante tutto. Non potevo andare contro me stessa. Il partner inoltre è stato posto davanti ad una scelta, quella di restare con me ed il figlio. Lui ha scelto di rimanere.
Per quanto riguarda la mia famiglia, sapevo non ci sarebbe stata ma pensavo che con una nonna ed una babysitter 3 volte a settimana, sarebbe bastata. Probabilmente sto attraversando una fase di aggiustamento, perché sto capendo che questo aiuto non basta. Il mio partner potrebbe anche essere assente per mezza giornata, ma se stesse lavorando è un conto, pensare che dorme 5 ore nella stanza a fianco e poi nel pomeriggio se la cava con qualche aiutino, beh mi sembra un po' una mancanza di rispetto. Detto questo, sono io la prima ad ammettere che in questa situazione mi ci sono cacciata io con il mio ottimismo ingenuo. Perciò mi assumo tutte le responsabilità del fatto avrei dovuto calcolare molto bene le condizioni in cui mi trovavo. Ed infine riguardo il perché sono stata con questa persona 3 anni: credo vivessi di una immagine illusoria, e di essere probabilmente una dipendente affettiva, non avendo praticamente avuto un padre. Non lo so. Sono stata in terapia a lungo e nessuno è riuscito a darmi una risposta.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.3k 193
Gentile utente,
lei afferma di essere stata a lungo in terapia e dice che "nessuno è riuscito a darmi una risposta".
La terapia psicologica non è il luogo dei responsi della sibilla, ma una lunga scoperta di sé e delle proprie risposte, attuata liberandosi degli schemi mentali che ci siamo costruiti e che mutilano la nostra vita facendoci ripetere all'infinito scelte non idonee a garantirci il benessere.
Le faccio degli esempi tratti dalle sue email.
Lei scrive che riguardo alla contraccezione "siamo stati in due a non prendere precauzioni".
Ora, a meno che il suo partner abbia fatto una vasectomia che non è riuscita, non esistono precauzioni maschili sicure. Ne esistono invece di femminili, sicure e reversibili: dalla vasectomia non si torna indietro, dalla pillola o dall'anello sì.
Del resto non è l'uomo che affronta la gravidanza, con tutte le conseguenze fisiche ed emotive connesse; e fino a pochi anni fa non c'era nemmeno la prova del DNA, il che permetteva a molti uomini di ignorare addirittura di essere diventati padri.
Questo è il primo punto sul quale lei, di età più che matura, non dovrebbe chiudere gli occhi; a maggior ragione se sapeva che non avrebbe accettato un aborto, scelta sua che non può essere messa in discussione perché riguarda valori legati alla propria etica e al proprio corpo.
Lei si mostra sincera quando scrive: "inoltre è stata una scelta che sentivo in cuor mio nonostante tutto. Non potevo andare contro me stessa".
Vera la prima frase, ma andare contro sé stessi si può e in alcuni casi si deve, a meno che non si sia affetti da un egocentrismo malato, tale da renderci ciechi alle conseguenze di ciò che desideriamo nell'immediato.
Se questa è una sua convinzione dovrebbe discuterla in terapia, anche perché potrebbe essere la matrice dei suoi errori di valutazione.
Vede che il suo uomo invece è "andato contro sé stesso" scegliendo di restare con un figlio che non aveva progettato e con una donna che mostra di non essere innamorata di lui, anzi mostra di volerlo dirigere in maniera ostile e prevaricante.
Infatti dice che se lui lavorasse, lei sarebbe tollerante della sua scarsa presenza, ma siccome non lavora non vuole riconoscergli i suoi spazi di solitudine, i quali, per quanto siano lunghi, forse gli permettono di elaborare i cambiamenti di una vita che lui non ha scelto, ma che a quanto pare ha accettato.
Genitori si diventa, come si diventa partner solidali e amorevoli. Questo però richiede benevolenza, richieste formulate nel modo giusto e nel momento opportuno, messa al bando di critiche a accuse.
Ora, tecnicamente, una donna che ha avuto un figlio con un uomo che non ama (ha scritto: "provo odio nei confronti del mio partner"), che gli ha imposto la presenza di sé stessa e del bimbo in casa, che ha allontanato la madre di lui, non può poi trovare "una mancanza di rispetto" il fatto che lui dorma fino a tardi.
Inoltre il rispetto tra partner dev'essere reciproco, mentre la sua visione del "rispetto", nei modi e nelle forme in cui lo ritiene dovuto a sé, potrebbe essere un'altra costruzione fallace da smontare in terapia.
Infine un'osservazione sulla sua gestione domestica di questa maternità.
Pur considerando il particolare stato emotivo di tutte le puerpere e l'ancor maggiore bisogno di supporto di chi ha avuto problemi al termine della gravidanza e per di più non è riuscita ad allattare, l'idea che si debba essere aiutate dalla propria famiglia d'origine nel gestire un piccolino è una fantasia nata negli ultimi anni, specie se la neo-mamma ha un lavoro che le permette di restare a casa.
Nel suo caso, lei ha addirittura un vero e proprio gineceo attorno a sé: baby sitter tre volte la settimana (lo dica a tutte le donne che non possono pagarsela) e domestica pure tre volte la settimana (come sopra).
Può darsi che nel suo stato emotivo turbato lei non riesca a gestire bene questi aiuti addirittura eccessivi, ma anche in questo uno psicologo riuscirebbe a farle mettere ordine nelle varie attività delle sue dipendenti, trovando maggiore serenità per sé e per il suo partner e soprattutto per il bambino.
Il quale a proposito che età ha? E' un bambino sano o tuttora problematico?
In conclusione, dalle cose che ci scrive la sua storia sembra migliore di tante altre, perché lei lavora, per l'ampio benessere economico che manifesta e soprattutto per l'atteggiamento di fondamentale disponibilità del suo partner.
Sarebbe utile comprendere se è disoccupato o invece vive di rendita, ma in ogni caso non è logorando il rapporto con lui in questo momento delicato che migliorerà la vita sua e di suo figlio.
Scrive: "credo vivessi di una immagine illusoria".
Tutti idealizzano inizialmente il partner, ma non tutti prendono lucciole per lanterne e soprattutto non tutti capovolgono l'iniziale illusione in una condanna irrevocabile. Attenzione, perché questo schema spinge a rompere le relazioni e a cercarne sempre di nuove, sempre più fatue e ingannevoli. L'amore si costruisce.
Scrive che teme: "di essere probabilmente una dipendente affettiva, non avendo praticamente avuto un padre".
Anche qui, cosa c'entra la dipendenza affettiva con l'aver scelto un partner che non voleva figli, e soprattutto cosa c'entra con il non aver avuto un padre?
A parte il fatto che suo padre, se anche è malato fin dalla sua nascita, comunque esiste e sarà stato in qualche modo presente, come la media dei padri, presumo.
Concludendo, in questo momento della sua vita in cui sono turbati la sua mente e il suo corpo, in cui la sua visione del futuro è inevitabilmente offuscata da un fumo scuro, perché peggiorare le cose conducendo battaglie anziché creare alleanze? E perché rinunciare all'aiuto di un* psicolog*?
Fidando nel suo buon senso, le faccio molti auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
Mi scusi eh, ma ritengo che i suoi siano più giudizi che consigli costruttivi, motivo per cui invece avevo scritto su questo portale. Evidentemente non è bastato raccontare la situazione in poche parole perché è molto ma molto più complessa di quanto lei pensi. La mia storia con mio padre, gli aiuti di cui sto beneficiando (non ho mai scritto di avere una domestica, anzi ho fstto presente di occuparmi di tutto in casa) e tanto meno di quanto e come ho cercato di comprendere il mio partner negli scorsi anni e di stargli vicino nelle difficoltà. Oltre ad aver insinuato che praticamente mi sono fatta mettere incinta. Viva la neutralità di giudizio. E qui errore mio ad avere avuto l'aspettativa di ricevere un consiglio si sincero ma almeno un minimo empatico. Non è questo il luogo. Puntualizzo solo che la sua mi sembra una visione molto maschilista delle responsabilità di uomo e donna nei riguardi del concepimento. Un preservativo, ad esempio, può essere benissimo considerato strumento tanto maschile quanto femminile (in termini di scelta d'uso) per prevenire certe conseguenze. Certo, la donna va incontro al percorso pesante, ma questo assolutamente non deve sollevare da un'ecqua responsabilità entrambi i partner. Altrimenti, mi viene da pensare, tutta la fatica che abbiamo fatto noi donne per arrivare ad un barlume di uguaglianza, con queste concezioni viene molto facilmente calpestata. Ad ogni modo grazie lo stesso, ma dato che essere giudicata negativamente di certo non mi aiuta, preferisco, come dice lei, farmi aiutare con sincerità ma empatia da uno specialista. Grazie, buona serata.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.3k 193
Gentile utente,
purtroppo lei è così turbata che della mia articolata e specialistica risposta non ha capito nulla.
Cominciamo a chiarire che gli psicologi non danno consigli, e nemmeno giudizi, se con questa parola si intende "giudizi moralistici".
I giudizi sull'opportunità dei comportamenti al fine di ottenere un miglioramento della propria vita si costruiscono assieme al paziente; i giudizi sull'uso della parole certamente si forniscono, per esempio la sua frase: "Ho una ragazza che mi viene ad aiutare tre mattine a settimana" vuol dire avere la domestica, se aggiunge "ma evidentemente non basta perché fondamentalmente faccio tutto io in casa".
A chi altro vorrebbe far fare i lavori di casa? Alla baby sitter?
Il suo equivoco è marcato quando lei confonde la parità dei diritti tra uomo e donna con analoghe funzioni riproduttive e di conseguenza contraccettive, e parla del preservativo come strumento efficace per entrambi. Le riferirò anche qui il fondato giudizio degli specialisti: il preservativo non è considerato efficace.
Questa parte del suo discorso mi ha fatta sorridere, perché è uscito in questi giorni un mio libro che viene considerato eccessivamente dalla parte della donna!
La invito a rileggere con attenzione le parole della mia precedente email. Erano del tutto benevole e dettate dalla volontà di fornirle un aiuto, come in effetti mi sembra siano riuscite a fare: infatti ha deciso di recarsi da un* psicolog*.
Rifletta però sul fatto che se prende così male le parole di una specialista che le offre gratis il suo tempo qualificato, e soprattutto se non le comprende, a maggior ragione avrà continui fraintendimenti con il suo partner e gli altri a lei più vicini.
Ancora sul tema del giudizio, certamente è compito dello specialista rettificare errori quali quello di chi connette come causa ed effetto la "dipendenza affettiva" col "non avere avuto un padre", o afferma che "non si può andare contro sé stessi", o infine mi lancia l'accusa di "aver insinuato che praticamente mi sono fatta mettere incinta".
E dove avrei detto questo? Non sarà, il suo, il più classico dei lapsus?
Sono lieta comunque che lei abbia deciso di affidarsi ad uno specialista.
Nell'attesa, legga un po' di storia del femminismo. Non sul mio libro, che non capirebbe.
Buone cose.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com