Chiusura terapia
Buongiorno,
una vera e propria domanda non c'è, e se c'è non è messa a fuoco.
Il problema è che non ho nessuno con cui parlare e consultarmi e forse cerco solo qualche parola che mi aiuti a riprendere la via in un momento non facile.
Negli ultimi anni il mio principale interlocutore è stato il mio psicoterapeuta: ho iniziato il percorso in un momento di crisi acuta perché non sapevo (più?) cosa fare della mia vita, non sapevo (più?) chi ero, soffrivo molto e mi sentivo in un vicolo cieco (in un colpo solo ho mollato un uomo con cui avevo una relazione da 7 anni e l'università che ero in procinto di concludere).
Adesso, dopo 5 anni, la psicoterapia si è conclusa per mia iniziativa senza aver raggiunto i risultati sperati: ancora non mi sono costruita una vita, non ho relazioni significative e continuo ad avere importanti difficoltà a tollerare la mia sofferenza e le frustrazioni che inevitabilmente mi offre la vita di tutti i giorni.
Al terapeuta che mi ha seguito ho voluto e voglio tuttora molto bene, la mia sensazione è che sia stata l'unica persona nella mia vita ad essersi realmente interessata a me, al mio mondo interiore, alle mie emozioni.
Questa è una sensazione molto piacevole ma anche molto angosciante da sostenere per me: mi mette di fronte a quello che non ho ricevuto in passato e anche di fronte al fatto concreto che un tale interesse nel mio caso è stato possibile ottenerlo solo dietro compenso e "ingabbiato" nelle rigidità di un setting terapeutico.
Proprio questo credo abbia mandato in crisi il rapporto: fin dall'inizio ho sentito col terapeuta un "feeling" importante e, man mano che il legame si è costruito ed è cresciuto, il fatto che fosse "solo" il mio terapeuta è diventato sempre meno accettabile.
E da quando ho cominciato ad esternare questo mio "sentire" (a dire il vero alquanto ingarbugliato) mi sono sentita come se lui sminuisse i miei sentimenti, e come se li rifiutasse e li calpestasse, come se questi miei sentimenti fossero qualcosa di sbagliato che non avrebbe dovuto esistere.
In più di un'occasione sono arrivata ad esternare la necessità di interrompere la terapia perché non mi sentivo in grado di fare quello che lui si aspettava da me (una piscoterapia!) , e più volte abbiamo provato a concordare dei colloqui conclusivi che però erano per me insostenibili.
Alla fine gli ho scritto per sms che non me la sentivo più.
Adesso mi chiedo se sia vero, come dice lui, che forse non era il terapeuta giusto per me (certo, se così fosse avrei voluto capirlo prima) o se sono io che non sono capace di affrontare una psicoterapia.
A volte ho la sensazione che questa chiusura l'abbia voluta anche lui, che mi ci abbia portato.
Adesso combatto con le parti di me che vorrebbero cercarlo come "persona amica" e quelle che mi avvertono che mi prenderei solo un'altra bastonata, e che comunque almeno un periodo di riflessione me lo devo concedere.
Solo che: in questo periodo con chi parlo?
Come lenisco la mia solutidine?
una vera e propria domanda non c'è, e se c'è non è messa a fuoco.
Il problema è che non ho nessuno con cui parlare e consultarmi e forse cerco solo qualche parola che mi aiuti a riprendere la via in un momento non facile.
Negli ultimi anni il mio principale interlocutore è stato il mio psicoterapeuta: ho iniziato il percorso in un momento di crisi acuta perché non sapevo (più?) cosa fare della mia vita, non sapevo (più?) chi ero, soffrivo molto e mi sentivo in un vicolo cieco (in un colpo solo ho mollato un uomo con cui avevo una relazione da 7 anni e l'università che ero in procinto di concludere).
Adesso, dopo 5 anni, la psicoterapia si è conclusa per mia iniziativa senza aver raggiunto i risultati sperati: ancora non mi sono costruita una vita, non ho relazioni significative e continuo ad avere importanti difficoltà a tollerare la mia sofferenza e le frustrazioni che inevitabilmente mi offre la vita di tutti i giorni.
Al terapeuta che mi ha seguito ho voluto e voglio tuttora molto bene, la mia sensazione è che sia stata l'unica persona nella mia vita ad essersi realmente interessata a me, al mio mondo interiore, alle mie emozioni.
Questa è una sensazione molto piacevole ma anche molto angosciante da sostenere per me: mi mette di fronte a quello che non ho ricevuto in passato e anche di fronte al fatto concreto che un tale interesse nel mio caso è stato possibile ottenerlo solo dietro compenso e "ingabbiato" nelle rigidità di un setting terapeutico.
Proprio questo credo abbia mandato in crisi il rapporto: fin dall'inizio ho sentito col terapeuta un "feeling" importante e, man mano che il legame si è costruito ed è cresciuto, il fatto che fosse "solo" il mio terapeuta è diventato sempre meno accettabile.
E da quando ho cominciato ad esternare questo mio "sentire" (a dire il vero alquanto ingarbugliato) mi sono sentita come se lui sminuisse i miei sentimenti, e come se li rifiutasse e li calpestasse, come se questi miei sentimenti fossero qualcosa di sbagliato che non avrebbe dovuto esistere.
In più di un'occasione sono arrivata ad esternare la necessità di interrompere la terapia perché non mi sentivo in grado di fare quello che lui si aspettava da me (una piscoterapia!) , e più volte abbiamo provato a concordare dei colloqui conclusivi che però erano per me insostenibili.
Alla fine gli ho scritto per sms che non me la sentivo più.
Adesso mi chiedo se sia vero, come dice lui, che forse non era il terapeuta giusto per me (certo, se così fosse avrei voluto capirlo prima) o se sono io che non sono capace di affrontare una psicoterapia.
A volte ho la sensazione che questa chiusura l'abbia voluta anche lui, che mi ci abbia portato.
Adesso combatto con le parti di me che vorrebbero cercarlo come "persona amica" e quelle che mi avvertono che mi prenderei solo un'altra bastonata, e che comunque almeno un periodo di riflessione me lo devo concedere.
Solo che: in questo periodo con chi parlo?
Come lenisco la mia solutidine?
[#1]
"Adesso mi chiedo se sia vero, come dice lui, che forse non era il terapeuta giusto per me (certo, se così fosse avrei voluto capirlo prima) o se sono io che non sono capace di affrontare una psicoterapia."
Gentile signora,
da qui, senza conoscere nè Lei nè la situazione, non possiamo risponderLe nel merito.
La cosa su cui però Lei porta l'attenzione sono gli obiettivi: avevate fissato degli obiettivi terapeutici? Quali erano? Qualcuno di questi è stato raggiunto?
"Solo che: in questo periodo con chi parlo?
Come lenisco la mia solutidine?"
Quali strumenti Le ha fornito la terapia per affrontare questa problematica? Come mai si è così isolata?
Cordiali saluti,
Gentile signora,
da qui, senza conoscere nè Lei nè la situazione, non possiamo risponderLe nel merito.
La cosa su cui però Lei porta l'attenzione sono gli obiettivi: avevate fissato degli obiettivi terapeutici? Quali erano? Qualcuno di questi è stato raggiunto?
"Solo che: in questo periodo con chi parlo?
Come lenisco la mia solutidine?"
Quali strumenti Le ha fornito la terapia per affrontare questa problematica? Come mai si è così isolata?
Cordiali saluti,
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#2]
Utente
"avevate fissato degli obiettivi terapeutici? Quali erano? Qualcuno di questi è stato raggiunto?"
Gentile dottoressa,
gli obiettivi condivisi erano che io trovassi la mia strada (intesa come percorso di vita e di conseguenza anche percorso lavorativo) e che arrivassi a soffrire meno. Non ho trovato la mia strada, e soffro ancora molto (meno? uguale? di più? è difficile dirlo: sicuramente troppo per giudicarla una vita degna di essere vissuta). Lui ritiene che qualche miglioramento c'è stato, ma credo si riferisse più alla relazione con lui che ad altro (ho sempre fatto molta fatica ad aprirmi e a parlare e ci è voluto parecchio perché riuscissi ad affrontare temi che fossero davvero importanti).
"Quali strumenti Le ha fornito la terapia per affrontare questa problematica? Come mai si è così isolata?"
Io non riesco a identificare nessuno strumento di questo tipo (non saprei nemmeno immaginare quale potrebbe essere), e mi verrebbe da dire che non me ne abbia dati. Ma oggi mi chiedo se sono io a non averli saputi vedere e prendere con me...
Non so dire con precisione perché mi sono isolata. In realtà quando ho iniziato la terapia la prima cosa che ho fatto è stato guardarmi alle spalle e pensare che un amico, nel vero senso della parola (inteso come qualcuno con cui aprirsi e condividere il proprio mondo interiore), non lo avevo mai avuto e forse non avevo neanche mai concepito di averlo. Ho pensato anche che forse non mi ero mai guardata davvero dentro, e quindi neanche volendo avrei potuto condividere davvero qualcosa con qualcuno. Tutt'oggi penso di fare molta fatica a "conoscermi", a identificare i miei desideri e i miei bisogni. Non avendo questa confidenza negli altri, ed essendo anche una persona un po' atipica rispetto ai miei coetanei (non mi sono trovata molto coi loro modi di divertirsi dai tempi delle scuole medie in poi), negli anni le persone con cui sono entrata in contatto si sono mano a mano ridotte, e di conseguenza anche le occasioni per conoscerne di nuove. Inoltre la relazione che ho avuto (quella chiusa 5 anni fa), per diversi motivi, ha assecondato un po' questa mia tendenza all'isolamento; tendenza che onestamente non mi era mai pesata finché non sono andata in terapia e non ho scoperto quanto può essere bello che a qualcuno interessi di quello che provi. Adesso penso che l'unico "qualcuno" che avevo trovato era il terapeuta e non lo avrò più perché non sono stata all'altezza della terapia. Non saprei come uscire da questo isolamento, sono 5 anni che me lo chiedo e non ho trovato un modo: finisco per tenere lontane o allontanare tutte le persone con cui entro in contatto (terapeuta incluso).
Gentile dottoressa,
gli obiettivi condivisi erano che io trovassi la mia strada (intesa come percorso di vita e di conseguenza anche percorso lavorativo) e che arrivassi a soffrire meno. Non ho trovato la mia strada, e soffro ancora molto (meno? uguale? di più? è difficile dirlo: sicuramente troppo per giudicarla una vita degna di essere vissuta). Lui ritiene che qualche miglioramento c'è stato, ma credo si riferisse più alla relazione con lui che ad altro (ho sempre fatto molta fatica ad aprirmi e a parlare e ci è voluto parecchio perché riuscissi ad affrontare temi che fossero davvero importanti).
"Quali strumenti Le ha fornito la terapia per affrontare questa problematica? Come mai si è così isolata?"
Io non riesco a identificare nessuno strumento di questo tipo (non saprei nemmeno immaginare quale potrebbe essere), e mi verrebbe da dire che non me ne abbia dati. Ma oggi mi chiedo se sono io a non averli saputi vedere e prendere con me...
Non so dire con precisione perché mi sono isolata. In realtà quando ho iniziato la terapia la prima cosa che ho fatto è stato guardarmi alle spalle e pensare che un amico, nel vero senso della parola (inteso come qualcuno con cui aprirsi e condividere il proprio mondo interiore), non lo avevo mai avuto e forse non avevo neanche mai concepito di averlo. Ho pensato anche che forse non mi ero mai guardata davvero dentro, e quindi neanche volendo avrei potuto condividere davvero qualcosa con qualcuno. Tutt'oggi penso di fare molta fatica a "conoscermi", a identificare i miei desideri e i miei bisogni. Non avendo questa confidenza negli altri, ed essendo anche una persona un po' atipica rispetto ai miei coetanei (non mi sono trovata molto coi loro modi di divertirsi dai tempi delle scuole medie in poi), negli anni le persone con cui sono entrata in contatto si sono mano a mano ridotte, e di conseguenza anche le occasioni per conoscerne di nuove. Inoltre la relazione che ho avuto (quella chiusa 5 anni fa), per diversi motivi, ha assecondato un po' questa mia tendenza all'isolamento; tendenza che onestamente non mi era mai pesata finché non sono andata in terapia e non ho scoperto quanto può essere bello che a qualcuno interessi di quello che provi. Adesso penso che l'unico "qualcuno" che avevo trovato era il terapeuta e non lo avrò più perché non sono stata all'altezza della terapia. Non saprei come uscire da questo isolamento, sono 5 anni che me lo chiedo e non ho trovato un modo: finisco per tenere lontane o allontanare tutte le persone con cui entro in contatto (terapeuta incluso).
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"Adesso penso che l'unico "qualcuno" che avevo trovato era il terapeuta e non lo avrò più perché non sono stata all'altezza della terapia. Non saprei come uscire da questo isolamento, sono 5 anni che me lo chiedo e non ho trovato un modo: finisco per tenere lontane o allontanare tutte le persone con cui entro in contatto (terapeuta incluso)."
Gentile signora,
per prima cosa il paziente non deve essere all'altezza della terapia o temere di perdere il terapeuta. Forse questo fa parte del problema. Il paziente deve imparare ad utilizzare la psicoterapia a proprio vantaggio per arrivare a modificare quegli aspetti che sono disfunzionali e che appesantiscono la sua vita e gli rendono difficile la vita.
Se Lei finisce per mettere in pratica INCONSAPEVOLMENTE comportamenti che allontano gli altri, qui si possono fissare degli obiettivi sensati: intercettare questi comportamenti e modificarli.
Gli obiettivi devono sempre essere molto specifici, e NON "voglio vivere meglio".
Io La incoraggio a riprendere il percorso, magari con uno psicoterapeuta diverso, in modo da risolvere il problema definitivamente.
Cordiali saluti,
Gentile signora,
per prima cosa il paziente non deve essere all'altezza della terapia o temere di perdere il terapeuta. Forse questo fa parte del problema. Il paziente deve imparare ad utilizzare la psicoterapia a proprio vantaggio per arrivare a modificare quegli aspetti che sono disfunzionali e che appesantiscono la sua vita e gli rendono difficile la vita.
Se Lei finisce per mettere in pratica INCONSAPEVOLMENTE comportamenti che allontano gli altri, qui si possono fissare degli obiettivi sensati: intercettare questi comportamenti e modificarli.
Gli obiettivi devono sempre essere molto specifici, e NON "voglio vivere meglio".
Io La incoraggio a riprendere il percorso, magari con uno psicoterapeuta diverso, in modo da risolvere il problema definitivamente.
Cordiali saluti,
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#4]
Utente
Gentile dottoressa,
sinceramente non so come potrei non temere di perdere l'unica persona che sembra aver dato peso (sebbene solo per motivi professionali) a una parte di me che prima non sapeva neanche di esistere. Credo che il problema si presenterebbe con qualsiasi terapeuta in grado di darci peso, ma non vedo proprio un modo per superarlo. Sento che non riuscirò mai ad affrontare una terapia "con lo spirito giusto" se prima non trovo qualcuno che mi sia vicino fuori dalla terapia, ma non so come trovare quel qualcuno senza che qualcun altro mi aiuti a farlo (del resto penso anche che nessuno sarebbe felice di stare vicino a una persona così in difficoltà come me). Mi sembra di essere in una strada senza uscita.
Non so neanche se nel mio caso sia propriamente esatto dire che metto in atto certi comportamenti "inconsapevolmente": la maggior parte delle persone le tengo distanti semplicemente perché non mi interessano, perché non sento di avere sufficienti cose in comune.
sinceramente non so come potrei non temere di perdere l'unica persona che sembra aver dato peso (sebbene solo per motivi professionali) a una parte di me che prima non sapeva neanche di esistere. Credo che il problema si presenterebbe con qualsiasi terapeuta in grado di darci peso, ma non vedo proprio un modo per superarlo. Sento che non riuscirò mai ad affrontare una terapia "con lo spirito giusto" se prima non trovo qualcuno che mi sia vicino fuori dalla terapia, ma non so come trovare quel qualcuno senza che qualcun altro mi aiuti a farlo (del resto penso anche che nessuno sarebbe felice di stare vicino a una persona così in difficoltà come me). Mi sembra di essere in una strada senza uscita.
Non so neanche se nel mio caso sia propriamente esatto dire che metto in atto certi comportamenti "inconsapevolmente": la maggior parte delle persone le tengo distanti semplicemente perché non mi interessano, perché non sento di avere sufficienti cose in comune.
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 347 visite dal 01/09/2024.
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