Rapporto conflittuale con mia madre, incapacità ad accettare la madre reale 50 anni
Fin da bambina ho avuto un rapporto conflittuale con mia madre.
Lei è una donna forte e pratica con incapacità di mostrare affetto.
Nel tempo si è creato un equilibrio dove io mi sono accontentata di riuscire a stare inseme a lei senza liti e sopportando alcune offese, come se avessi accettato finalmente la mia mamma reale.
La cena a casa sua, ogni 10 gg circa, con il mio compagno, mia fratello e la sua famiglia era per me "la famiglia".
A 65 anni, un anno fa, si è innamorata di un uomo che vive in un altra regione, ed è iniziato il suo cambiamento.
Importante dimagrimento, vendita della casa di residenza per comprarne una in quest'altro paese, viaggi settimanali per andare a trovarlo.
Intanto, senza casa, ha vissuto un anno da me (ancora deve lavorare 1anni prima di potersi trasferire da lui).
Io l'ho accettata in casa per senso del dovere, lei si è comportata tutto il tempo come un'estranea, non condividendo mai con noi i suoi piani e la sua vita.
Credo di aver sofferto ogni giorno per un anno per questo suo comportamento rabbia e dolore).
È rimasta quella che era ma avendola in casa per me è stato difficile accettarla.
Fino a ché la sofferenza si è accumulata ed io ho iniziato ad avere crisi di pianto e ansia forte.
Ho provato a parlarle per spiegarle che mi sarebbe piaciuto che si fermasse a cena con noi la sera, che ci parlasse, che ci rendese partecipe della sua vita ma lei mi ha sempre ribadito di quanto fosse riservata e che l sue cose nn mi riguardavano, che lei alla sua età ha il diritto di fare ciò che vuole e che nn può cambiare perché lei è così.
La sofferenza mi porta ad un ansia forte ed insonnia...sento forte la mancanza d'amore da parte sua.
Nn la riconosco, a volta mi fa paura la sua freddezza, l'ansia è unentata tanto da chiedere a mio fratello di prenderla in casa con sé.
Da qui riesce, come ha sempre fatto a farmi sentire in colpa: tu hai la casa grande e io dormo male su un divano letto...
Riesce bene a farmi sentire in colpa ma sento che mi fa troppo male averla in casa ma mi accorgo anche che è un male nn diverso da quello che mi fa venire con i sensi di colpa.
Ho trovato una camera in affitto e vorrei proporgliela, penso che potrebbe essere la soluzione ma il senso di colpa arriverà di certo.
Ecco, questa è il conflitto che da più di un anno mi ha stravolto la vita è nn mi fa stare serena.
Non vedo possibilità di uscita.
Nn riesco ad abbandonare il pensiero di una madre ideale ma so perfettamente che devo imparare ad accettare la mia mamma reale.
Mi chiedo come possa essere sfociato in un dolore così grande questa situazione.
In più ho 50 anni e le reazioni di disperazione e pianto non riesco a giustificarmele.
Pensate ci sia una via d'uscita a questa mia situazione.
Lei è una donna forte e pratica con incapacità di mostrare affetto.
Nel tempo si è creato un equilibrio dove io mi sono accontentata di riuscire a stare inseme a lei senza liti e sopportando alcune offese, come se avessi accettato finalmente la mia mamma reale.
La cena a casa sua, ogni 10 gg circa, con il mio compagno, mia fratello e la sua famiglia era per me "la famiglia".
A 65 anni, un anno fa, si è innamorata di un uomo che vive in un altra regione, ed è iniziato il suo cambiamento.
Importante dimagrimento, vendita della casa di residenza per comprarne una in quest'altro paese, viaggi settimanali per andare a trovarlo.
Intanto, senza casa, ha vissuto un anno da me (ancora deve lavorare 1anni prima di potersi trasferire da lui).
Io l'ho accettata in casa per senso del dovere, lei si è comportata tutto il tempo come un'estranea, non condividendo mai con noi i suoi piani e la sua vita.
Credo di aver sofferto ogni giorno per un anno per questo suo comportamento rabbia e dolore).
È rimasta quella che era ma avendola in casa per me è stato difficile accettarla.
Fino a ché la sofferenza si è accumulata ed io ho iniziato ad avere crisi di pianto e ansia forte.
Ho provato a parlarle per spiegarle che mi sarebbe piaciuto che si fermasse a cena con noi la sera, che ci parlasse, che ci rendese partecipe della sua vita ma lei mi ha sempre ribadito di quanto fosse riservata e che l sue cose nn mi riguardavano, che lei alla sua età ha il diritto di fare ciò che vuole e che nn può cambiare perché lei è così.
La sofferenza mi porta ad un ansia forte ed insonnia...sento forte la mancanza d'amore da parte sua.
Nn la riconosco, a volta mi fa paura la sua freddezza, l'ansia è unentata tanto da chiedere a mio fratello di prenderla in casa con sé.
Da qui riesce, come ha sempre fatto a farmi sentire in colpa: tu hai la casa grande e io dormo male su un divano letto...
Riesce bene a farmi sentire in colpa ma sento che mi fa troppo male averla in casa ma mi accorgo anche che è un male nn diverso da quello che mi fa venire con i sensi di colpa.
Ho trovato una camera in affitto e vorrei proporgliela, penso che potrebbe essere la soluzione ma il senso di colpa arriverà di certo.
Ecco, questa è il conflitto che da più di un anno mi ha stravolto la vita è nn mi fa stare serena.
Non vedo possibilità di uscita.
Nn riesco ad abbandonare il pensiero di una madre ideale ma so perfettamente che devo imparare ad accettare la mia mamma reale.
Mi chiedo come possa essere sfociato in un dolore così grande questa situazione.
In più ho 50 anni e le reazioni di disperazione e pianto non riesco a giustificarmele.
Pensate ci sia una via d'uscita a questa mia situazione.
[#1]
Gentile utente,
ho letto la sua lettera con profonda partecipazione.
Rispondo alle sue domande finali.
"Mi chiedo come possa essere sfociato in un dolore così grande questa situazione. In più ho 50 anni e le reazioni di disperazione e pianto non riesco a giustificarmele. Pensate ci sia una via d'uscita a questa mia situazione".
Cara utente, il più grave abuso che si possa compiere nei confronti dei figli è quello che noi psicologi chiamiamo "negligenza affettiva", ossia l'estraneità, la freddezza, il negare lo sguardo affettuoso, il sorriso, le parole tenere, la confidenza empatica.
Lei ha subito tutto questo negli anni, accompagnato, come avviene spesso, da una serie di pretese di sua madre. Questo genere di persone non dà nulla, non concede la minima tenerezza, ma prende avidamente.
Se lei non ha sua madre dentro casa, può coltivare in sé stessa un'immagine di madre, se non tenera, almeno benevola e comunicativa. Se la ha accanto invece sperimenta continuamente il suo gelo; come scontrarsi dolorosamente contro un iceberg.
Lei descrive benissimo proprio questo: "È rimasta quella che era ma avendola in casa per me è stato difficile accettarla. Fino a che la sofferenza si è accumulata ed io ho iniziato ad avere crisi di pianto e ansia forte".
Ma seguendo i dettami della durezza materna, lei vuole sconfessare sé stessa, ignorare i suoi sentimenti, e le sembra di non avere più il diritto di soffrire di questo gelo. Ora dice di non averne diritto perché ha cinquant'anni, da piccola chissà che altro si inventava per ritenere fuori luogo le sue lacrime.
Aggiunge: "Non riesco ad abbandonare il pensiero di una madre ideale ma so perfettamente che devo imparare ad accettare la mia mamma reale".
Chi l'ha detto? La mamma tenera, comprensiva, che accoglie le nostre confidenze, da bambini è un bisogno primario e da adulti ci rende capaci di restituire l'appoggio affettivo... se c'è stato.
Lei trova molti modi per giustificare quello che sembra un gelido egoismo. Parla di "una donna forte e pratica con incapacità di mostrare affetto". Tuttavia questa donna si è innamorata di qualcuno e ha rivoluzionato la sua vita per raggiungerlo, ma il suo amore è sempre rivolto ad altri che non siano lei che ci scrive.
In questo atteggiamento che risulta crudele verso i figli certamente ci sono elementi inconsci: si parla di trasmissione transgenerazionale del trauma, o di conflitti con l'altro genitore, o di altre ragioni che possono bloccare l'affetto.
Tuttavia, cara utente, noi dobbiamo sempre tenere a mente la volontarietà dell'agire umano. Quali che siano i miei sentimenti "naturali" posso correggerne la manifestazione, e se ho la volontà di esercitare un'umana compassione verso i miei simili, lo faccio.
Sua madre non ha deficit cognitivi, mi pare. Anzi riesce ad usare una buona intelligenza a fini manipolatori: "Da qui riesce, come ha sempre fatto a farmi sentire in colpa: tu hai la casa grande e io dormo male su un divano letto..."
Io direi che assieme alla stanza in affitto, lei le proponga francamente quanto soffre del suo stile frigorifero. Se non riesce da sola a formulare il suo discorso, si faccia aiutare da uno specialista.
La abbraccio.
ho letto la sua lettera con profonda partecipazione.
Rispondo alle sue domande finali.
"Mi chiedo come possa essere sfociato in un dolore così grande questa situazione. In più ho 50 anni e le reazioni di disperazione e pianto non riesco a giustificarmele. Pensate ci sia una via d'uscita a questa mia situazione".
Cara utente, il più grave abuso che si possa compiere nei confronti dei figli è quello che noi psicologi chiamiamo "negligenza affettiva", ossia l'estraneità, la freddezza, il negare lo sguardo affettuoso, il sorriso, le parole tenere, la confidenza empatica.
Lei ha subito tutto questo negli anni, accompagnato, come avviene spesso, da una serie di pretese di sua madre. Questo genere di persone non dà nulla, non concede la minima tenerezza, ma prende avidamente.
Se lei non ha sua madre dentro casa, può coltivare in sé stessa un'immagine di madre, se non tenera, almeno benevola e comunicativa. Se la ha accanto invece sperimenta continuamente il suo gelo; come scontrarsi dolorosamente contro un iceberg.
Lei descrive benissimo proprio questo: "È rimasta quella che era ma avendola in casa per me è stato difficile accettarla. Fino a che la sofferenza si è accumulata ed io ho iniziato ad avere crisi di pianto e ansia forte".
Ma seguendo i dettami della durezza materna, lei vuole sconfessare sé stessa, ignorare i suoi sentimenti, e le sembra di non avere più il diritto di soffrire di questo gelo. Ora dice di non averne diritto perché ha cinquant'anni, da piccola chissà che altro si inventava per ritenere fuori luogo le sue lacrime.
Aggiunge: "Non riesco ad abbandonare il pensiero di una madre ideale ma so perfettamente che devo imparare ad accettare la mia mamma reale".
Chi l'ha detto? La mamma tenera, comprensiva, che accoglie le nostre confidenze, da bambini è un bisogno primario e da adulti ci rende capaci di restituire l'appoggio affettivo... se c'è stato.
Lei trova molti modi per giustificare quello che sembra un gelido egoismo. Parla di "una donna forte e pratica con incapacità di mostrare affetto". Tuttavia questa donna si è innamorata di qualcuno e ha rivoluzionato la sua vita per raggiungerlo, ma il suo amore è sempre rivolto ad altri che non siano lei che ci scrive.
In questo atteggiamento che risulta crudele verso i figli certamente ci sono elementi inconsci: si parla di trasmissione transgenerazionale del trauma, o di conflitti con l'altro genitore, o di altre ragioni che possono bloccare l'affetto.
Tuttavia, cara utente, noi dobbiamo sempre tenere a mente la volontarietà dell'agire umano. Quali che siano i miei sentimenti "naturali" posso correggerne la manifestazione, e se ho la volontà di esercitare un'umana compassione verso i miei simili, lo faccio.
Sua madre non ha deficit cognitivi, mi pare. Anzi riesce ad usare una buona intelligenza a fini manipolatori: "Da qui riesce, come ha sempre fatto a farmi sentire in colpa: tu hai la casa grande e io dormo male su un divano letto..."
Io direi che assieme alla stanza in affitto, lei le proponga francamente quanto soffre del suo stile frigorifero. Se non riesce da sola a formulare il suo discorso, si faccia aiutare da uno specialista.
La abbraccio.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Utente
Gentile dottoressa, la ringrazio infinitamente per la sua attenzione. La sua risposta mi ha dato tanti spunti di riflessione. È vero, trovo molti modi per giustificare la mamma. C'è una cosa che non avevo specificato. Nel suo modo di essere concreta, mia madre mi ha dato la possibilità di comprare una casa. Nel concreto ha sempre "dato", certo, rinfacciando in qualche modo i suoi "sacrifici". Lei ha fatto i sacrifici per noi (me e mio fratello) e noi non siamo come lei vorrebbe che fossimo . So che nn possiamo essere noi a procurarle delle sofferenze, che c'è qualcosa in lei che dovrebbe indagare. Io riconosco la sua freddezza, ma quando penso a quei suoi sacrifici, mi sento io colpevole. Perché a volte credo che dentro di sè lei queste storie le senta vere e che magari ne soffra e che nn può proprio comunicare i n modo differente. Si mi accorgo di continuare a giustificarla ancora. Ma se quella volontarietà dell'agire umano di cui lei parla, a mia madre non fosse accessibile verso i figli, per motivi del suo passato che non sappiamo? A volte provo una pena così grande per lei, quanto il dolore che mi procura il suo modo di essere con me. E così il dolore si accumula al dolore.
Mi sono rivolta ad una professionista , ormai tre anni fa, sempre per il rapporto con mia madre. Ci stiamo lavorando ma a volte mi pare di rimanere ferma e di non riuscire a cambiare (soprattutto da un anno con questo suo cambiamento). Per quanto riguarda la terapia, faccio sedute settimanali on line con una psicoterapeuta, on line perché iniziammo sotto covid e poi la dottoressa per motivi personali ha deciso di continuare in questa modalità. Nn nascondo che a volte la terapia on line mi pare limitante, ma nn so se posso chiederle un parere anche su questo. Grazie e grazie ancora per tutto lo spazio che mi ha dedicato.
Mi sono rivolta ad una professionista , ormai tre anni fa, sempre per il rapporto con mia madre. Ci stiamo lavorando ma a volte mi pare di rimanere ferma e di non riuscire a cambiare (soprattutto da un anno con questo suo cambiamento). Per quanto riguarda la terapia, faccio sedute settimanali on line con una psicoterapeuta, on line perché iniziammo sotto covid e poi la dottoressa per motivi personali ha deciso di continuare in questa modalità. Nn nascondo che a volte la terapia on line mi pare limitante, ma nn so se posso chiederle un parere anche su questo. Grazie e grazie ancora per tutto lo spazio che mi ha dedicato.
[#3]
Gentile utente,
lei scrive: "se quella volontarietà dell'agire umano di cui lei parla, a mia madre non fosse accessibile verso i figli, per motivi del suo passato che non sappiamo?".
I rapporti familiari, più sono stretti, più comportano attriti, rimpianti ("noi non siamo come lei vorrebbe che fossimo"), ostilità, ricordi dolorosi. Tuttavia da adulti consapevoli ci si può porre la domanda: "Voglio vivere in perenne conflitto? Se non è così, quello che faccio è gentile verso X, oppure le crea rabbia o dolore?".
La persona X dovrebbe aiutare questa presa di coscienza, segnalando quali parole e comportamenti la fanno soffrire; ma a sua volta può essersi chiusa in seguito ad una serie di delusioni che sono diventate mutismo, sfiducia, rancore.
A questa situazione mi hanno fatto pensare le frasi della sua prima email: "Ho provato a parlarle per spiegarle che mi sarebbe piaciuto che si fermasse a cena con noi la sera, che ci parlasse, che ci rendese partecipe della sua vita ma lei mi ha sempre ribadito di quanto fosse riservata e che l sue cose nn mi riguardavano, che lei alla sua età ha il diritto di fare ciò che vuole e che nn può cambiare perché lei è così".
Sembra un discorso in cui le due parti in causa non si sono capite. Ma come, sei ospite a casa di tua figlia e non ceni con lei e il suo compagno? E dall'altra parte, la figlia chiederebbe confidenze personali a tavola, tanto che la madre deve opporre di essere una persona riservata?
Le ho scritto che se non riesce da sola a formulare il suo discorso, dovrebbe farsi aiutare dalla specialista che la segue. Si possono fare anche una o più sedute di terapia familiare, perché sia la specialista a sbloccare la comunicazione interrotta.
Il rifiutare anche questa via può dipendere da orgoglio, da dolore che non si vuole manifestare ad estranei, ma talvolta è malafede: "So bene di sbagliare, ma voglio continuare così", dicono alcuni dentro di sé, anche se affermano altro.
Inoltre i "motivi del suo passato che non sappiamo" fanno pensare che nessuna confidenza abbia mai avuto sua madre con voi. Non vi ha raccontato dei vostri primi anni, della scelta di avervi o al contrario del desiderio di non avere figli? E suo padre in tutto questo dov'era?
Lei stessa risulta reticente, come avviene a chi vuole costruirsi un'immagine di una realtà che tuttavia percepisce diversa. Per esempio la frase "mia madre mi ha dato la possibilità di comprare una casa" vuol dire che le ha regalato la sua casa, che le ha dato una parte del denaro per acquistarla, o che semplicemente le ha fatto un prestito? E i sacrifici in cosa sarebbero consistiti?
Sua madre come si comporta verso i nipoti? Oppure lei che ci scrive e suo fratello non avete figli?
Tutto questo, anche la pena che sente invertendo i ruoli e facendo lei da madre a sua madre, va analizzato in terapia.
Credere però che il metodo online possa non essere idoneo, e non far presente questo timore direttamente alla specialista, potrebbe essere un altro modo di restare aggrappata ad una visione falsa. Piuttosto mi sorprende che in tre anni di sedute settimanali la situazione non si sia sbloccata, ma ogni metodo terapeutico ha i suoi tempi. Di quale orientamento metodologico è la specialista che la segue?
lei scrive: "se quella volontarietà dell'agire umano di cui lei parla, a mia madre non fosse accessibile verso i figli, per motivi del suo passato che non sappiamo?".
I rapporti familiari, più sono stretti, più comportano attriti, rimpianti ("noi non siamo come lei vorrebbe che fossimo"), ostilità, ricordi dolorosi. Tuttavia da adulti consapevoli ci si può porre la domanda: "Voglio vivere in perenne conflitto? Se non è così, quello che faccio è gentile verso X, oppure le crea rabbia o dolore?".
La persona X dovrebbe aiutare questa presa di coscienza, segnalando quali parole e comportamenti la fanno soffrire; ma a sua volta può essersi chiusa in seguito ad una serie di delusioni che sono diventate mutismo, sfiducia, rancore.
A questa situazione mi hanno fatto pensare le frasi della sua prima email: "Ho provato a parlarle per spiegarle che mi sarebbe piaciuto che si fermasse a cena con noi la sera, che ci parlasse, che ci rendese partecipe della sua vita ma lei mi ha sempre ribadito di quanto fosse riservata e che l sue cose nn mi riguardavano, che lei alla sua età ha il diritto di fare ciò che vuole e che nn può cambiare perché lei è così".
Sembra un discorso in cui le due parti in causa non si sono capite. Ma come, sei ospite a casa di tua figlia e non ceni con lei e il suo compagno? E dall'altra parte, la figlia chiederebbe confidenze personali a tavola, tanto che la madre deve opporre di essere una persona riservata?
Le ho scritto che se non riesce da sola a formulare il suo discorso, dovrebbe farsi aiutare dalla specialista che la segue. Si possono fare anche una o più sedute di terapia familiare, perché sia la specialista a sbloccare la comunicazione interrotta.
Il rifiutare anche questa via può dipendere da orgoglio, da dolore che non si vuole manifestare ad estranei, ma talvolta è malafede: "So bene di sbagliare, ma voglio continuare così", dicono alcuni dentro di sé, anche se affermano altro.
Inoltre i "motivi del suo passato che non sappiamo" fanno pensare che nessuna confidenza abbia mai avuto sua madre con voi. Non vi ha raccontato dei vostri primi anni, della scelta di avervi o al contrario del desiderio di non avere figli? E suo padre in tutto questo dov'era?
Lei stessa risulta reticente, come avviene a chi vuole costruirsi un'immagine di una realtà che tuttavia percepisce diversa. Per esempio la frase "mia madre mi ha dato la possibilità di comprare una casa" vuol dire che le ha regalato la sua casa, che le ha dato una parte del denaro per acquistarla, o che semplicemente le ha fatto un prestito? E i sacrifici in cosa sarebbero consistiti?
Sua madre come si comporta verso i nipoti? Oppure lei che ci scrive e suo fratello non avete figli?
Tutto questo, anche la pena che sente invertendo i ruoli e facendo lei da madre a sua madre, va analizzato in terapia.
Credere però che il metodo online possa non essere idoneo, e non far presente questo timore direttamente alla specialista, potrebbe essere un altro modo di restare aggrappata ad una visione falsa. Piuttosto mi sorprende che in tre anni di sedute settimanali la situazione non si sia sbloccata, ma ogni metodo terapeutico ha i suoi tempi. Di quale orientamento metodologico è la specialista che la segue?
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#4]
Utente
Mia madre mi ha regalato metà del valore della mia casa. Per il resto ho contratto un mutuo. Io nn ho figli, mio fratello ha due bimbe. Mia madre passava molte ore con le bimbe era molto legata a loro. Aveva dei comportamenti che con noi figli non ha mai avuto. Baci abbracci. Si è un po' distaccata da loro da quando ha questo compagno. Per nove anni, dopo il lavoro ha fatto la nonna a tempo pieno, aiutando mia cognata e mio fratello, che a mio avviso hanno un po' approfittato di questa disponibilità. Tanto che all'inizio ho pensato che lei fosse voluta scappare anche da questa situazione. Mio padre e mia madre si sono separati quando avevo 5 anni. Mia madre è rimasta sola ma si è riaccompagnato presto con l' uomo con con cui siamo cresciuti e che è venuto a mancare 7 anni fa. Lui stava bene economicamente, mi aiutava molto a comunicare con la mamma soprattutto dopo essere venuta via di casa ( io a 18 anni) ad esempio mi chiamava per invitarmi a mangiare(può darsi che glielo suggerisse lei, nn so). Mia madre ha sempre lavorato molto e metteva da parte sempre i soldi guadagnati (no vacanze, no parrucchiera, no abiti costosi, no colazione al bar), e questo è stato il suo sacrificio. Ho sofferto molto la separazione dei miei. Dei limiti della terapia on line ne ho parlato con la mia terapeuta (psicoterapia psicoanalitica)dall'inizio e anche dopo. Lei risolve con un : vedremo in seguito se potrò glielo comunico. I primi 2 anni di terapia avevo raggiunto buoni risultati nel rapporto con la mamma, avevo imparato a cenare con lei da sola a tavola senza sentirmi in imbarazzo per esempio e anche lei sembrava avere più attenzione nei miei confronti (tono di voce meno brusco per esempio). Tutto è degenerato quando lei ha scelto di vendere tutto e di andarsene. Lei improvvisamente è diventata più fredda e distaccata verso tutti. Me lo chiedo spesso anche io se questa psicoterapia funzioni o se funzioni ancora, ma non lo so capire...alcune volte vorrei cambiare specialista ma ho paura di sbagliare a lasciarla,( perché comunque si è creato un buon rapporto) e a sceglierne uno/a nuovo(nn saprei da chi andare). La mamma nn mi ha mai raccontato di com'ero da piccola e neanche mio padre. Che ero molto timida mi pare di ricordarlo e di vederlo dalle foto. Lei so che nn accetterebbe mai di fare una terapia. Le ho detto che ho intrapreso una psicoterapia perché nn sto bene, la sua risposta: ma smetti di dare dei soldi a quei ciarlatani. So che ha domandato più di una volta a mia cognata del mio stato di salute, dopo avermi sentita piangere al telefono chiedendole di aiutarmi perché nn reggevo più la sitazione che si era creata in casa. Ma nn mi chiama mai.Nel primo messaggio chiedo se potrò mai uscire da questa situazione perché veramente nn vedo via di uscita. Non sento uno sblocco a questo dolore
[#5]
Gentile utente,
tre anni di terapia possono aver creato, soprattutto in una persona come lei, una sorta di dipendenza. Come con sua madre, forse lei non va più né avanti né indietro.
Se è così la sua curante potrà suggerirle di provare un altro metodo, perché la psicoanalisi, se usata da sola alla maniera "classica", manca di alcuni elementi oggi considerati necessari per la guarigione.
La stessa curante le suggerirà il nome di altri terapeuti o l'indirizzo terapeutico idoneo a completare questa guarigione, specialmente se non vuole accedere alla sua richiesta di colloqui in presenza.
Le ripeto che non ho opposizioni alla terapia online, purché il paziente la richieda, o l'accetti se richiesta dal curante. Altrimenti si fa l'usuale terapia in presenza, a meno che ci siano valide ragioni per escluderla, ragioni che devono essere comunicate e discusse col paziente stesso.
Gliene elenco qualcuna a me nota: il terapeuta è malato e non può lasciare il letto o sotto cura con farmaci che hanno abbassato le sue difese immunitarie; il paziente ha rivelato gravi tendenze aggressive; il terapeuta o il paziente hanno cambiato città trasferendosi troppo lontano per permettere uno spostamento settimanale...
So di terapeuti che si rifiutano di incontrare il paziente online, ma non è usuale il caso contrario, salvo situazioni come quelle citate; in ogni modo, i motivi per cui un terapeuta non intende ricevere il paziente in presenza vanno comunicati, le ripeto, in maniera trasparente.
Sono al corrente di due casi -uno qui su Medicitalia- in cui il terapeuta ha scelto di ingannare il paziente sul motivo dei colloqui obbligatoriamente online, ma questo compromette la fiducia e danneggia l'alleanza terapeutica.
Nel primo caso la curante si era trasferita in un'altra città e non l'aveva detto ai pazienti, creando l'impressione di averlo fatto per tenersi i relativi introiti.
Nel secondo caso la curante aveva rotto il legame col partner, proprietario dello studio in cui entrambi lavoravano, e trovandosi senza più un luogo dove riceverli non si era sentita di dirlo ai pazienti.
Gli psicologi sono esseri umani e fanno i loro errori; dovrebbero però seguire il codice deontologico, valido supporto perché questi errori non siano di danno ai pazienti.
Ad aiutare il loro lavoro è la sincerità da parte del paziente. La reticenza crea equivoci, con gli stessi meccanismi che devono essersi prodotti nei rapporti con sua madre. Queste domande sue vanno rivolte direttamente alla curante: "Me lo chiedo spesso anche io se questa psicoterapia funzioni o se funzioni ancora, ma non lo so capire...alcune volte vorrei cambiare specialista ma ho paura di sbagliare a lasciarla,( perché comunque si è creato un buon rapporto) e a sceglierne uno/a nuovo(nn saprei da chi andare)".
Questi dubbi vanno affrontati e discussi, ripeto, con la sua specialista; questo è parte essenziale del processo terapeutico.
Del resto anche la sua ultima email appare costellata di elementi non espliciti che sarebbero da portare in terapia. Per esempio il rapporto con suo padre, al tempo della separazione e negli anni fino ad oggi; il fatto che lei sia andata via di casa a diciotto anni; la scelta o il destino di non avere figli, etc.
Tutti elementi da analizzare fino in fondo nelle loro componenti cognitive ed emotive, insieme agli effetti che possono aver prodotto al di fuori, su sua madre prima di tutto.
Per rispondere in maniera fondata alla domanda: "chiedo se potrò mai uscire da questa situazione perché veramente nn vedo via di uscita. Non sento uno sblocco a questo dolore", ritengo che sia necessario conoscere questi "retroscena", e per questo la invito a portare tutta questa nostra conversazione alla sua curante. Forse questo sarebbe l'unico modo di sbloccare una situazione anchilosata da anni e sempre più dolorosa.
Affettuosi auguri.
tre anni di terapia possono aver creato, soprattutto in una persona come lei, una sorta di dipendenza. Come con sua madre, forse lei non va più né avanti né indietro.
Se è così la sua curante potrà suggerirle di provare un altro metodo, perché la psicoanalisi, se usata da sola alla maniera "classica", manca di alcuni elementi oggi considerati necessari per la guarigione.
La stessa curante le suggerirà il nome di altri terapeuti o l'indirizzo terapeutico idoneo a completare questa guarigione, specialmente se non vuole accedere alla sua richiesta di colloqui in presenza.
Le ripeto che non ho opposizioni alla terapia online, purché il paziente la richieda, o l'accetti se richiesta dal curante. Altrimenti si fa l'usuale terapia in presenza, a meno che ci siano valide ragioni per escluderla, ragioni che devono essere comunicate e discusse col paziente stesso.
Gliene elenco qualcuna a me nota: il terapeuta è malato e non può lasciare il letto o sotto cura con farmaci che hanno abbassato le sue difese immunitarie; il paziente ha rivelato gravi tendenze aggressive; il terapeuta o il paziente hanno cambiato città trasferendosi troppo lontano per permettere uno spostamento settimanale...
So di terapeuti che si rifiutano di incontrare il paziente online, ma non è usuale il caso contrario, salvo situazioni come quelle citate; in ogni modo, i motivi per cui un terapeuta non intende ricevere il paziente in presenza vanno comunicati, le ripeto, in maniera trasparente.
Sono al corrente di due casi -uno qui su Medicitalia- in cui il terapeuta ha scelto di ingannare il paziente sul motivo dei colloqui obbligatoriamente online, ma questo compromette la fiducia e danneggia l'alleanza terapeutica.
Nel primo caso la curante si era trasferita in un'altra città e non l'aveva detto ai pazienti, creando l'impressione di averlo fatto per tenersi i relativi introiti.
Nel secondo caso la curante aveva rotto il legame col partner, proprietario dello studio in cui entrambi lavoravano, e trovandosi senza più un luogo dove riceverli non si era sentita di dirlo ai pazienti.
Gli psicologi sono esseri umani e fanno i loro errori; dovrebbero però seguire il codice deontologico, valido supporto perché questi errori non siano di danno ai pazienti.
Ad aiutare il loro lavoro è la sincerità da parte del paziente. La reticenza crea equivoci, con gli stessi meccanismi che devono essersi prodotti nei rapporti con sua madre. Queste domande sue vanno rivolte direttamente alla curante: "Me lo chiedo spesso anche io se questa psicoterapia funzioni o se funzioni ancora, ma non lo so capire...alcune volte vorrei cambiare specialista ma ho paura di sbagliare a lasciarla,( perché comunque si è creato un buon rapporto) e a sceglierne uno/a nuovo(nn saprei da chi andare)".
Questi dubbi vanno affrontati e discussi, ripeto, con la sua specialista; questo è parte essenziale del processo terapeutico.
Del resto anche la sua ultima email appare costellata di elementi non espliciti che sarebbero da portare in terapia. Per esempio il rapporto con suo padre, al tempo della separazione e negli anni fino ad oggi; il fatto che lei sia andata via di casa a diciotto anni; la scelta o il destino di non avere figli, etc.
Tutti elementi da analizzare fino in fondo nelle loro componenti cognitive ed emotive, insieme agli effetti che possono aver prodotto al di fuori, su sua madre prima di tutto.
Per rispondere in maniera fondata alla domanda: "chiedo se potrò mai uscire da questa situazione perché veramente nn vedo via di uscita. Non sento uno sblocco a questo dolore", ritengo che sia necessario conoscere questi "retroscena", e per questo la invito a portare tutta questa nostra conversazione alla sua curante. Forse questo sarebbe l'unico modo di sbloccare una situazione anchilosata da anni e sempre più dolorosa.
Affettuosi auguri.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 1.1k visite dal 26/08/2024.
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