Sostegno fratello tossicodipendente

Buongiorno,
Mio fratello è un tossicodipendente, fa uso di cocaina da circa 20 anni.
Profilo classico del tossicodipendente: bugie su bugie e tanti, tanti soldi spariti.
Da qualche anno la questione è uscita fuori e io e mia sorella, insieme ai nostri genitori, lo abbiamo messo di fronte a una scelta.
O la comunità oppure fine dei rapporti con noi.
All'inizio non ne ha voluto sapere, ha detto che aveva ancora molto da perdere fuori e che poteva gestire la cosa andando ogni tanto al Sert.
Sono passati quasi sei mesi e ovviamente è andata male, è andata peggio, sempre peggio.
Ha accettato di entrare in comunità ma secondo noi solo perché aveva perso il lavoro e non sapeva più cosa fare della propria vita.
Dopo pochi giorni di prova, lo hanno fatto tornare a casa a "salutarci" e ha iniziato a dire che era dura e che la comunità aveva una componente religiosa troppo forte.

Premetto che sono atea e che sono seguita regolarmente da una psicologa, ma avevo già capito dove voleva andare a parare. Mi sono confrontata con la mia psicologa, la quale, pur non condividendo l'approccio religioso, mi ha detto che le ore di preghiera, lo sforzo fisico e le imposizioni religiose della comunità gli fanno bene perché sono comunque regole che insegnano a gestire le frustrazioni, cosa che i tossicodipendenti non sanno fare.
Anche lui, infatti, andava a comprare una dose ogni volta che aveva una discussione con qualcuno o si sentiva giù di morale.

Ora la situazione è questa: la persona che gestisce la comunità ha chiamato mia madre dicendole che lui continua ad avere un atteggiamento arrogante e che sta pensando di farlo stare una settimana a casa "a pensare" ma a noi sembra un po' strano come approccio.
Non dovrebbe insistere proprio ora che ha appena iniziato il percorso ed è normale che sia più duro in questa prima fase?

E' normale questo approccio da parte della comunità?

Tra l'altro, lui ci ha parlato della possibilità di vedere altre comunità ma, innanzitutto dovrebbero essere gratuite perché non ha un soldo, e poi temiamo che la sua sia solo una delle tante escamotage per evitare di stare alle regole e che non vorrà mai stare da nessuna parte.

Come dovremmo comportarci con lui?
Non vorremmo assecondarlo troppo in questa sua necessità di provare un'altra comunità.

Grazie a chi risponderà!
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Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.6k 598
Gentile utente,

Posso capire l'oggettiva difficoltà delle ore di preghiera per un non credente.
Potreste informarvi su una comunità gratuita ma non a sfondo religioso, ne esistono di vari tipi (v. link allegato) .
Il SerD è una fonte informata al riguardo.
Potrebbe rappresentare l'ultima chance che gli date.

Riguardo alla settimana a casa, chiarite bene con il responsabile della struttura gli obiettivi.

Si affidi alla Sua Psy; le indicazioni ricevute finora sono più che condivisibili.

Per info del Servizio Sanitario nazionale:
https://www.politicheantidroga.gov.it/it/servizi-sul-territorio/comunita-terapeutiche-e-strutture-residenziali-accreditate/ cliccando su https://www.politicheantidroga.gov.it/media/rhwhp0y5/elenco-comunita-terapeutiche_gennaio-2024.xlsx .

Saluti cordiali.
dott. Brunialti

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

[#2]
Utente
Utente
Grazie mille per la risposta. Anch'io posso capire la sua difficoltà non essendo credente ma ho anche paura che lui accentui questo aspetto per "farci pena". Purtroppo, dopo tutte le bugie che ci ha detto, non ci fidiamo più delle sue parole.

Abbiamo chiesto di qualche altra comunità, più laica per così dire, ma la maggior parte hanno lunghe liste di attesa e, personalmente, vorrei evitare che mia madre debba tenerlo di nuovo a casa sua nell'attesa... Non fa bene a lei, che è sempre in tensione, e non fa bene a lui perché quando è con i miei riesce sempre a impietosirli e perde di vista il suo obiettivo.
Sicuramente la psicologa mi sta aiutando tanto a cercare di salvaguardare la mia vita personale anche se non è affatto semplice e mi sento spesso in colpa e impotente.

Grazie ancora!
[#3]
Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.6k 598
Nei confronti delle persone che soffrono di patologie da dipendenza con o senza sostanza
è frequentissimo sentirsi "impotenti", considerata la possibilità minima che i/le famigliari hanno di incidere su una dipendenza conclamata.
Per i "sensi di colpa", non sappiamo di quale origine, ci lavori con la sua Psy:
è altrettanto frequente sentirsi "cattiv*" quando si assumono i comportamenti adatti alla disassuefazione.

L'aiuto in questo caso è molto faticoso, ma Lei ha una valida spalla.

Saluti cordiali.
dott. Brunialti

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/