Comunicazione terapeuta - paziente

Buongiorno, il mio tema è legato alla dinamica tra paziente e terapeuta relativamente ai risultati della terapia.
Non la faccio troppo lunga: ho un obiettivo terapeutico che da circa 20 anni non riesco a raggiungere e questo mi crea molta frustrazione.
Però, con l'attuale terapeuta (ma è successo anche in passato) quando parlo del fatto che la terapia non sta funzionando come vorrei, dall'altra parte vedo un atteggiamento di difesa.
Con lei, che mi sta seguendo ormai da più di 7 anni, è successo spesso che sottolineassi come personalmente pensassi che la terapia sia stata soprattutto un fallimento finora, per il fatto che non ho ottenuto la soluzione ai mie problemi relazionali.
E si può immaginare che dopo tanti anni e vari terapeuti, la mia frustrazione abbia raggiunto livelli significativi, con la conseguenza che posso risultare scontroso e anche rabbioso.
Però io devo poter esprimere questi sentimenti di insoddisfazione altrimenti a che serve andare dallo psicologo?
Dall'altra parte noto che c'è una reazione come di amor proprio ferito, di negazione o risentimento.
La psicologa mi ha detto "lei è come se giocasse al gatto col topo": queste risposte non mi servono a niente, anzi sono dannose.
Siccome però ho notato che anche con i passati terapeuti, ogni critica al loro operato, finiva in una mezza litigata, allora credo che ci sia un problema da parte dei terapeuti: non ce la fanno a ricevere osservazioni critiche sul loro operato.
E' un vero problema.
La psicologa che mi segue mi ha accennato al fatto che potrebbe esserci un tema specifico di relazione tra lei e me.
A me sembra di no: queste dinamiche le ho vissute anche con gli altri terapeuti.
Allora uno potrebbe pensare: il problema sei tu! Ma questo non può essere: il paziente come può avere responsabilità di una terapia che non funziona?
In passato sono stato più tollerante, più accondiscendente e meno propenso a esternare dubbi sul percorso e i risultati (non) ottenuti.
I terapeuti mi dicevano che non volevo cambiare, che volevo adagiarmi sui benefici secondari della mia condizione ecc... Così facendo non ho fatto un favore a me stesso.
Ormai penso che sia fondamentale che sia assertivo e possa esternare tutti i miei dubbi, perplessità e delusioni sui risultati della terapia.
Non posso sentirmi colpevole se la terapia non funziona e soprattutto devo poterlo dire.
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Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.5k 597
Gentile utente,

Lei non esplicita -nel presente consulto- quale si è stato in questi vent'anni il suo obiettivo terapeutico,
ma emerge dai precedenti consulti. Abbiamo risposto più volte nel corso degli anni su questa problematica, io stessa alcuni anni fa: https://www.medicitalia.it/consulti/psicologia/646680-surrogati-sessuali-o-qualcosa-di-simile.html .
- Facciamo nuovamente presente che la psicoterapia non modifica fisicamente il pene;
- può aiutare a modificare l'atteggiamento interiore nei confronti di una conformazione fisica difettosa, ma solo
.se il paziente desidera farlo (motivazione)
e
.se si impegna attivamente a modificare i Suoi circuiti mentali (impegno).
Il Codice deontologico degli Psicologi chiarisce che essi
".. operano per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stesse e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace". Questo dunque è l'obiettivo dell* Psy: consapevolezza e comportamenti di chi a loro si affida.
E' evidente che ciò ha bisogno della partecipazione attiva, costante e continua del paziente,
verificabile peraltro insieme attraverso l'aderenza dello stesso alle consegne, mansioni, prescritte; siano esse relative all'interiorità che ai comportamenti.

E in questo c'è la risposta alla sua domanda:
"il paziente come può avere responsabilità di una terapia che non funziona?"
La psicoterapia non modifica miracolosamente chi non può o non vuole cambiare: modificare pensieri e comportamenti è responsabilità del paziente.
Per dirla con parole Sue: "..I terapeuti mi dicevano che non volevo cambiare, che volevo adagiarmi sui benefici secondari della mia condizione ecc...",
e questo non è un atteggiamento di difesa del terapeuta indispettito, bensì una precisa diagnosi tecnica che La riguarda.

Nel merito, ritengo talvolta eccessiva la pazienza del/la psicoterapeuta nel continuare a tener in carico un/a paziente che non si impegna neppure nell'aprirsi "completamente neppure con il/la terapeuta", come ci diceva Lei di sè in altro consulto.
Talvolta lo si fa per non abbandonarlo, ma i frutti intossicati sono questi.
Saggiamente il codice Deontologico afferma:
"La psicologa e lo psicologo valutano ed eventualmente propongono l’interruzione del rapporto professionale quando constatano che la paziente o il paziente non trae alcun beneficio dall’intervento psicologico e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento dello stesso." (art.27)
Ma, mi chiedo, come mai il paziente stesso non chiude il percorso dopo 7 inutili (a suo dire) anni, quando già molti anni fa ci scriveva che "..Ma dentro di me, sono fermamente convinto che non avrò mai una relazione con una donna perchè i problemi oggettivi che ho li ritengo insormontabili"?
Perchè non rammenta a se stesso (come ha detto a noi in altro consulto) che la psicoterapia lo ha salvato dal suicidio?

Nel consulto sopra linkato Le è stato risposto ampiamente, e da vari specialisti; vale la pena rileggerlo.
Anche perchè avremmo dovuto respingere il presente consulto, in ottemperanza alla Linee Guida del servizio che non prevedono di rispondere ripetutamente alla stessa tematica già risposta.

Saluti cordiali.
Dott. Brunialti

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/