Essere litigiosi significato
Sono ormai 30 anni che lavoro in un posto pubblico e pur comportandomi sempre bene ed onestamente mi vengo sempre a trovare in situazioni dove praticamente litigo con molti perché non sopporto le ingiustizie, le falsità e le mancanze di rispetto, i lecchini, con il risultato che poi mi trovo contro diversi colleghi compreso il superiore attuale.
Insomma mi vengo sempre a trovare in situazioni scomode.
Un collega che reputo un po’ più amico mi ha detto che il problema è il fatto che io dico la verità e purtroppo le verità so che sono scomode.
Ma non ho paura di loro perché io mi sento un leone, ma mi dispiace e ci soffro perché dedico parecchio tempo a parlare con tutti e cercare di mantenere buoni rapporti, ma il mio carattere non me lo permette.
Sicuramente non sono tollerante per niente, voglio dire sempre la mia, poi il superiore attuale non e’ per niente idoneo a dirigere, in un nano secondo perde il controllo, urla con il risultato che mette l’uno contro l’altro.
Poi comunque ci rimugino e ci soffro per queste incomprensioni ma il mio carattere è questo, sento che mi è molto difficile sorvolare dopo un sopruso, un ingiustizia o un urlo da parte del superiore o di un collega.
Nel sociale quasi mai discuto con qualcuno, mi capita solo al lavoro.
Cosa significa questo a livello psicologico, ha un nome?
e quale può essere la causa?
Perché non riesco anche io a farmi i fatti miei come gli altri e a mantenere i buoni rapporti con gli altri?
Cosa potrei fare per farmi benvolere?
Insomma mi vengo sempre a trovare in situazioni scomode.
Un collega che reputo un po’ più amico mi ha detto che il problema è il fatto che io dico la verità e purtroppo le verità so che sono scomode.
Ma non ho paura di loro perché io mi sento un leone, ma mi dispiace e ci soffro perché dedico parecchio tempo a parlare con tutti e cercare di mantenere buoni rapporti, ma il mio carattere non me lo permette.
Sicuramente non sono tollerante per niente, voglio dire sempre la mia, poi il superiore attuale non e’ per niente idoneo a dirigere, in un nano secondo perde il controllo, urla con il risultato che mette l’uno contro l’altro.
Poi comunque ci rimugino e ci soffro per queste incomprensioni ma il mio carattere è questo, sento che mi è molto difficile sorvolare dopo un sopruso, un ingiustizia o un urlo da parte del superiore o di un collega.
Nel sociale quasi mai discuto con qualcuno, mi capita solo al lavoro.
Cosa significa questo a livello psicologico, ha un nome?
e quale può essere la causa?
Perché non riesco anche io a farmi i fatti miei come gli altri e a mantenere i buoni rapporti con gli altri?
Cosa potrei fare per farmi benvolere?
[#1]
Gentile utente,
lei pone un quesito davvero interessante: qual è il possibile equilibrio tra il proprio senso etico e il proprio bisogno di serenità e buoni rapporti con gli altri.
Mi verrebbe da dirle sbrigativamente: segua un corso sull'assertività e risolverà il problema. Ma anche a vantaggio di tutti quelli che ci leggono e hanno problemi analoghi, cercherò di essere più chiara.
Comincio col dire che il non essere indifferenti alle ingiustizie e più in generale accorgersi delle cose fatte male è un merito, non un difetto.
Gli ignavi fanno il contrario, e Dio ci guardi da loro! Sono le "rane bollite" di cui parla Chomsky, i veri artefici delle storture del mondo, perché le tollerano e insegnano agli altri a tollerarle, incoraggiando i (pre)potenti a fare sempre peggio e a non correggersi mai.
Lei vede quello che è fatto male. Bene, non ha offuscato le sue facoltà di giudizio. Ma lo dice, anche.
E qui inizia l'opportunità di decidere: se è il momento di dirlo; se è il modo per dirlo; se è efficace dirlo; se dirlo non produrrà più danni che vantaggi. Inoltre, fondamentale: lei analizza sempre fino in fondo se il suo giudizio è giusto? E soprattutto: sceglie le parole in maniera da non offendere, o al contrario se ne serve come armi per ferire?
Prendiamo il suo esempio: "il superiore attuale non e’ per niente idoneo a dirigere, in un nano secondo perde il controllo, urla con il risultato che mette l’uno contro l’altro".
Valuti se in queste circostanze lei interviene in maniera opportuna, in maniera idonea, etc., oppure se non ci siano casi in cui si può fare poco o nulla nell'immediato, e l'unica manovra correttiva efficace sarebbe una manovra aggirante.
Lei sembra connettere, come fossero causa ed effetto, le ingiustizie percepite e il suo immediato rilevarle. Le sembra la modalità più efficace?
Scrive: "dedico parecchio tempo a parlare con tutti e cercare di mantenere buoni rapporti, ma il mio carattere non me lo permette".
Quello che lei chiama "carattere" in realtà è una serie di abitudini scelte e mantenute; non è la sua etica, ma il suo desiderio di manifestare subito la sua contrarietà. Atteggiamento improduttivo, anzi controproducente, che appaga il suo bisogno di sfogare la rabbia, ma non produce altro effetto che alienarle le simpatie, e in ultima analisi togliere efficacia al suo discorso.
La tecnica psicologica dell'assertività fa uscire da questi meccanismi e recuperare insieme il proprio diritto/dovere di esprimere quello che pensiamo, e il rispetto e la benevolenza degli altri.
Buone cose.
lei pone un quesito davvero interessante: qual è il possibile equilibrio tra il proprio senso etico e il proprio bisogno di serenità e buoni rapporti con gli altri.
Mi verrebbe da dirle sbrigativamente: segua un corso sull'assertività e risolverà il problema. Ma anche a vantaggio di tutti quelli che ci leggono e hanno problemi analoghi, cercherò di essere più chiara.
Comincio col dire che il non essere indifferenti alle ingiustizie e più in generale accorgersi delle cose fatte male è un merito, non un difetto.
Gli ignavi fanno il contrario, e Dio ci guardi da loro! Sono le "rane bollite" di cui parla Chomsky, i veri artefici delle storture del mondo, perché le tollerano e insegnano agli altri a tollerarle, incoraggiando i (pre)potenti a fare sempre peggio e a non correggersi mai.
Lei vede quello che è fatto male. Bene, non ha offuscato le sue facoltà di giudizio. Ma lo dice, anche.
E qui inizia l'opportunità di decidere: se è il momento di dirlo; se è il modo per dirlo; se è efficace dirlo; se dirlo non produrrà più danni che vantaggi. Inoltre, fondamentale: lei analizza sempre fino in fondo se il suo giudizio è giusto? E soprattutto: sceglie le parole in maniera da non offendere, o al contrario se ne serve come armi per ferire?
Prendiamo il suo esempio: "il superiore attuale non e’ per niente idoneo a dirigere, in un nano secondo perde il controllo, urla con il risultato che mette l’uno contro l’altro".
Valuti se in queste circostanze lei interviene in maniera opportuna, in maniera idonea, etc., oppure se non ci siano casi in cui si può fare poco o nulla nell'immediato, e l'unica manovra correttiva efficace sarebbe una manovra aggirante.
Lei sembra connettere, come fossero causa ed effetto, le ingiustizie percepite e il suo immediato rilevarle. Le sembra la modalità più efficace?
Scrive: "dedico parecchio tempo a parlare con tutti e cercare di mantenere buoni rapporti, ma il mio carattere non me lo permette".
Quello che lei chiama "carattere" in realtà è una serie di abitudini scelte e mantenute; non è la sua etica, ma il suo desiderio di manifestare subito la sua contrarietà. Atteggiamento improduttivo, anzi controproducente, che appaga il suo bisogno di sfogare la rabbia, ma non produce altro effetto che alienarle le simpatie, e in ultima analisi togliere efficacia al suo discorso.
La tecnica psicologica dell'assertività fa uscire da questi meccanismi e recuperare insieme il proprio diritto/dovere di esprimere quello che pensiamo, e il rispetto e la benevolenza degli altri.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Gentile utente,
Nel corso di questi ultimi anni, fra i numerosi consulti che ci ha inviati, ne trovo uno molto simile a questo, nel quale ben due anni fa Le veniva indicata una possibile via per modificare sia la situazione, sia quello che Lei chiama "carattere".
E' questo:
https://www.medicitalia.it/consulti/psicologia/895918-traumi-infantili.html .
Ha poi cercato l'aiuto psicologico consigliatole, e con quale esito?
In altro caso, coma mai non l'ha fatto considerato che nella situazione che si trascina da anni Lei non sta bene, e che -oltretutto- non è mai successo che Lei abbia ragione in questa sua litigiosità?
Lei stesso si è accorto dall'esperienza che ricevere qui saggi consigli non è in grado di modificare la Sua situazione.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Nel corso di questi ultimi anni, fra i numerosi consulti che ci ha inviati, ne trovo uno molto simile a questo, nel quale ben due anni fa Le veniva indicata una possibile via per modificare sia la situazione, sia quello che Lei chiama "carattere".
E' questo:
https://www.medicitalia.it/consulti/psicologia/895918-traumi-infantili.html .
Ha poi cercato l'aiuto psicologico consigliatole, e con quale esito?
In altro caso, coma mai non l'ha fatto considerato che nella situazione che si trascina da anni Lei non sta bene, e che -oltretutto- non è mai successo che Lei abbia ragione in questa sua litigiosità?
Lei stesso si è accorto dall'esperienza che ricevere qui saggi consigli non è in grado di modificare la Sua situazione.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 548 visite dal 20/07/2024.
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