Non capisco il mio malessere

Gentilissimi
Ho 40 anni, sono originaria di un piccolo paese del sud Italia, paese in cui ho conosciuto il mio fidanzato 20 anni fa.
10 anni fa, però, conclusa l’università e non trovando un lavoro soddisfacente, ho iniziato a stare male e ho deciso di trasferirmi in una grande città del nord.
Lì sono rinata.
Chiaramente col mio ragazzo ci sono stati dei problemi, più volte ci siamo allontanati e riavvicinati.
Ultimamente, però, stavo iniziando a pensare di tornare giù anche per essere vicina ai miei genitori.
Da qualche giorno sono tornata ma mi sembra già di essere caduta in depressione.
In questo paese non c’è nulla da fare, devo rinunciare alle mie passeggiate in centro e a tutte quelle cose che nella grande città mi facevano sentire viva, ho cominciato a dare un’occhiata col mio ragazzo ai nuovi mobili per arredare la sua nuova casa ma sono agitata anche in quel caso, la gente che incontriamo si esprime spesso in dialetto, fa mille domande personali, al nord era tutto diverso non so davvero cosa e come fare, se sbaglio e dove sbaglio. Ero convinta di provare a mettere su famiglia ma ho paura di non resistere qui eppure fino a qualche giorno fa ne ero convinta! Mi sono resa conto che vivere in città è la mia linfa vitale, in paese mi sento oppressa ma non voglio perdere lui
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.2k 193
Gentile utente,
lei scrive che dieci anni fa nella grande città del nord è rinata.
Decide di tornare nel paesino del sud e si sente cadere in depressione: non trova nulla da fare, le mancano le passeggiate al centro, non le piacciono il dialetto né i modi dei compaesani, cerca di arredare col suo ragazzo la casa di lui (?) e anche questo la colpisce negativamente.
Perché mai ci chiede: "non so davvero cosa e come fare, se sbaglio e dove sbaglio"? Si può sbagliare sulle proprie sensazioni di benessere o di angoscia?
Io direi proprio di no, sono anzi la bussola con la quale orientare le nostre scelte.
Alcuni amano appassionatamente il proprio piccolo paese, altri sono spinti verso più vasti e ignoti orizzonti. Ad alcuni piace essere circondati da persone che li riconoscono ad ogni passo, altri hanno un irresistibile bisogno dell'anonimato. Ad alcuni piace ritrovare facce, luoghi, costumi noti, altri hanno bisogno di incontrare il nuovo e il diverso.
Il vero problema non è in questa sua propensione più che legittima, ma nel fatto che lei creda ancora viva e vitale una relazione cominciata a vent'anni, essendone trascorsi altri venti.
Ogni cosa ha il suo posto nel ciclo di vita: l'esperienza coniugale non comincia a quarant'anni, quando ai due è mancato, all'età giusta, il "volo nuziale". Se il suo uomo e lei stessa aveste sentito irresistibile l'amore e la volontà di avere figli, li avreste fatti a venticinque anni, al massimo a trenta. Forse allora vi è mancato quello slancio che non torna più.
Lei conclude: "Mi sono resa conto che vivere in città è la mia linfa vitale, in paese mi sento oppressa ma non voglio perdere lui".
Ma forse la contraddizione apparentemente insolubile è già risolta, perché voi vi siete già persi molti anni fa.
Ci rifletta.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
Gentile dottoressa,
la ringrazio per la sua rapida e dettagliata risposta. In tanti hanno avanzato dei dubbi sulla mia relazione soprattutto in seguito alla mia partenza di dieci anni fa. All’epoca non avevamo pensato a nessun passo in avanti nella nostra storia perché, subito dopo la laurea, a 24 anni, ho iniziato a non accettare la realtà del mio paese, ero in uno stato depressivo, non volevo uscire di casa se non per vedere lui la sera finché non ho deciso di partire e trovare un lavoro e un ambiente che mi gratificasse. Non credo che, se il rapporto fosse stato diverso, sarei stata felice. Chiaramente molte volte mi sono posta domande, ci siamo anche allontanati ma poi siamo ritornati sui nostri passi.
Quello che ora non capisco sono queste mie reazioni dopo mesi in cui mi sentivo convinta di tornare perché al nord sto bene ma mi manca lui e i miei genitori e oltretutto sto tornando anche per aiutare loro alle prese con problemi di salute. Quindi, se anche il nostro non fosse un rapporto solidissimo, non sto affrontando questo cambiamento solo per lui e allora perché questo senso di oppressione ? Da tempo aspettavo giugno per tornare a casa, per stare di più con lui, per sostenere i miei e ora ho ripreso a passare le giornate sul letto senza far nulla?
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.2k 193
Gentile utente,
lei continua a voler sovrapporre una razionalità da robot alle sue reazioni emotive, le quali tra l'altro risalgono a ben sedici anni fa.
Già allora, scrive: "ho iniziato a non accettare la realtà del mio paese, ero in uno stato depressivo, non volevo uscire di casa se non per vedere lui la sera finché non ho deciso di partire e trovare un lavoro e un ambiente che mi gratificasse".
Vede che già a quel tempo l'ambiente di paese la opprimeva fino alla depressione, e lui non era sufficiente a guarirla, come non lo è adesso.
Lei scrive al proposito una frase ambigua che meriterebbe un'analisi attenta: "Non credo che, se il rapporto fosse stato diverso, sarei stata felice".
Come le ho già scritto, la scintilla che spinge due persone a lasciare tutto pur di aversi l'una per l'altra, a suo tempo non è scattata. Adesso vuole resuscitare qualcosa che nel frattempo si è andato mummificando?
Altra frase da vagliare è nella sua prima email: "ho cominciato a dare un’occhiata col mio ragazzo ai nuovi mobili per arredare la sua nuova casa".
La casa è quella di lui, ancora? Quando mai ne vorrete davvero una che sia vostra?
Se il vostro legame non ha avuto la forza propulsiva del fuoco amoroso a vent'anni, adesso come vuole alimentarlo?
Perché dieci anni fa lui non l'ha raggiunta a nord?
Inoltre, se i suoi anziani genitori hanno bisogno di supporto infermieristico, per quale tradizione tramontata ne hanno bisogno nel loro paese d'origine, e perché dovrebbe fornirglielo, non la Sanità o una badante, ma la figlia, rinunciando al proprio benessere? Anche loro non sarebbero meglio curati a nord, se vuole averli vicini?
Ma soprattutto, questi dovrebbero essere gli argomenti idonei a suscitare il suo entusiasmo e a renderla felice di tornare in quella che non ha mai sentito come la sua vera destinazione?
La invito a riflettere, servendosi anche e soprattutto della sua intelligenza emotiva.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
Buongiorno dottoressa, la ringrazio e farò tesoro dei suoi suggerimenti.
Per la casa: sì, è sua perché di sua nonna, ma l’intenzione è di viverci insieme.
In questa frase  Non credo che, se il rapporto fosse stato diverso, sarei stata felice  intendevo che, se anche il nostro rapporto fosse stato idilliaco come i primi tempi non credo sarebbe stato sufficiente a non farmi deprimere. Qui non c’è veramente nulla da fare, non ci sono più amici, non ci sono distrazioni e lui sì mi dà carica ma alla sera dopo le 21 quando finisce di lavorare (ha un’azienda di famiglia, motivo per cui non può seguirmi purtroppo).
Per i miei genitori: non hanno fortunatamente bisogno di aiuti così importanti per ora e non c’è modo di spostarli da qui, ahimè dalle loro abitudini e dai loro amici.
Sono tutte possibilità che ho vagliato e continuo a vagliare ogni giorno e ogni notte.
Grazie ancora, buona serata
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.2k 193
Prego, gentile utente.
Purtroppo l'esperienza mi dice che non la sto davvero aiutando, perché lei sembra essere una di quelle persone che si creano trappole da sole e che oppongono ogni possibile lacciolo all'ipotesi di uscirne.
Qualche esempio:
- Rapporto non idilliaco, ma lei continua a considerare lui l'unico uomo al mondo, anche se forse lei stessa non ha vocazione al matrimonio e men che meno alla maternità. Come poi un uomo da solo possa "darle carica", e quanto durerà questa capacità, lascio a lei immaginare.
- L'azienda di famiglia impedisce di trasferirsi. Nemmeno se fosse l'unico proprietario. Le aziende si vendono, si affittano, si affidano a dipendenti. Se li immagina i membri della famiglia Agnelli costretti saldamente a Torino?
- I suoi genitori non hanno bisogno di aiuto (lo credo, avranno dieci o quindici anni meno di me). E allora perché lei vuole intristirli con l'immagine di una figlia che passa tutto il tempo buttata sul letto? Oltretutto, non ha un lavoro? Nemmeno nell'azienda del fidanzato trova qualcosa da fare?
- Sempre i suoi genitori, non vogliono lasciare il paesino. E lo credo: al contrario di lei hanno abitudini comode e amici.
A questo punto la vera domanda è: sta attraversando un periodo di incertezza, di decisioni necessarie, di prese di coscienza non più rimandabili, in quel momento essenziale del ciclo di vita che sono i quarant'anni?
Ha già riflettuto assieme ad un professionista? Potrebbe anche essere che lei sia depressa a prescindere.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com