Consiglio per gestire disagio nella relazione con un parente ormai estraneo
Salve,
chiedo consiglio per una situazione che trovo gravosa.
Sono cresciuta in una famiglia allargata, dove si aveva piacere di occuparsi gli uni degli altri e passare il tempo insieme.
Mio marito proviene da un contesto completamente diverso, ma con lo stesso principio familiare di base.
Negli ultimi 15 anni tutti i parenti sono morti, compresi i miei genitori, ed è rimasto solo il fratello di mia madre, 74 anni fra un mese.
Nato subito dopo la morte per incidente del fratellino maggiore, mia nonna gli ha riversato addosso una forma d’amore possessiva e controllante che ha reso il loro rapporto difficilissimo, e la sua maturazione sentimentale mai completamente risolta.
Non ha costruito una propria famiglia (solo una relazione di 30 anni con una donna sposata), e ha sublimato ciò che gli mancava attraverso di noi, alle proprie, rigidissime condizioni: pranzi e cene da noi, bucato da mia nonna, ma nessuno può entrare in casa sua se non serve a lui qualcosa.
Va bene aiutarti a studiare, ma non mi interessa la tua crisi quando i tuoi vogliono divorziare.
Non vado a prendere vostro figlio a scuola perché ho da fare le mie cose.
Noi abbiamo sempre cercato di essere presenti e non lasciarlo mai solo, proprio per il modello familiare con cui siamo entrambi cresciuti.
Vacanze e feste insieme, inviti a cena settimanali, visite mediche, etc.
Ma si sono ricreate le stesse dinamiche di sempre, anche con mio figlio preadolescente, che guarda da lontano per ricondurlo agli schemi freudiani che tanto ama.
In autunno, offeso perché lo contraddicevamo troppo, ha smesso di parlarci per quasi due mesi, pur continuando ad accettare gli inviti.
Quando gli è stato fatto notare, non si è assunto nessuna responsabilità, e ha usato argomentazioni stile "tiro la palla in tribuna".
Gli esami medici non danno segni di deterioramento cognitivo, quindi sappiamo che è lucido.
Siamo anche consapevoli che l’età non l’aiuta e che ci vuole un certo grado di indulgenza.
Ma essere stati trattati in quel modo, vedere come l’indifferenza verso tutti sia ormai a livelli esasperati, aver paura di parlare perché non sai se rischi di provocare un’altra chiusura, stanno nuocendo seriamente alla mia salute mentale (e alla pazienza di mio marito).
Non posso negare che c’è un sottofondo di rabbia costante nel mio inconscio riguardo il fatto che lui è vivo e non fa che rimpiangere il tempo passato, mentre io penso a come sarebbero stati felici i miei genitori (morti a 60 anni) di vedere il tempo passare o sentirsi ignorati dal nipote che mia madre non ha nemmeno conosciuto.
Non saremmo mai in grado abbandonarlo a se stesso, anche se dopo la sceneggiata autunnale abbiamo messo dei paletti altissimi a delimitare i confini reciproci.
Ma così, ormai, è come avere un estraneo che ti gira intorno in casa e il mio disagio sta aumentando sempre di più.
Potete darmi un punto di vista diverso con il quale affrontare questa situazione?
Vi ringrazio anticipatamente
chiedo consiglio per una situazione che trovo gravosa.
Sono cresciuta in una famiglia allargata, dove si aveva piacere di occuparsi gli uni degli altri e passare il tempo insieme.
Mio marito proviene da un contesto completamente diverso, ma con lo stesso principio familiare di base.
Negli ultimi 15 anni tutti i parenti sono morti, compresi i miei genitori, ed è rimasto solo il fratello di mia madre, 74 anni fra un mese.
Nato subito dopo la morte per incidente del fratellino maggiore, mia nonna gli ha riversato addosso una forma d’amore possessiva e controllante che ha reso il loro rapporto difficilissimo, e la sua maturazione sentimentale mai completamente risolta.
Non ha costruito una propria famiglia (solo una relazione di 30 anni con una donna sposata), e ha sublimato ciò che gli mancava attraverso di noi, alle proprie, rigidissime condizioni: pranzi e cene da noi, bucato da mia nonna, ma nessuno può entrare in casa sua se non serve a lui qualcosa.
Va bene aiutarti a studiare, ma non mi interessa la tua crisi quando i tuoi vogliono divorziare.
Non vado a prendere vostro figlio a scuola perché ho da fare le mie cose.
Noi abbiamo sempre cercato di essere presenti e non lasciarlo mai solo, proprio per il modello familiare con cui siamo entrambi cresciuti.
Vacanze e feste insieme, inviti a cena settimanali, visite mediche, etc.
Ma si sono ricreate le stesse dinamiche di sempre, anche con mio figlio preadolescente, che guarda da lontano per ricondurlo agli schemi freudiani che tanto ama.
In autunno, offeso perché lo contraddicevamo troppo, ha smesso di parlarci per quasi due mesi, pur continuando ad accettare gli inviti.
Quando gli è stato fatto notare, non si è assunto nessuna responsabilità, e ha usato argomentazioni stile "tiro la palla in tribuna".
Gli esami medici non danno segni di deterioramento cognitivo, quindi sappiamo che è lucido.
Siamo anche consapevoli che l’età non l’aiuta e che ci vuole un certo grado di indulgenza.
Ma essere stati trattati in quel modo, vedere come l’indifferenza verso tutti sia ormai a livelli esasperati, aver paura di parlare perché non sai se rischi di provocare un’altra chiusura, stanno nuocendo seriamente alla mia salute mentale (e alla pazienza di mio marito).
Non posso negare che c’è un sottofondo di rabbia costante nel mio inconscio riguardo il fatto che lui è vivo e non fa che rimpiangere il tempo passato, mentre io penso a come sarebbero stati felici i miei genitori (morti a 60 anni) di vedere il tempo passare o sentirsi ignorati dal nipote che mia madre non ha nemmeno conosciuto.
Non saremmo mai in grado abbandonarlo a se stesso, anche se dopo la sceneggiata autunnale abbiamo messo dei paletti altissimi a delimitare i confini reciproci.
Ma così, ormai, è come avere un estraneo che ti gira intorno in casa e il mio disagio sta aumentando sempre di più.
Potete darmi un punto di vista diverso con il quale affrontare questa situazione?
Vi ringrazio anticipatamente
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In molte famiglie c'è qualche "parente dificile", spesso per gli stessi genitori. Tenga presente che la famiglia è un "sistema" relativamente chiuso che tende a mantenere il proprio equilibrio, anche se disfunzionale e per cambiarlo è necessario in genere un intervento esterno. Lo psicologo è uno dei fattori esterni in grado di cambiare un equilibrio disfunzionale.
Difficile proporle un cambio di prospettiva adeguato senza un'analisi più approfondita dei bisogni e della personalità delle persone in relazione, ma questo scopo può essere raggiunto con pochi colloqui di una psicoterapia strategico-gestaltica.
Difficile proporle un cambio di prospettiva adeguato senza un'analisi più approfondita dei bisogni e della personalità delle persone in relazione, ma questo scopo può essere raggiunto con pochi colloqui di una psicoterapia strategico-gestaltica.
Valentina Sciubba Psicologa
www.valentinasciubba.it Terapia on line
Terapia Breve Strategica e della Gestalt
Disturbi psicologici e mente-corpo
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 375 visite dal 30/05/2024.
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