Disturbo evitante di personalitá?

Buonasera a tutti, scusate per il lungo post, vi scrivo per chiedervi dei consigli.

Sono una ragazza di 21 anni, é da quasi 8 mesi che mi sono isolata, inizialmente non capivo il motivo pensavo fosse semplicemente un periodo di troppo stress.
Il problema é che più passava il tempo più non riuscivo a rispondere ne al telefono ne su whatsapp a nessuno, nemmeno ai miei migliori amici.
Mi sono tolta dai social ho completamente eliminato le relazioni sociali tutto ad un tratto (letteralmente da un giorno all’altro).
É da mesi che non esco e che non vado più su whatsapp perché ho PAURA di quello che potrebbero avermi scritto le persone, e se da un lato vorrei fortemente rispondere e riprendere i rapporti, dall’altra ho troppa paura di un rifiuto a causa del mio allontanamento per così tanto tempo.
Fatto sta che in me si è creato un circolo vizioso da cui non riesco a uscirne, é come se fossi bloccata: voglio uscire/divertirmi>ho paura di un rifiuto>non rispondo così non possono non rispondermi.

Mesi fa, credo di essermi isolata per la forte oppressione sociale (in quel periodo 1) vedevo raramente i miei migliori amici perché a causa di università o lavoro non riuscivamo mai a trovarci, 2) mi sentivo esclusa da altre mie amiche, 3) non riuscivo a instaurare rapporti veri, 4) l’imbarazzo in qualsiasi ambito mi stava uccidendo dentro.
) e probabilmente visto che per me le amicizie sono sempre stata la cosa più importante, trovarmi sola mi ha causato una sofferenza tale da costruire una barriera.
Nella mia vita, ho sempre avuto come punto di riferimento solo le amicizie perché non sono mai riuscita ad avere una relazione a causa del mio eccessivo imbarazzo che mi porta a bloccarmi e con la mia famiglia idem, non riesco ad aprirmi.
Fin da piccola, mi sono sempre sentita in imbarazzo anche con loro, soprattutto quando dovevo/devo parlare di cose mie intime/personali (Per questo motivo la ridotta vita sociale mi ha distrutto e di conseguenza è succcesso tutto).

Questa situazione ad oggi è diventata per me invalidante, mi sento depressa, stanca, costantemente in ansia (a volte ipocondriaca), ho attacchi di rabbia e continuo a rimurginare trovando una soluzione ma senza mai agire per paura di espormi.
Vorrei uscire da questa situazione ma non ci riesco.
Tra poco sarà il mio compleanno e essendo bloccata, non riuscirò nemmeno a vedere chi mi farà gli auguri e rispondere.

Detto questo.
secondo voi ho a che fare col disturbo evitante di personalità?
Dite che sarebbe il caso di provare a parlarne con uno psichiatra?
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
non è opportuno farsi delle auto-diagnosi, quasi sempre sbagliate. Lei addirittura procede facendosi la prescrizione: visita psichiatrica.
Posso chiederle da cosa nasce la scelta di questo specialista? Forse ha troppa paura per affrontare uno specialista psicologo, perché pensa che in quella sede sarebbe costretta ad aprirsi verbalmente?
Se si tratta di questo, le segnalo che nella terapia Bioenergetica, nella Funzionale-corporea e nella Senso-motoria il disagio viene espresso e curato soprattutto attraverso il corpo.
Inoltre anche nelle terapie basate sulla parola il curante è in grado di sopperire ai suoi silenzi e di aggirarne l'ostacolo.
Scelga subito qualcuno da cui farsi seguire.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#2]
Utente
Utente
Buonasera,
grazie mille per la riposta.
Allora diciamo che questa auto-diagnosi non l’ho pensata totalmente caso, mi spiego meglio: qualche mese fa ho chiesto aiuto ad un psicologa, più che altro perché mi sentivo completamente spenta, non avevo più nemmeno voglia di uscire. Decisi quindi di rivolgermi ad una psicologa NON psicoterapeuta (inizialmente non conoscevo le differenze, ne mi sono informata bene) che mi diagnosticò la depressione. Le spiegai che quella era la conseguenza del mio forte malessere: l’imbarazzo, l’ansia, la solitudine e la difficoltá con le relazioni sociali. Lei diciamo che non mi ha mai detto hai un disturbo evitante di personalitá , mi ha solo detto che sicuramente ho dei tratti evitanti ma che l’importante é risolvere senza dare per forza un nome al mio malessere e inizialmente oltre a suggerirmi di cercare di sbloccarmi rispondendo agli altri e di non Isolarmi, mi suggerì di parlarne anche con uno psichiatra per prendere dei farmaci che mi alzassero l’umore e che mi rendessero piú disinibita . Comunque da lei continuai ad andare e ci sto andando tutt’ora, mi trovo bene però diciamo che più che curante la considero un’amica con qui fare delle piacevoli chiacchierate: quando sono con lei sto bene perché per un attimo stacco dalla giornata noiosa e sempre uguale, rido socializzo, parlo (con molta fatica di me) però parlo. Il problema è che quando torno a casa la settimana é lunga, sono sola e ricomincia sempre la stessa storia con gli stessi pensieri e gli stessi problemi, non riesco a sbloccarmi; per questo dico che la considero semplicemente una chiacchierata e non una vera e propria terapia anche se so che lei ci sta provando in tutti i modi ad aiutarmi (però non so, io alla fine con lei non sono mai riuscita ad aprirmi completamente proprio per questo in seduta non sono mai riuscita a provare forti emozioni).
Fatto sta che ora, dopo mesi, posso dirmi di sentirmi meno depressa, ma sul lato dell’imbarazzo/timidezza, dell’isolamento e della paura del giudizio sono ancora punto a capo: non ho risolto proprio nulla e i sintomi depressivi stanno ritornando.
Ovviamente ho pensato di cambiare psicologo per provare a fare psicoterapia però ho tanta vergogna a dirglielo perché
- 1) provo tanto imbarazzo
- 2) come ho scritto sopra, sta cercando in tutti i modi (senza psicoterapia) di aiutarmi e quindi non so, mi dispiacerebbe un po’ stoppare così
- 3)come avrete capito, la mia timidezza mi limita molto, quindi farei fatica a contattare un’altra persona.
Sono già un po’ di volte che sto rimandando perché non riesco ad avere il coraggio di dirle che non andrò più e per quanto possa trovarmi bene, sto aggiungendo un altro problema ai miei problemi.
Ad ogni modo, per questo avevo pensato direttamente ad una visita psichiatrica in modo tale che mi desse una diagnosi un po’ più precisa indicandomi il percorso giusto da fare tramite psicologi farmaci ecc inoltre, OVVIAMENTE non voglio arrivare a conclusioni affrettate, ma leggendo i sintomi di questo disturbo, sinceramente mi ci rivedo tantissimo e per un attimo mi sono sentiva sollevata perché non pensavo che le emozioni provate in tutti questi anni avessero un nome.
Pareri? Grazie per l’attenzione.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
come sempre, leggendo in rete si acquisiscono da fonti imprecise e spesso volutamente fuorvianti delle informazioni sbagliate.
Inoltre la natura stessa del suo disturbo la porta a sminuire chi si cura di lei e a non affidarsi, infatti scrive: "più che curante la considero un’amica con qui fare delle piacevoli chiacchierate"; "la considero semplicemente una chiacchierata e non una vera e propria terapia anche se so che lei ci sta provando in tutti i modi ad aiutarmi"; "avevo pensato direttamente ad una visita psichiatrica in modo tale che mi desse una diagnosi un po’ più precisa indicandomi il percorso giusto da fare tramite psicologi farmaci ecc".
Insomma lei si è creata tutta una sua visione che sminuisce il percorso che sta seguendo, pur avendo riscontrato che in effetti la depressione cominciava a recedere e che la sua curante "sta provando in tutti i modi ad aiutarmi".
Quello che lei continua a non vedere è che la sua curante sta provando con la competenza del professionista psicologo (se ha verificato sull'Albo che è regolarmente iscritta), e non della semplice amica o della brava persona incontrata per strada.
A norma dell'articolo 1 della legge che regolamenta la nostra professione, la legge Ossicini n. 56 dell'89, (copio/incollo): "La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito".
Non si tratta dunque di una chiacchierata, ma di una terapia ("attività di abilitazione-riabilitazione"), e si fonda su diagnosi che appunto lo psicologo è abilitato a formulare.
Le sua interpretazione distorta rende vana la terapia. Lei rischia di saltare da uno psicologo ad uno psichiatra, poi forse ad uno psicoterapeuta cognitivista e dopo ad un altro psicologo di altro orientamento, e con ciò non si impegnerà mai seriamente con nessuno.
Dovrebbe invece portare queste email alla sua curante, senza tagli né aggiunte, e discuterle con lei.
Il disturbo psicologico ha proprio la caratteristica di opporre resistenze subdole a chi cerca di attuare un cambiamento. Cerchi di essere più forte della malattia, visto soprattutto che ha trovato una psicologa che ha già cominciato ad ottenere buoni risultati.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#4]
Utente
Utente
Buongiorno, capisco le sue parole e forse ha ragione, sto sminuendo il mio percorso, in parte.
Il fatto è che nonostante la terapia, sul vero problema che mi perseguita non sono ancora riuscita a risolvere nulla appunto perché si è creato un circolo vizioso da cui non riesco a sbloccarmi, purtroppo la paura o qualcos’altro supera la forza di volontà. La psicóloga mi dice che devo combattere contro me stessa, mi suggerisce di ricontattare i miei amici, di uscire ecc., di fare il salto . Sto provando e so che devo dare ascolto alla psicologa, ma come faccio a fare questo salto se la vergogna, l’ansia che ho dentro, mi tengono ferma fino a schiacciare la mia forza di volontà? Per questo ho pensato che una terapia cognitiva fosse più adatta al mio caso.
Poi non so, io vorrei solamente risolvere tutto, e probabilmente da fuori sembra che non voglia cambiare, anche se non è così. É solo che sto facendo tanta fatica ad abbattere tutti i pensieri negativi e schemi strani che ci sono fin da quando sono piccola. Ho paura ad agire forse per paura delle conseguenze e ciò mi rende sempre più triste e nervosa.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
tutto ci riporta a quanto le ho detto in #3. Lei adesso vorrebbe "una terapia cognitiva", ma probabilmente è quella che la sua psicologa sta già attuando per la parte che riguarda le azioni, infatti le prescrive "di ricontattare i miei amici, di uscire ecc.".
Lei ha fatto il primo passo in questa direzione? Se non lo fa, non si sta affidando alla sua psicologa.
Per la parte cognitiva "sto facendo tanta fatica ad abbattere tutti i pensieri negativi" dice.
Ma li state affrontando mettendoli in discussione via via che si presentano? Lo stesso vale per gli "schemi strani che ci sono fin da quando sono piccola".
Questi schemi vanno identificati e spezzati con l'esercizio pratico: cominciare a contattare uno o due amici le permetterà di verificare che la mancata risposta, e perfino la risposta negativa o sgarbata non determinano niente che sia peggiore dell'attuale isolamento.
Cominciare ad agire la farà uscire dalla visione irrazionale e catastrofica che lei associa all'eventuale esito negativo dei suoi tentativi di contatto.
Tra l'altro, anche l'esattezza terminologica determina l'uscita dal disturbo mentale e l'incontro con la realtà. Scrivere "fin da quando sono piccola" va oltre l'errore sintattico: lei non è più piccola, ne prenda atto e usi il tempo verbale corretto.
Forse obietterà che qualche personaggio televisivo si diletta di questi vezzi dell'errore linguistico e li diffonde, perché straniero, perché non ha mai letto un libro in vita sua e meno ancora studiato la grammatica; ma in terapia anche usare le parole e le espressioni giuste fa la differenza: altrimenti dovremmo prendere per buone dichiarazioni come: "Non posso vivere senza di lui" o "se mi lascia la uccido" e così via.
Nel suo caso la frase "Ho paura ad agire forse per paura delle conseguenze" va analizzata nel suo significato letterale e metaforico, cosa che lei avrà certo fatto con la sua curante, e ricondotta alla realtà dei fatti.
Lei ha scritto anche: "La psicóloga mi dice che devo combattere contro me stessa".
Quasi certamente la psicologa non ha usato questa espressione: non incoraggiamo i pazienti al masochismo, ma piuttosto ad innalzare la loro soglia di tolleranza alle frustrazioni. Al momento lei si spaventa di un disagio pressoché inconsistente: si abitui a tollerarlo facendo il primo passo. E' un allenamento come quello che si fa per sviluppare la muscolatura.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com