Desiderio erotico verso la mia ex-moglie
Salve,
sono separato dalla mia ex-moglie da circa cinque anni.
Abbiamo un bambino e dopo il conflitto della separazione abbiamo recuperato un rapporto molto sereno sia nella gestione del figlio sia nella relazione tra noi.
Il mio problema è che continuo ad avere un desiderio erotico quotidiano e ingombrante rivolto verso di lei.
Abbiamo sempre avuto una eccellente intesa sessuale e la separazione è dipesa da tutt'altre ragioni.
In questi anni ho avuto una relazione significativa e diverse piccole storielle ma ho sempre continuato ad avere pensieri e fantasie più forti di quelli che avevo con le donne con cui ho avuto questi rapporti.
Al contempo durante questi anni ho sempre manifestato esplicitamente questi desideri alla mia ex-moglie e le ho chiesto di provare a recuperare questo aspetto della nostra relazione (pur senza pensare di tornare insieme).
Lei risponde a queste mie iniziative sempre con compiacimento ma pone dei limiti fisici, sebbene abbondino coccole e baci, pensa che sarebbe un errore tornare a far vivere in modo pieno la nostra vita sessuale. In alcune occasioni però questi momenti di contatto fisico arriviamo al rapporto sessuale (diciamo una o due volte l'anno) sempre molto bello per entrambi.
Questa situazione generale mi mette in una condizione di disagio perché alimenta il mio desiderio ma anche la mia frustrazione.
Pur parlandone non abbiamo trovato un punto di incontro.
Le ho quindi detto che forse sarebbe il caso di iniziare un percorso terapeutico di coppia finalizzato a risolvere questa problematica.
Lei che è già in terapia mi dice che sarebbe il caso che lo facessi prima io individualmente.
In realtà l'ho fatto in passato per un breve periodo, quando quei desideri mi creavano problemi durante la relazione più importante che ho citato sopra.
Vi chiedo se riteniate debba insistere un po' con la mia ex moglie (che non è attualmente impegnata in una relazione) nella direzione di una terapia di coppia o in questo scenario possa essere utile una terapia individuale, cosa di cui sinceramente dubito.
Grazie
sono separato dalla mia ex-moglie da circa cinque anni.
Abbiamo un bambino e dopo il conflitto della separazione abbiamo recuperato un rapporto molto sereno sia nella gestione del figlio sia nella relazione tra noi.
Il mio problema è che continuo ad avere un desiderio erotico quotidiano e ingombrante rivolto verso di lei.
Abbiamo sempre avuto una eccellente intesa sessuale e la separazione è dipesa da tutt'altre ragioni.
In questi anni ho avuto una relazione significativa e diverse piccole storielle ma ho sempre continuato ad avere pensieri e fantasie più forti di quelli che avevo con le donne con cui ho avuto questi rapporti.
Al contempo durante questi anni ho sempre manifestato esplicitamente questi desideri alla mia ex-moglie e le ho chiesto di provare a recuperare questo aspetto della nostra relazione (pur senza pensare di tornare insieme).
Lei risponde a queste mie iniziative sempre con compiacimento ma pone dei limiti fisici, sebbene abbondino coccole e baci, pensa che sarebbe un errore tornare a far vivere in modo pieno la nostra vita sessuale. In alcune occasioni però questi momenti di contatto fisico arriviamo al rapporto sessuale (diciamo una o due volte l'anno) sempre molto bello per entrambi.
Questa situazione generale mi mette in una condizione di disagio perché alimenta il mio desiderio ma anche la mia frustrazione.
Pur parlandone non abbiamo trovato un punto di incontro.
Le ho quindi detto che forse sarebbe il caso di iniziare un percorso terapeutico di coppia finalizzato a risolvere questa problematica.
Lei che è già in terapia mi dice che sarebbe il caso che lo facessi prima io individualmente.
In realtà l'ho fatto in passato per un breve periodo, quando quei desideri mi creavano problemi durante la relazione più importante che ho citato sopra.
Vi chiedo se riteniate debba insistere un po' con la mia ex moglie (che non è attualmente impegnata in una relazione) nella direzione di una terapia di coppia o in questo scenario possa essere utile una terapia individuale, cosa di cui sinceramente dubito.
Grazie
[#1]
Gentile utente,
lei scrive di una condizione di attrazione forse reciproca, dal momento che ogni tanto avete rapporti completi, e parla di un rapporto molto sereno anche nella gestione del figlio.
La non conflittualità e l'accordo sono componenti fondamentali di qualunque relazione, e l'attrazione sessuale è il fulcro del legame di coppia. Risulta quindi difficile capire davvero il problema, dal momento che lei scrive: "le ho chiesto di provare a recuperare questo aspetto della nostra relazione (pur senza pensare di tornare insieme)".
A questa sua volontà di non tornare insieme si aggiunge la richiesta della ex moglie che Lei vada in terapia individuale, cosa che ha fatto in maniera breve e insufficiente. C'è quindi in Lei qualcosa che preclude la vita coniugale?
Possiamo ipotizzare di cosa si tratti, in base al suo precedente consulto.
Se le abitudini sessuali sue e della sua ex moglie permangono quelle descritte otto anni fa, non si spiega cosa Lei si aspetti da una terapia di coppia.
Sarebbe utile capire cosa si è spezzato nel vostro accordo, per cui vi siete separati, e cosa la sua ex si attenda da una terapia individuale di Lei che ci scrive.
Se crede, ci faccia capire meglio.
Buone cose.
lei scrive di una condizione di attrazione forse reciproca, dal momento che ogni tanto avete rapporti completi, e parla di un rapporto molto sereno anche nella gestione del figlio.
La non conflittualità e l'accordo sono componenti fondamentali di qualunque relazione, e l'attrazione sessuale è il fulcro del legame di coppia. Risulta quindi difficile capire davvero il problema, dal momento che lei scrive: "le ho chiesto di provare a recuperare questo aspetto della nostra relazione (pur senza pensare di tornare insieme)".
A questa sua volontà di non tornare insieme si aggiunge la richiesta della ex moglie che Lei vada in terapia individuale, cosa che ha fatto in maniera breve e insufficiente. C'è quindi in Lei qualcosa che preclude la vita coniugale?
Possiamo ipotizzare di cosa si tratti, in base al suo precedente consulto.
Se le abitudini sessuali sue e della sua ex moglie permangono quelle descritte otto anni fa, non si spiega cosa Lei si aspetti da una terapia di coppia.
Sarebbe utile capire cosa si è spezzato nel vostro accordo, per cui vi siete separati, e cosa la sua ex si attenda da una terapia individuale di Lei che ci scrive.
Se crede, ci faccia capire meglio.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Utente
Grazie dottoressa Potenza,
ho riletto il mio consulto di otto anni fa e capisco si possa tracciare una linea retta tra quello e questo attuale.
In realtà, le ragioni della separazione sono più complesse e solo in parte riconducibili a quel conflitto. Le modalità con cui abbiamo gestito in modo aperto (ma non così tanto) la nostra sfera sessuale sono state più una ricchezza che una ragione della separazione. Mi viene difficile spiegare in poche righe come quella mia delusione, per quanto grande, sia poi stata in qualche modo recuperata. In realtà le ragioni della separazione hanno a che vedere più con la sfera sociale.
Provo a dirla meglio, io e la mia ex-moglie stiamo bene insieme solo da soli (anche contemplando occasionali amanti) non con l'intorno sociale e le mie esigenze di apertura al mondo che lei non contempla. Per me questa situazione di chiusura da parte sua, era un limite. Lo era rispetto ad amicizie e lo è diventata di più con l'ingresso in famiglia del bimbo, per cui mia moglie è diventata ancora più chiusa al mondo (almeno secondo la mia sensibilità).
Dopodiché probabilmente io e lei abbiamo interpretato in modo diverso una separazione che ho voluto soprattutto io, forse non considerando la ricchezza della nostra sfera intima. Ma in qualche modo resto convinto che quella non sia sufficiente a giustificare una relazione di coppia convenzionalmente intesa. Penso però che io e lei possiamo immaginare altro.
Io voglio davvero bene alla mia ex, e sono certo che il sentimento sia reciproco.
Il nostro bambino (che ha 7 anni) è per entrambi il centro delle nostre attenzioni. E questo è per me (ma anche per lei) inamovibile.
Posso rinunciare a tutto per lui. Anche all'attrazione erotica estrema che continuo ad avere verso la mia ex. Però vorrei capire se è necessario farlo. Perché devo farlo io che sono (almeno apparentemente) il più attratto?
Non so se ho reso più chiara la situazione. E non ho dubbi di avere necessità di un consulto. Penso però che dovrei farlo insieme a lei poiché da solo, visto che dall'altra parte c'è un soggetto dinamico che alimenta questa mia condizione, non avrebbe molto senso. Lei cosa ne pensa?
Come ho detto i rapporti con mia moglie sono molto trasparenti, c'è solo una difficoltà di comunicazione e traduzione.
ho riletto il mio consulto di otto anni fa e capisco si possa tracciare una linea retta tra quello e questo attuale.
In realtà, le ragioni della separazione sono più complesse e solo in parte riconducibili a quel conflitto. Le modalità con cui abbiamo gestito in modo aperto (ma non così tanto) la nostra sfera sessuale sono state più una ricchezza che una ragione della separazione. Mi viene difficile spiegare in poche righe come quella mia delusione, per quanto grande, sia poi stata in qualche modo recuperata. In realtà le ragioni della separazione hanno a che vedere più con la sfera sociale.
Provo a dirla meglio, io e la mia ex-moglie stiamo bene insieme solo da soli (anche contemplando occasionali amanti) non con l'intorno sociale e le mie esigenze di apertura al mondo che lei non contempla. Per me questa situazione di chiusura da parte sua, era un limite. Lo era rispetto ad amicizie e lo è diventata di più con l'ingresso in famiglia del bimbo, per cui mia moglie è diventata ancora più chiusa al mondo (almeno secondo la mia sensibilità).
Dopodiché probabilmente io e lei abbiamo interpretato in modo diverso una separazione che ho voluto soprattutto io, forse non considerando la ricchezza della nostra sfera intima. Ma in qualche modo resto convinto che quella non sia sufficiente a giustificare una relazione di coppia convenzionalmente intesa. Penso però che io e lei possiamo immaginare altro.
Io voglio davvero bene alla mia ex, e sono certo che il sentimento sia reciproco.
Il nostro bambino (che ha 7 anni) è per entrambi il centro delle nostre attenzioni. E questo è per me (ma anche per lei) inamovibile.
Posso rinunciare a tutto per lui. Anche all'attrazione erotica estrema che continuo ad avere verso la mia ex. Però vorrei capire se è necessario farlo. Perché devo farlo io che sono (almeno apparentemente) il più attratto?
Non so se ho reso più chiara la situazione. E non ho dubbi di avere necessità di un consulto. Penso però che dovrei farlo insieme a lei poiché da solo, visto che dall'altra parte c'è un soggetto dinamico che alimenta questa mia condizione, non avrebbe molto senso. Lei cosa ne pensa?
Come ho detto i rapporti con mia moglie sono molto trasparenti, c'è solo una difficoltà di comunicazione e traduzione.
[#3]
Utente
Aggiungo per chiarire meglio.
Io e la mia ex-moglie abbiamo avuto un rapporto aperto in cui entrambi occasionalmente e in trasparenza reciproca avevamo rapporti sessuali extraconiugali. Anche questo aspetto fa parte del desiderio verso di lei che non si è mai esaurito.
Il "tradimento" di otto anni fa non era una delusione da infedeltà sessuale ma lo era in termini di responsabilità.
Sono consapevole che si tratti di due aspetti non banali proprio per questo immagino che abbia più senso affrontarli terapeuticamente insieme.
Il mio non volere tornare insieme va inteso rispetto alla convivenza. Di fatto, aldilà della genitorialità, abbiamo già oggi una reciproca e quotidiana cura l'uno dell'altra.
Io e la mia ex-moglie abbiamo avuto un rapporto aperto in cui entrambi occasionalmente e in trasparenza reciproca avevamo rapporti sessuali extraconiugali. Anche questo aspetto fa parte del desiderio verso di lei che non si è mai esaurito.
Il "tradimento" di otto anni fa non era una delusione da infedeltà sessuale ma lo era in termini di responsabilità.
Sono consapevole che si tratti di due aspetti non banali proprio per questo immagino che abbia più senso affrontarli terapeuticamente insieme.
Il mio non volere tornare insieme va inteso rispetto alla convivenza. Di fatto, aldilà della genitorialità, abbiamo già oggi una reciproca e quotidiana cura l'uno dell'altra.
[#4]
Gentile utente,
la sua seconda email confonde anziché chiarire.
La sua situazione è anomala, penso lo comprenda anche lei, e quasi sempre le anomalie sono plurime, non limitate solo ad una sfera del pensare, del sentire, dell'agire.
Cercando di riassumere il suo caso, viene fuori quanto segue. Scriva ove necessario correzioni e aggiunte.
Lei e una certa donna iniziate anni fa una relazione che contempla non tanto la libertà, quanto piuttosto l'obbligo di rapporti sessuali anche con altri, rapporti dei quali lei che ci scrive impone le regole: rigoroso uso del condom, non più di un incontro con la stessa persona, racconto dettagliato tra voi due dell'esperienza vissuta con questi altri.
Ulteriori regole non le conosciamo, né sappiamo nulla della sua donna, nemmeno l'età, la professione, le preferenze.
Otto anni fa -non sappiamo se già sposati- decidete di avere un bambino e intanto continuare i rapporti plurimi, con incontri sempre singoli e usando sempre il condom.
A questo punto la signora contravviene: incontra sessualmente più volte la stessa persona e non fa uso del condom, inoltre forse non le dice subito queste novità, mentre nello stesso periodo rimane incinta.
Lei riversa la ferita del patto tradito -o del controllo interrotto- sul legittimo timore di non essere il padre del concepito.
A questo punto ipotizzo, in assenza di dati: lei appura con un test di essere il padre, o senza test accetta per suo il figlio di un altro, o infine appura che non è suo ma decide di registrarlo come tale e di allevarlo, fingendo che lo sia.
In ogni caso, a distanza di otto anni ci parla di un matrimonio, di un figlio, ma anche di una separazione... voluta da lei stesso.
Il motivo lo espone così: "io e la mia ex-moglie stiamo bene insieme solo da soli (anche contemplando occasionali amanti) non con l'intorno sociale e le mie esigenze di apertura al mondo che lei non contempla. Per me questa situazione di chiusura da parte sua, era un limite. Lo era rispetto ad amicizie e lo è diventata di più con l'ingresso in famiglia del bimbo, per cui mia moglie è diventata ancora più chiusa al mondo (almeno secondo la mia sensibilità)".
Parole molto oscure. Ci sta dicendo che sua moglie non voleva frequentare amici e parenti insieme a lei? O voleva che neanche lei li frequentasse? Aveva una forma di fobia sociale selettiva, a letto sì, a cena no? E lei in tutti gli anni trascorsi insieme aveva accettato, per poi rifiutare tutto questo solo dopo il matrimonio e la nascita di un figlio?
Sembra, per la verità, un motivo debole per una separazione, specie avvenuta quando vostro figlio aveva due anni e la vostra vita a tre era ancora in fase di assestamento. Eppure ancora adesso lei si dichiara contrario alla convivenza, malgrado l'intenso desiderio sessuale verso sua moglie, alimentato ancora dal polierotismo con racconto finale, o voyerismo verbale, o comunque si voglia chiamare l'esperienza che lei si procura per questa via.
La prima domanda a cui rispondere con chiarezza sarebbe dunque: in che senso la signora era ostile alle sue frequentazioni amichevoli? E come mai tale atteggiamento è apparso di colpo a lei che ci scrive così insopportabile da escludere la convivenza?
La seconda questione è più grave, e certamente non risolvibile online.
Lei ripete in vari modi lo stesso concetto: siccome desidera la sua ex moglie, vuole percorrere con lei una terapia di coppia. Dice che dovreste essere in due in quanto "da solo, visto che dall'altra parte c'è un soggetto dinamico che alimenta questa mia condizione [il suo intenso desiderio], non avrebbe molto senso".
Mi scusi, ma pensa che una terapia di coppia possa e debba costringere la persona desiderata ad acconsentire ai desideri dell'altra?
Non pensa che si possa invece curare il suo inopportuno attaccamento ad una donna con la quale non vuole vivere, che non la vuole più e che da quanto ne sappiamo forse non vuole più nemmeno i plurimi incontri sessuali, per lei che ci scrive alimento fondamentale del desiderio?
Questa donna tra l'altro le ha già indicato la strada maestra della terapia individuale, e il non volervi accedere sembra denunciare in lei una pericolosa mancanza di auto-osservazione e di consapevolezza.
Lei lavora, per vivere? Riesce a svolgere le normali attività, a frequentare persone anche in modo amichevole, a parlare con chi la pensa diversamente da lei e a rispettarne sentimenti e opinioni?
Restiamo in attesa.
la sua seconda email confonde anziché chiarire.
La sua situazione è anomala, penso lo comprenda anche lei, e quasi sempre le anomalie sono plurime, non limitate solo ad una sfera del pensare, del sentire, dell'agire.
Cercando di riassumere il suo caso, viene fuori quanto segue. Scriva ove necessario correzioni e aggiunte.
Lei e una certa donna iniziate anni fa una relazione che contempla non tanto la libertà, quanto piuttosto l'obbligo di rapporti sessuali anche con altri, rapporti dei quali lei che ci scrive impone le regole: rigoroso uso del condom, non più di un incontro con la stessa persona, racconto dettagliato tra voi due dell'esperienza vissuta con questi altri.
Ulteriori regole non le conosciamo, né sappiamo nulla della sua donna, nemmeno l'età, la professione, le preferenze.
Otto anni fa -non sappiamo se già sposati- decidete di avere un bambino e intanto continuare i rapporti plurimi, con incontri sempre singoli e usando sempre il condom.
A questo punto la signora contravviene: incontra sessualmente più volte la stessa persona e non fa uso del condom, inoltre forse non le dice subito queste novità, mentre nello stesso periodo rimane incinta.
Lei riversa la ferita del patto tradito -o del controllo interrotto- sul legittimo timore di non essere il padre del concepito.
A questo punto ipotizzo, in assenza di dati: lei appura con un test di essere il padre, o senza test accetta per suo il figlio di un altro, o infine appura che non è suo ma decide di registrarlo come tale e di allevarlo, fingendo che lo sia.
In ogni caso, a distanza di otto anni ci parla di un matrimonio, di un figlio, ma anche di una separazione... voluta da lei stesso.
Il motivo lo espone così: "io e la mia ex-moglie stiamo bene insieme solo da soli (anche contemplando occasionali amanti) non con l'intorno sociale e le mie esigenze di apertura al mondo che lei non contempla. Per me questa situazione di chiusura da parte sua, era un limite. Lo era rispetto ad amicizie e lo è diventata di più con l'ingresso in famiglia del bimbo, per cui mia moglie è diventata ancora più chiusa al mondo (almeno secondo la mia sensibilità)".
Parole molto oscure. Ci sta dicendo che sua moglie non voleva frequentare amici e parenti insieme a lei? O voleva che neanche lei li frequentasse? Aveva una forma di fobia sociale selettiva, a letto sì, a cena no? E lei in tutti gli anni trascorsi insieme aveva accettato, per poi rifiutare tutto questo solo dopo il matrimonio e la nascita di un figlio?
Sembra, per la verità, un motivo debole per una separazione, specie avvenuta quando vostro figlio aveva due anni e la vostra vita a tre era ancora in fase di assestamento. Eppure ancora adesso lei si dichiara contrario alla convivenza, malgrado l'intenso desiderio sessuale verso sua moglie, alimentato ancora dal polierotismo con racconto finale, o voyerismo verbale, o comunque si voglia chiamare l'esperienza che lei si procura per questa via.
La prima domanda a cui rispondere con chiarezza sarebbe dunque: in che senso la signora era ostile alle sue frequentazioni amichevoli? E come mai tale atteggiamento è apparso di colpo a lei che ci scrive così insopportabile da escludere la convivenza?
La seconda questione è più grave, e certamente non risolvibile online.
Lei ripete in vari modi lo stesso concetto: siccome desidera la sua ex moglie, vuole percorrere con lei una terapia di coppia. Dice che dovreste essere in due in quanto "da solo, visto che dall'altra parte c'è un soggetto dinamico che alimenta questa mia condizione [il suo intenso desiderio], non avrebbe molto senso".
Mi scusi, ma pensa che una terapia di coppia possa e debba costringere la persona desiderata ad acconsentire ai desideri dell'altra?
Non pensa che si possa invece curare il suo inopportuno attaccamento ad una donna con la quale non vuole vivere, che non la vuole più e che da quanto ne sappiamo forse non vuole più nemmeno i plurimi incontri sessuali, per lei che ci scrive alimento fondamentale del desiderio?
Questa donna tra l'altro le ha già indicato la strada maestra della terapia individuale, e il non volervi accedere sembra denunciare in lei una pericolosa mancanza di auto-osservazione e di consapevolezza.
Lei lavora, per vivere? Riesce a svolgere le normali attività, a frequentare persone anche in modo amichevole, a parlare con chi la pensa diversamente da lei e a rispettarne sentimenti e opinioni?
Restiamo in attesa.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#5]
Utente
Oddio no. Mi devo essere spiegato davvero molto male.
Ho iniziato una relazione con una donna più giovane di me di 10 anni circa 15 anni fa. Una relazione normale con aspetti positivi e negativi e una certa centralità della sfera sessuale. Quando sono sopraggiunti alcuni "tradimenti", prima da parte mia, poi da parte sua, abbiamo gestito la cosa accettandola e senza colpevolizzarci, inglobando queste "corna" dentro la nostra sfera sessuale. Sono avvenimenti assai sporadici che non hanno mai costituito uno stile di relazione e sebbene abbiano avuto un ruolo non è mai stato minimamente predominante. Per questo non avevo citato questi episodi in questo consulto. L'ho fatto quando lei ha richiamato il precedente.
C'è stato poi il momento del concepimento in cui la mia compagna (dico moglie perché lo è di fatto, non ci siamo mai sposati) mi rivela solo ex-post di non aver usato il condom in un rapporto intercorso pochi giorni prima (non era esattamente una regola) provocando dubbi sulla mia paternità.
Sebbene questa cosa abbia avuto un qualche peso nella separazione, la ragione è dipesa da problemi di convivenza quotidiana, di progettualità, di economia e di rapporto col mondo esterno. Non mi sono mai sentito sostenuto nelle mie attività lavorative e non lavorative. Non credo sia necessaria una "fobia sociale" per mettere fine a una relazione, il fatto è che non stavo bene in quella situazione di convivenza.
Nonostante questa scelta sono rimasto eroticamente sempre attratto da lei e nel manifestarlo non ho trovato né una risposta positiva né una risposta negativa. E nemmeno una chiara spiegazione di questa ambiguità. Ho solo potuto avere certezza (almeno così mi ha detto) che la sua occasionale disponibilità non dipende in alcun modo dalla paura che sarei in qualche modo venuto meno al ruolo e ai compiti di padre.
Ora la mia idea di terapia di coppia vorrebbe essere mirata questo nostro diverso atteggiamento attuale nella sfera sessuale. Non penso che "debba costringere la persona desiderata ad acconsentire ai desideri dell'altra". Credo però che aiuterebbe a risolvere il mio attaccamento perché credo che questo sia generato dalle risposte altalenanti ai miei desideri. Penso che un percorso di coppia possa portare chiarezza, o anche a una sua più netta presa di distanze dai miei desideri. Aiuterebbe poi me a superare il mio attaccamento, da solo o con il supporto di un terapista. E credo aiuterebbe anche lei a capire le ragioni per cui, al contrario di me, ha un desiderio "intermittente".
Come ho detto un percorso terapeutico individuale l'ho iniziato e poi concluso su indicazione della terapista solo due anni fa.
Ora immagino di ricominciarlo di nuovo da solo: mi siedo, spiego il mio attaccamento e le risposte della mia ex-moglie. Lei non si focalizzerebbe almeno nella parte iniziale del percorso sulla dinamica inter-psichica (io vs. mia moglie) prima che su quella intra-psichica?
La questione iniziale era esattamente questa. E sono assolutamente consapevole di poter sbagliare, altrimenti non avrei chiesto un consulto qui.
Ho iniziato una relazione con una donna più giovane di me di 10 anni circa 15 anni fa. Una relazione normale con aspetti positivi e negativi e una certa centralità della sfera sessuale. Quando sono sopraggiunti alcuni "tradimenti", prima da parte mia, poi da parte sua, abbiamo gestito la cosa accettandola e senza colpevolizzarci, inglobando queste "corna" dentro la nostra sfera sessuale. Sono avvenimenti assai sporadici che non hanno mai costituito uno stile di relazione e sebbene abbiano avuto un ruolo non è mai stato minimamente predominante. Per questo non avevo citato questi episodi in questo consulto. L'ho fatto quando lei ha richiamato il precedente.
C'è stato poi il momento del concepimento in cui la mia compagna (dico moglie perché lo è di fatto, non ci siamo mai sposati) mi rivela solo ex-post di non aver usato il condom in un rapporto intercorso pochi giorni prima (non era esattamente una regola) provocando dubbi sulla mia paternità.
Sebbene questa cosa abbia avuto un qualche peso nella separazione, la ragione è dipesa da problemi di convivenza quotidiana, di progettualità, di economia e di rapporto col mondo esterno. Non mi sono mai sentito sostenuto nelle mie attività lavorative e non lavorative. Non credo sia necessaria una "fobia sociale" per mettere fine a una relazione, il fatto è che non stavo bene in quella situazione di convivenza.
Nonostante questa scelta sono rimasto eroticamente sempre attratto da lei e nel manifestarlo non ho trovato né una risposta positiva né una risposta negativa. E nemmeno una chiara spiegazione di questa ambiguità. Ho solo potuto avere certezza (almeno così mi ha detto) che la sua occasionale disponibilità non dipende in alcun modo dalla paura che sarei in qualche modo venuto meno al ruolo e ai compiti di padre.
Ora la mia idea di terapia di coppia vorrebbe essere mirata questo nostro diverso atteggiamento attuale nella sfera sessuale. Non penso che "debba costringere la persona desiderata ad acconsentire ai desideri dell'altra". Credo però che aiuterebbe a risolvere il mio attaccamento perché credo che questo sia generato dalle risposte altalenanti ai miei desideri. Penso che un percorso di coppia possa portare chiarezza, o anche a una sua più netta presa di distanze dai miei desideri. Aiuterebbe poi me a superare il mio attaccamento, da solo o con il supporto di un terapista. E credo aiuterebbe anche lei a capire le ragioni per cui, al contrario di me, ha un desiderio "intermittente".
Come ho detto un percorso terapeutico individuale l'ho iniziato e poi concluso su indicazione della terapista solo due anni fa.
Ora immagino di ricominciarlo di nuovo da solo: mi siedo, spiego il mio attaccamento e le risposte della mia ex-moglie. Lei non si focalizzerebbe almeno nella parte iniziale del percorso sulla dinamica inter-psichica (io vs. mia moglie) prima che su quella intra-psichica?
La questione iniziale era esattamente questa. E sono assolutamente consapevole di poter sbagliare, altrimenti non avrei chiesto un consulto qui.
[#6]
Gentile utente,
pur nella sempre più densa oscurità dei motivi per cui ha deciso di separarsi dalla donna che tuttora desidera, a cui vuol bene e che forse è la madre di un figlio suo (lei non chiarisce nemmeno questo punto), rispondo alla domanda diretta: "Lei non si focalizzerebbe almeno nella parte iniziale del percorso sulla dinamica inter-psichica (io vs. mia moglie) prima che su quella intra-psichica?"
Credo che intenda dire se vorrei conoscere il punto di vista della sua ex chiedendolo direttamente alla signora, e posso rispondere di no con certezza, per la precisa ragione che la persona che accede ad un consulto psicologico porta il proprio problema, l'altra persona no.
Altrimenti ogni volta che ci troviamo di fronte ad una persona che soffre per una relazione finita dovremmo convocare l'ex; stessa cosa per chi viene maltrattato in famiglia, e per chi lamenta mobing sul lavoro dovremmo convocare il capoufficio e tutti i colleghi.
Al di là della palese assurdità e della violazione di privacy di questa procedura, essa sarebbe anche inutile, perché noi non possiamo in nessun caso indurre al cambiamento altri che la persona che si è rivolta a noi con questo preciso scopo.
Lei stesso può chiedere alla sua ex di rifiutarla quando lei le propone di avere rapporti, se così preferisce.
Da qui non possiamo fare altro, se non suggerirle caldamente una seria terapia.
Buone cose.
pur nella sempre più densa oscurità dei motivi per cui ha deciso di separarsi dalla donna che tuttora desidera, a cui vuol bene e che forse è la madre di un figlio suo (lei non chiarisce nemmeno questo punto), rispondo alla domanda diretta: "Lei non si focalizzerebbe almeno nella parte iniziale del percorso sulla dinamica inter-psichica (io vs. mia moglie) prima che su quella intra-psichica?"
Credo che intenda dire se vorrei conoscere il punto di vista della sua ex chiedendolo direttamente alla signora, e posso rispondere di no con certezza, per la precisa ragione che la persona che accede ad un consulto psicologico porta il proprio problema, l'altra persona no.
Altrimenti ogni volta che ci troviamo di fronte ad una persona che soffre per una relazione finita dovremmo convocare l'ex; stessa cosa per chi viene maltrattato in famiglia, e per chi lamenta mobing sul lavoro dovremmo convocare il capoufficio e tutti i colleghi.
Al di là della palese assurdità e della violazione di privacy di questa procedura, essa sarebbe anche inutile, perché noi non possiamo in nessun caso indurre al cambiamento altri che la persona che si è rivolta a noi con questo preciso scopo.
Lei stesso può chiedere alla sua ex di rifiutarla quando lei le propone di avere rapporti, se così preferisce.
Da qui non possiamo fare altro, se non suggerirle caldamente una seria terapia.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 6 risposte e 5.5k visite dal 22/05/2024.
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