Relazione familiare vs relazione sentimentale

Salve,
mi trovo a scrivere poiché da 3 anni a questa parte la mia vita sentimentale e familiare camminano su binari paralleli.

La mia famiglia non accetta il mio ragazzo, ritenendolo non adatto a me.
Più volte mi è stato detto che lui mi abbia fatto il "lavaggio del cervello", che io ne sia ottenebrata e che abbia i prosciutti sugli occhi, non notando le cose che invece loro notano e che non vanno.
Alla mia richiesta "cosa c'è che non va in lui?
" mi viene risposto semplicemente che non è ai miei livelli, non è alla mia altezza.
Spesse volte mia madre lancia frecciatine su di lui, mentre siamo a tavola e in sua assenza, quasi per rimarcare che, a mia differenza, non era bravo a scuola e non ha una laurea, ma un diploma accademico.
In sua presenza si comportano con cortesia formale, ma assai affettata, al punto che diverse volte il mio ragazzo ha notato questa loro freddezza nei suoi riguardi, percependo da parte loro distacco e rifiuto, soffrendone al punto da piangere.
Io, dal canto mio, cerco di destreggiarmi in questa situazione negando al mio lui i suoi sospetti e giustificando ai suoi occhi la mia famiglia, dicendogli che sono sempre stati così.

La sua presenza da loro fastidio e non mancano di far battute velate sul padre di lui, che non ha mai lavorato, a differenza dei miei che sono sempre stati dei gran lavoratori onesti.

Vorrei poter avere una famiglia che mi appoggia nelle mie scelte e invece mi ritrovo a piangere per questa situazione che mi toglie serenità.

Da 3 anni le festività mi sono pesanti perché la mia famiglia vorrebbe che le trascorressi da sola con loro, senza di lui, per godermi appieno come figlia.

Mi è stato anche rimproverato il fatto che io mi comporti "more uxorio", pur essendo solo fidanzati e quindi, a detta dei miei, non necessitiamo di star sempre a contatto.

Per contro, la famiglia di lui, mi accoglie con calore e mi fa sentire parte integrante.

Abitando fuori per lavoro, i miei ritengono che la causa principale del mio vederli sporadicamente sia imputabile a lui, oriundo del luogo in cui vivo.

In realtà lavoro nello stesso posto da ormai 7 anni, essendo fidanzata con lui soltanto da 3 ed essendomi sempre comportata nella stessa maniera in termini di visite nel mio luogo di origine.
Affibbiano a lui il fatto che io sia cambiata, che non sia più la loro figlia affezionata che hanno cresciuto.

In tutto questo, un ruolo da "figlia modello" è stato attribuito a mia sorella, single, che si fa vedere a casa negli stessi giorni in cui mi faccio vedere io.

Sebbene qualche volta lei possa sbagliare, sono pronti a giustificarla anche per cose che, qualora fossi io a farle, sarei rimproverata aspramente.

Nella dinamica che si è venuta a creare, li vedo coalizzati tra loro.
Laddove dovessi sbottare per una frecciatina (fatta peraltro sempre sugli stessi argomenti), sarei subito redarguita da tutti e 3.

Non so più che fare, ho anche chiesto loro di intraprendere una terapia familiare ma mi è stato risposto di no.
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Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.6k 598
Gentile utente,

ci si potrebbe chiedere perché lei, ad una età quasi vicino ai xxxrant'anni, sia così dipendente dal giudizio della famiglia d'origine
e come mai stia attendendo e temporeggiando per intraprendere una vita di coppia affettivamente autonoma da loro.
Soprattutto per le donne, il ticchettio dell'orologio biologico è impietoso; sembrerebbe che lei non ci pensi, invischiata in una dinamica antica che non le permette di pensare a metter su famiglia, a fare figli se entrambi lo desiderate.
Ma anche in altro caso, nell'età di mezzo (35-45) la "separazione" dalla famiglia in cui siamo nati dovrebbe essere compiuta.

Se invece tutto quanto lei riferisce riguarda le sue dinamiche interiori,
i sensi di colpa, i ricatti affettivi a cui si sente sottoposta
beh, in questo caso l'incoraggiamo vivamente a chiedere aiuto psicologico:
in molti casi il prigioniero collude con gli imprigionanti. Nel momento in cui il prigioniero scioglie le sue catene perché ne possiede la chiave, i carcerieri devono rinunciare al loro potere divenuto ormai inutile.
Non so se la metafora risulti chiara.

Sono stata piuttosto esplicita nella risposta perché ancora oggi troppe donne
giunte alle soglie dei 37/45 anni
si lamentano e rimpiangono di non essere state avvisate che il tempo passa irrimediabilmente. E ciò ritengono responsabili le amiche, le mediche, le psicoterapeute, ..

Veda un po' cosa farne di queste riflessioni, ma
-Le raccomandiamo vivamente-
si prenda cura di sè e della sua coppia al di là dei guinzagli che la famiglia d'origine le pone in vari modi.

Saluti cordiali.
Dott. Brunialti

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

[#2]
Utente
Utente
Gent.ma Dott.ssa Brunialti,
mi preme, in primis, ringraziarLa per il Suo tempo e per la Sua risposta precisa, diretta e tempestiva.
Per quel che concerne il fatidico "orologio biologico" devo ammettere che la procreazione non è mai stata una mia priorità: ritengo che una Donna sia completa anche senza figli e, pertanto, non ho mai fatto della maternità l'obiettivo primario della mia vita, né un traguardo da raggiungere a tutti i costi.
Mi rendo conto che per molte la storia del "ticchettare biologico femminile" sia quasi una sorta di corsa contro al tempo, quasi come se si avesse una scadenza o se si avessero dei "canoni" - mi passi il termine - socio-biologici cui bisognerebbe aderire, ma fortunatamente non è mai stato il mio caso.
Ho considerato la Sua risposta diretta perché, senza mezzi termini edulcorati ed edulcoranti, mi ha aperto a una serie di riflessioni: dai sensi di colpa, alla paura di non essere amati e di far soffrire qualora dovessi assecondare i miei desideri, al "ricatto affettivo".
Convivendo col mio ragazzo da quasi 3 anni, mi rendo conto che la mia "separazione" dal nucleo familiare di origine sia stata soltanto geografica: nonostante io abiti in un luogo differente, mi porto dentro una serie di "invischiamenti" cui Lei fa riferimento con la metafora del prigioniero.
Spero che, grazie all'aiuto di un professionista come Lei mi consiglia, io riesca a intraprendere la giusta strada per affrancare il mio Io.
La ringrazio nuovamente per i Suoi consigli illuminanti e, se avesse sull'argomento approfondimenti/articoli da suggerirmi, ne sarei ben lieta.
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Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.6k 598
Gentile utente, sono contenta che lei abbia Apprezzato la mia risposta che, come al solito è piuttosto schietta, senza mezzi termini edulcorati ed edulcoranti, per dirla con le sue parole.
Quando avrò sottomano qualche contributo sull’argomento, volentieri lo incollerò a questo consulto.

Le auguro di riuscire a individuare un* Psicoterapeuta che la affianchi in questo lavoro di distanziamento affettivo dalla sua famiglia d’origine, senza che ciò venga vissuto come un tradimento verso di loro, un abbandono, con conseguenti sensi di colpa.

Saluti Cari.
Dott. Brunialti

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/