Giudizio negativo sulla psicoterapeuta

Buongiorno gentili dottori

Da circa tre mesi vado da una nuova terapeuta per il mio disturbo borderline.
E fino a ieri stavo benissimo.
Mi sembra simpatica, dolce, empatica, insomma mi piaceva proprio!

Ieri però mi ha detto una cosa che mi ha fatto stare molto male e sto male ancora oggi.


Io sono una paziente con forti pensieri suicidi e lei l'altra volta mi ha detto che nei momenti di crisi potevo chiamarla.
Ed io ero felice di questo, perché non mi sono sentita sola.


Ieri però ha rettificato e ha detto:

"Ci ho riflettuto e ho cambiato idea.
Nei momenti in cui hai forti pensieri suicidi chiama il 118, perché io se non potessi rispondere e tu ti uccidi, mi sentirei molto in colpa.
Chiamami soltanto se la sofferenza va da 0 a 5.
Da 6 a 10 chiama il 118.
"

Queste le sue parole.
Ne sono rimasta così male.
I pensieri suicidi sono aumentati, mi sono sentita sola e abbandonata.
Già sono sola come un cane, in più mi ci ha fatto sentire anche lei.

Inoltre se un paziente vuole DAVVERO suicidarsi, lo fa e basta, figurati se chiama il 118. Ma, se così non fosse, preferirebbe chiamare una persona conosciuta, piuttosto che sconosciuti.

Ho intenzione di dirglielo alla prossima seduta tra 4 giorni, ma non so cosa dirle, ho paura che possa chiudere il rapporto terapeutico.


Voi cosa ne pensate del suo comportamento? Sono io che come tutti i border sono fatta di cristallo e mi rompo per un niente?
[#1]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
so bene che il disturbo borderline comporta l'incapacità di mantenere la fiducia e la stima nelle persone, in particolare nel curante; tuttavia cercherò di aiutarla in considerazione di due fatti: 1) so quanto siano dolorosi i sentimenti di abbandono vissuti dai borderline; 2) lei si sta curando e questo vuol dire che ha ancora un po' di fiducia nel fatto di poter migliorare, guarire.
Questa fiducia meritoria sento di voler incoraggiare.
Le dico subito che in base alle cose che racconta la sua terapeuta sta portando avanti i suoi compiti professionali in maniera ineccepibile.
Lei dice che ha iniziato questa nuova terapia da tre mesi, quindi è ancora nel periodo di valutazione. Nei primi colloqui la psicologa le ha detto che poteva contattarla nei momenti di crisi. Questa offerta è spesso un test sulla capacità del paziente di valutare la gravità del proprio malessere e di rapportarla correttamente al disagio prodotto nella vita degli altri, in primis quella della persona che si è resa disponibile.
Se gli appelli superano la soglia tollerabile in un rapporto professionale, se rivelano nel paziente una regressione ad uno stadio infantile, se soprattutto contengono una minaccia di suicidio, che certo non si può sventare da lontano, il professionista è tenuto ad attuare un blocco di contenimento.
Questo non vuole essere un abbandono, tutt'altro: infatti la sua terapeuta le ha spiegato che deve allertare il 118 in caso di pericolo grave e le ha insegnato come auto-valutare il suo disagio assegnandogli un voto da uno a dieci.
In pratica, la sua psicologa ha rafforzato la tutela della sua salute, le ha detto di chiamare soccorsi immediati in caso di pericolo grave, e la sta istradando a capirsi meglio, col farle valutare l'entità del rischio e le persone a cui rivolgersi.
Rifletta che quando lei annuncia un'intenzione così grave a una persona che certamente, da lontano, non potrebbe sventare il suo suicidio, lo fa per avere l'attenzione di questa persona, senza curarsi del disturbo che le arreca. In pratica attua una regressione all'infanzia, ossia una condotta della quale è corretto renderla consapevole e che va scoraggiata.
Lei stessa infatti ha acquisito nuove consapevolezze, per cui scrive: "se un paziente vuole DAVVERO suicidarsi, lo fa e basta, figurati se chiama il 118. Ma, se così non fosse, preferirebbe chiamare una persona conosciuta, piuttosto che sconosciuti".
Appunto: quel "se così non fosse" rivela che lei gioca, come una bambina malignetta, con il tempo, gli impegni, i sentimenti di un'altra persona. La sua psicologa le sta offrendo gli strumenti per uscire da questo meccanismo perverso che non le guadagna la simpatia del prossimo, quindi per non farla più essere, in futuro, "sola come un cane".
Nella stessa linea di educazione al comportamento adulto, responsabile, si colloca il patto di non-suicidio, tra l'altro previsto dalla nostra deontologia professionale.
Vorrei farla riflettere su questo: lei va in terapia per superare il sentimento negativo che la fa pensare al suicidio. Non sarebbe paradossale che la curante la incoraggiasse invece a coltivarlo?
Fa bene a pensare di parlarle di tutto questo, perché si tratta di passaggi essenziali della terapia.
Molti auguri.


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Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#2]
Utente
Utente
Salve dottoressa, grazie per la risposta.

No, in realtà non l'ho mai contattata da quando sono in terapia, neanche una volta, quindi non gioco con i sentimenti di nessuno. E quindi non ha rettificato perché la disturbavo sempre.

E non gioco come dice, come una bambina malignetta, perché quello che dico (dei pensieri suicidi) è vero e non lo invento per catturare l'attenzione.

Nei momenti di crisi si dovrebbe contattare il proprio terapeuta, cosa che lei a quanto pare non vuole.

Sì mi sento molto abbandonata e i pensieri suicidi sono aumentati.
[#3]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
lei continua a cedere alle suggestioni del suo disturbo, anziché combatterle.
Prova ne è che non ha preso minimamente in considerazione ciò che le ho scritto sulla tutela attuata dalla sua curante col dirle di chiamare il 118.
Inoltre afferma: "Nei momenti di crisi si dovrebbe contattare il proprio terapeuta".
Da dove ricava l'idea inverosimile che un terapeuta dovrebbe essere per una persona adulta come la mamma per un bambino piccolo?
Si affidi alla sua curante e vedrà che riuscirà a stare meglio.
Ancora auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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