Andare a vivere da solo
Buongiorno,
sono un ragazzo di 38 anni, svolgo una libera professione e vivo ancora con i miei genitori pur avendo una mia casa a 10 km.
Rimango coi miei per comodità, per
abitudine e perché mi preparano da mangiare mentre io lavoro molte ore.
Da ormai un paio di anni sento l'esigenza di uscire di casa per avere una mia identità e autonomia... ho provato un paio di volte ma i miei hanno sempre reagito male dicendo che se io fossi andato via non avrebbero avuto più ragione di condurre la vita di prima e che io non ce l' avrei fatta da solo a gestire la casa lavorando così tante ore.
Ora però sento che non sopporto più la convivenza perchè troppo stacco culturale e voglio fare il passo.
Chiedo secondo voi quale sia la strategia migliore, se fare un distacco graduale o brusco.
Ho paura di farli soffrire. Ho anche la memoria di mio zio che si è tolto la vita per ragioni similari di non sentirsi più utile.
sono un ragazzo di 38 anni, svolgo una libera professione e vivo ancora con i miei genitori pur avendo una mia casa a 10 km.
Rimango coi miei per comodità, per
abitudine e perché mi preparano da mangiare mentre io lavoro molte ore.
Da ormai un paio di anni sento l'esigenza di uscire di casa per avere una mia identità e autonomia... ho provato un paio di volte ma i miei hanno sempre reagito male dicendo che se io fossi andato via non avrebbero avuto più ragione di condurre la vita di prima e che io non ce l' avrei fatta da solo a gestire la casa lavorando così tante ore.
Ora però sento che non sopporto più la convivenza perchè troppo stacco culturale e voglio fare il passo.
Chiedo secondo voi quale sia la strategia migliore, se fare un distacco graduale o brusco.
Ho paura di farli soffrire. Ho anche la memoria di mio zio che si è tolto la vita per ragioni similari di non sentirsi più utile.
[#1]
Gentile utente,
comprendo che con il pregresso dello zio (forse aveva delle proprie fragilità), le paure lievitino. Ma se pensa a tutte le eventualità, la dimora genitoriale non la lascerà mai.
Come, neppure, se Lei prosegue nell'auto-rappresentarsi come "..sono un ragazzo di 38 anni..", quando è un adulto fatto e finito.
Intendo dire che nella difficoltà di distanziarsi dalla famiglia d'origine giocano molti fattori.
Una parte di essi riguardano se stessi: ce la faro? riuscirò a tener pulito? a cucinare? oppure mi ridurrò come un barbone dentro casa mia?
Quando tali dubbi si rivelano poco efficaci ormai a fronte del desiderio di autonomia, ci si getta sulle giustificazioni buoniste: i miei soffriranno, ecc..
Sicuramente i Suoi soffriranno, e anche Lei farà fatica; le prime notti nessuno forse dormirà serenamente. Anche perchè la convivenza a tre è andata ben oltre l'età .. fisiologica, e dunque ora c'è una consolidata abitudine.
D'altra parte andando a vivere nella Sua casa avrà modo di realizzarsi anche affettivamente, al di là del controllo che -volontariamente o meno- i genitori applicano alla vita dei figli/e anche grandi. Ad es., se una sera in seguito ad un incontro imprevisto decidesse di trascorrere fuori la notte, dovrebbe:
fornire qualche giustificazione ritornando?
soddisfacimento delle curiosità materne (chi era?)?
sensi di colpa ("non ho dormito per nulla sapendoti fuori)?
"Chiedo secondo voi quale sia la strategia migliore, se fare un distacco graduale o brusco."
L'eventuale distacco graduale abbisogna di un timing molto preciso da parte Sua e di un patto ferreo con se stesso su tempi e modi. Sono troppi i figli/e che hanno iniziato la vita da sol* andando *qualche sera* a cena dai genitori per alleviare la 'loro' solitudine e non sono più riusciti a svincolarsi, *ogni* sera; tornando a casa propria solo per dormire e portando la biancheria sporca a mammà: autonomia con guinzaglio.
Nel caso abbisogni di un ulteriore confronto, replichi qui, ci siamo.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
comprendo che con il pregresso dello zio (forse aveva delle proprie fragilità), le paure lievitino. Ma se pensa a tutte le eventualità, la dimora genitoriale non la lascerà mai.
Come, neppure, se Lei prosegue nell'auto-rappresentarsi come "..sono un ragazzo di 38 anni..", quando è un adulto fatto e finito.
Intendo dire che nella difficoltà di distanziarsi dalla famiglia d'origine giocano molti fattori.
Una parte di essi riguardano se stessi: ce la faro? riuscirò a tener pulito? a cucinare? oppure mi ridurrò come un barbone dentro casa mia?
Quando tali dubbi si rivelano poco efficaci ormai a fronte del desiderio di autonomia, ci si getta sulle giustificazioni buoniste: i miei soffriranno, ecc..
Sicuramente i Suoi soffriranno, e anche Lei farà fatica; le prime notti nessuno forse dormirà serenamente. Anche perchè la convivenza a tre è andata ben oltre l'età .. fisiologica, e dunque ora c'è una consolidata abitudine.
D'altra parte andando a vivere nella Sua casa avrà modo di realizzarsi anche affettivamente, al di là del controllo che -volontariamente o meno- i genitori applicano alla vita dei figli/e anche grandi. Ad es., se una sera in seguito ad un incontro imprevisto decidesse di trascorrere fuori la notte, dovrebbe:
fornire qualche giustificazione ritornando?
soddisfacimento delle curiosità materne (chi era?)?
sensi di colpa ("non ho dormito per nulla sapendoti fuori)?
"Chiedo secondo voi quale sia la strategia migliore, se fare un distacco graduale o brusco."
L'eventuale distacco graduale abbisogna di un timing molto preciso da parte Sua e di un patto ferreo con se stesso su tempi e modi. Sono troppi i figli/e che hanno iniziato la vita da sol* andando *qualche sera* a cena dai genitori per alleviare la 'loro' solitudine e non sono più riusciti a svincolarsi, *ogni* sera; tornando a casa propria solo per dormire e portando la biancheria sporca a mammà: autonomia con guinzaglio.
Nel caso abbisogni di un ulteriore confronto, replichi qui, ci siamo.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 1.6k visite dal 18/12/2023.
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