Malattia incurabile e solitudine
Gentili dottori,
sono una ragazza di 29 anni.
Ormai da tempo convivo con svariate patologie come endometriosi, cefalea vasomotoria, apnea.
All'età di 27 anni, però, mi viene diagnosticata un'ulteriore patologia.
Negli ultimi due anni la mia vita si è basata su controlli, risonanze, ospedali e ambulatori.
Dopo aver girato l'Italia è arrivato il responso: non esiste una cura per la mia patologia e non esiste farmaco che possa attenuare i sintomi.
E' una patologia che potrebbe anche provocare danni fatali, però probabilmente non nell'immediato.
Per cui mi ritrovo ad avere effettivamente una vita (più o meno lunga non si sa) però avendo sintomi veramente invalidanti.
Inoltre il mio corpo è cambiato, ho preso peso.
Vivo in un paesino di poche migliaia di abitanti e spesso, quando esco di casa, la gente non si esime dal commentare il mio aumento di peso.
Mi dicono che sono ingrassata, che sono bella grossa e cose del genere.
A questa situazione si è aggiunto un problema mandibolare che mi costringe a stare a letto dal mese di Aprile poiché ho vertigini ed emicranie insopportabili (forse risolvibile con un bite che il dentista mi ha prescritto).
Tutto ciò ha ovviamente avuto un grosso impatto sulla mia vita.
Tra un paio di mesi dovrei iniziare a lavorare, ma al momento sto sempre a casa in attesa.
Ho sempre avuto tanti amici, o almeno io pensavo fosse così.
Se gli chiedo di uscire hanno sempre qualche impegno (e lo capisco perché hanno iniziato a lavorare).
Se decidiamo di organizzare una serata, loro scelgono di andare a cenare in posti in cui sanno che io non posso mangiare nulla e mi lasciano a casa sostanzialmente.
Sto sperimentando una mancanza di empatia e poca curanza nei miei confronti.
Sono bloccata.
La vita degli altri va avanti, la mia è ferma.
Non posso neanche fare attività fisica per via della mia condizione di salute.
Mi sento così sola.
Credo sinceramente che, se una situazione non si vive sulla propria pelle, non si può capire.
I miei genitori sono disperati, non sanno come darmi aiuto.
Dopo essersi sentire dire, anche con poco tatto, che rischio di morire, ora mi vedono a casa da sola.
Chiedo a voi un consiglio
sono una ragazza di 29 anni.
Ormai da tempo convivo con svariate patologie come endometriosi, cefalea vasomotoria, apnea.
All'età di 27 anni, però, mi viene diagnosticata un'ulteriore patologia.
Negli ultimi due anni la mia vita si è basata su controlli, risonanze, ospedali e ambulatori.
Dopo aver girato l'Italia è arrivato il responso: non esiste una cura per la mia patologia e non esiste farmaco che possa attenuare i sintomi.
E' una patologia che potrebbe anche provocare danni fatali, però probabilmente non nell'immediato.
Per cui mi ritrovo ad avere effettivamente una vita (più o meno lunga non si sa) però avendo sintomi veramente invalidanti.
Inoltre il mio corpo è cambiato, ho preso peso.
Vivo in un paesino di poche migliaia di abitanti e spesso, quando esco di casa, la gente non si esime dal commentare il mio aumento di peso.
Mi dicono che sono ingrassata, che sono bella grossa e cose del genere.
A questa situazione si è aggiunto un problema mandibolare che mi costringe a stare a letto dal mese di Aprile poiché ho vertigini ed emicranie insopportabili (forse risolvibile con un bite che il dentista mi ha prescritto).
Tutto ciò ha ovviamente avuto un grosso impatto sulla mia vita.
Tra un paio di mesi dovrei iniziare a lavorare, ma al momento sto sempre a casa in attesa.
Ho sempre avuto tanti amici, o almeno io pensavo fosse così.
Se gli chiedo di uscire hanno sempre qualche impegno (e lo capisco perché hanno iniziato a lavorare).
Se decidiamo di organizzare una serata, loro scelgono di andare a cenare in posti in cui sanno che io non posso mangiare nulla e mi lasciano a casa sostanzialmente.
Sto sperimentando una mancanza di empatia e poca curanza nei miei confronti.
Sono bloccata.
La vita degli altri va avanti, la mia è ferma.
Non posso neanche fare attività fisica per via della mia condizione di salute.
Mi sento così sola.
Credo sinceramente che, se una situazione non si vive sulla propria pelle, non si può capire.
I miei genitori sono disperati, non sanno come darmi aiuto.
Dopo essersi sentire dire, anche con poco tatto, che rischio di morire, ora mi vedono a casa da sola.
Chiedo a voi un consiglio
[#1]
Gentile utente,
la comprendo profondamente.
So quanto sia doloroso dover ristrutturare le proprie attività in base ai tempi delle visite e delle cure, in pratica i tempi della malattia, e in più trovarsi soli quando si cerca di continuare per quanto possibile le attività piacevoli.
In genere, quando viene diagnosticata una patologia importante, il momento di sbandamento iniziale è forte. Solo con un po' di tempo si trovano le strategie di fronteggiamento.
Lei non ci comunica la sua patologia maggiore, ma dalla descrizione credo sia una malattia autoimmune.
Un primo aiuto può venire dai sanitari, dagli psicologi e dal personale paramedico dell'ospedale in cui si è seguiti, ma soprattutto dalla condivisione di esperienze con gli altri malati, che può aiutare anche i suoi genitori.
Ci sono situazioni in cui per tempi più o meno lunghi il luogo di cura diventa un secondo ambiente familiare; il saper parlare e condividere può alleggerire molto la sofferenza.
Col tempo si possono trovare anche dei "vantaggi" in queste situazioni: io ho preso la seconda laurea studiando in un ospedale oncologico.
Lei a quanto scrive comincerà presto a lavorare, e questo le aprirà nuove conoscenze, nuovi orizzonti, interessi diversi. Nell'attesa è bene che si faccia forza e si alleni ad uscire e a muoversi.
Il riferimento a luoghi dove non può recarsi con gli amici perché non potrebbe mangiare nulla mi risulta oscuro, a meno che non le sia stata riscontrata una celiachia o una grave intolleranza alimentare.
Tenga conto tra l'altro che la resistenza più o meno consapevole alla malattia peggiora una serie di effetti collaterali, e mi chiedo se le patologie concomitanti da lei citate non siano già frutto di questo.
Si faccia aiutare da un professionista e cerchi, anche col suo aiuto, di recuperare ogni possibile energia e interesse.
La abbraccio e le faccio tanti auguri. Ci tenga al corrente.
la comprendo profondamente.
So quanto sia doloroso dover ristrutturare le proprie attività in base ai tempi delle visite e delle cure, in pratica i tempi della malattia, e in più trovarsi soli quando si cerca di continuare per quanto possibile le attività piacevoli.
In genere, quando viene diagnosticata una patologia importante, il momento di sbandamento iniziale è forte. Solo con un po' di tempo si trovano le strategie di fronteggiamento.
Lei non ci comunica la sua patologia maggiore, ma dalla descrizione credo sia una malattia autoimmune.
Un primo aiuto può venire dai sanitari, dagli psicologi e dal personale paramedico dell'ospedale in cui si è seguiti, ma soprattutto dalla condivisione di esperienze con gli altri malati, che può aiutare anche i suoi genitori.
Ci sono situazioni in cui per tempi più o meno lunghi il luogo di cura diventa un secondo ambiente familiare; il saper parlare e condividere può alleggerire molto la sofferenza.
Col tempo si possono trovare anche dei "vantaggi" in queste situazioni: io ho preso la seconda laurea studiando in un ospedale oncologico.
Lei a quanto scrive comincerà presto a lavorare, e questo le aprirà nuove conoscenze, nuovi orizzonti, interessi diversi. Nell'attesa è bene che si faccia forza e si alleni ad uscire e a muoversi.
Il riferimento a luoghi dove non può recarsi con gli amici perché non potrebbe mangiare nulla mi risulta oscuro, a meno che non le sia stata riscontrata una celiachia o una grave intolleranza alimentare.
Tenga conto tra l'altro che la resistenza più o meno consapevole alla malattia peggiora una serie di effetti collaterali, e mi chiedo se le patologie concomitanti da lei citate non siano già frutto di questo.
Si faccia aiutare da un professionista e cerchi, anche col suo aiuto, di recuperare ogni possibile energia e interesse.
La abbraccio e le faccio tanti auguri. Ci tenga al corrente.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#3]
Gentile utente,
confermo la mia solidarietà.
Vorrei che lei sapesse fin d'ora che le malattie croniche permettono una serie si attività e come scrivevo sopra, forniscono anche qualche "vantaggio": con un'invalidità del 66% non si pagano farmaci e analisi, non si pagano le tasse universitarie, è gratuito l'accesso a molti musei e luoghi di cultura e molto altro.
Sempre che non si trovi la cura che porta alla guarigione, che sarebbe la migliore prospettiva.
Buone cose.
confermo la mia solidarietà.
Vorrei che lei sapesse fin d'ora che le malattie croniche permettono una serie si attività e come scrivevo sopra, forniscono anche qualche "vantaggio": con un'invalidità del 66% non si pagano farmaci e analisi, non si pagano le tasse universitarie, è gratuito l'accesso a molti musei e luoghi di cultura e molto altro.
Sempre che non si trovi la cura che porta alla guarigione, che sarebbe la migliore prospettiva.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 1.5k visite dal 14/11/2023.
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