Come esco fuori da questo tunnel?
Salve a tutti, spero che con questo messaggio possa ricevere una risposta che mi aiuti a iniziare un nuovo percorso di ricostruzione della mia identità, del mio autocontrollo e giudizio, che sento di aver completamente perso.
Parto col dire che sto col mio ragazzo, coetaneo, da oltre 2 anni.
L’inizio della nostra storia non è stato convenzionale ma comunque quello che si può definire un colpo di fulmine, anche se fin da subito abbiamo avuto alti e bassi per diverse cause esterne.
effettivamente sin da subito si sono presentate problematiche diverse, quelle di cui posso rispondere io si basavano più sulla mia autostima e percezione di me, sulla mia fiducia e capacità di dare e ricevere amore, come dicevo però, si sono protratte sino a diventare vere e proprie ossessioni, incubi e quant’altro.
Attualmente sono cosciente che esista il DOC da relazione, e probabilmente si tratta anche di ciò, perché di questo tipo sono le domande e i dubbi che mi faccio.
So di stare con una bellissima persona, che credo di amare con i suoi pregi e difetti.
La nostra relazione sarebbe perfetta se non a causa mia.
Ho una o due volta a settimana momenti in cui provo strano disagio stando con il mio partner e automaticamente mi convinco di non amarlo, o cado in un vortice di pensieri che riguardano il dubbio sulla nostra relazione.
Mi sto divertendo?
Sono nel posto giusto?
Lo amo?
Sono davvero contenta di stare qui?
tutto questo si traduce in una grande ansia e conseguenti crisi di pianto molto forti.
Lui mi sta sempre vicino e cerca di decostruire quei momenti (in cui parlo di lasciarlo perché non stiamo bene insieme o non lo amo) ricordandomi di come fino a qualche giorno prima dicevo il contrario.
Io non so se posso fidarmi di me stessa.
Credo di amarlo ma posso dirlo con grande difficoltà, perché c’è sempre dietro la paura che questo sia falso.
Aggiungo che ho veramente una scarsa autostima da almeno una decina d’anni e che per almeno 4 di questi ho sofferto di disturbi alimentari che non ho curato con l’aiuto di uno specialista ma da sola.
Sono attualmente in cura farmacologica con Daparox che nonostante abbia aiutato con altri tipi di paranoia, non è riuscito a scacciare la più persistente ovvero quella sulla mia relazione.
Ho paura dell’abbandono e soffro di una rigidità che sto cercando di far andare via.
Anche il sesso è complesso, lo ricordo come automatico ai primi tempi e oggi a volte oggetto di litigio e discrepanza.
Non sono mai venuta grazie a lui eppure apparentemente non c’è nulla che non vada per il verso giusto durante i rapporti.
Lui dice che gli sembro troppo attaccata a lui.
Come può questo coesistere con la mia paura di non amarlo davvero?
Mi chiedo come posso tornare semplicemente godermi la vita senza ansia, nervosismo, momenti di depersonalizzazione e senza continui sbalzi di umore e di idee.
Credo il mio ragazzo sia stato fin troppo paziente ad accettare fin oggi i discorsi che gli faccio quando sono in uno dei miei momenti.
Parto col dire che sto col mio ragazzo, coetaneo, da oltre 2 anni.
L’inizio della nostra storia non è stato convenzionale ma comunque quello che si può definire un colpo di fulmine, anche se fin da subito abbiamo avuto alti e bassi per diverse cause esterne.
effettivamente sin da subito si sono presentate problematiche diverse, quelle di cui posso rispondere io si basavano più sulla mia autostima e percezione di me, sulla mia fiducia e capacità di dare e ricevere amore, come dicevo però, si sono protratte sino a diventare vere e proprie ossessioni, incubi e quant’altro.
Attualmente sono cosciente che esista il DOC da relazione, e probabilmente si tratta anche di ciò, perché di questo tipo sono le domande e i dubbi che mi faccio.
So di stare con una bellissima persona, che credo di amare con i suoi pregi e difetti.
La nostra relazione sarebbe perfetta se non a causa mia.
Ho una o due volta a settimana momenti in cui provo strano disagio stando con il mio partner e automaticamente mi convinco di non amarlo, o cado in un vortice di pensieri che riguardano il dubbio sulla nostra relazione.
Mi sto divertendo?
Sono nel posto giusto?
Lo amo?
Sono davvero contenta di stare qui?
tutto questo si traduce in una grande ansia e conseguenti crisi di pianto molto forti.
Lui mi sta sempre vicino e cerca di decostruire quei momenti (in cui parlo di lasciarlo perché non stiamo bene insieme o non lo amo) ricordandomi di come fino a qualche giorno prima dicevo il contrario.
Io non so se posso fidarmi di me stessa.
Credo di amarlo ma posso dirlo con grande difficoltà, perché c’è sempre dietro la paura che questo sia falso.
Aggiungo che ho veramente una scarsa autostima da almeno una decina d’anni e che per almeno 4 di questi ho sofferto di disturbi alimentari che non ho curato con l’aiuto di uno specialista ma da sola.
Sono attualmente in cura farmacologica con Daparox che nonostante abbia aiutato con altri tipi di paranoia, non è riuscito a scacciare la più persistente ovvero quella sulla mia relazione.
Ho paura dell’abbandono e soffro di una rigidità che sto cercando di far andare via.
Anche il sesso è complesso, lo ricordo come automatico ai primi tempi e oggi a volte oggetto di litigio e discrepanza.
Non sono mai venuta grazie a lui eppure apparentemente non c’è nulla che non vada per il verso giusto durante i rapporti.
Lui dice che gli sembro troppo attaccata a lui.
Come può questo coesistere con la mia paura di non amarlo davvero?
Mi chiedo come posso tornare semplicemente godermi la vita senza ansia, nervosismo, momenti di depersonalizzazione e senza continui sbalzi di umore e di idee.
Credo il mio ragazzo sia stato fin troppo paziente ad accettare fin oggi i discorsi che gli faccio quando sono in uno dei miei momenti.
[#1]
Gentile utente,
mi dispiace per il suo disagio, che traspare chiaramente dalle parole che scrive.
Prima di centrare i punti sostanziali della sua richiesta, mi permetto di fare alcune premesse. Innanzitutto, la incoraggio a tenere presente che stare male psicologicamente è normale, umano, lecito e legittimo; stare male va bene, non la rende strana o patologica, ed è in un certo senso "banale", poiché condizione comune a molte più persone di quelle di cui ci rendiamo conto. Meno banale tuttavia è ammettere di stare male, ragion per cui, in secondo luogo, le rivolgo i miei complimenti per essere riuscita ad esprimere il suo vissuto interiore non solo con dovizia di particolari e sfaccettature, ma soprattutto con onestà nei confronti di se stessa prima ancora che degli altri: riconoscere di avere un problema costituisce sempre un fondamentale passo di avvio verso la sua risoluzione efficace. Infine, la invito a osservare che, soprattutto nell'ambito di una relazione sentimentale che ha incontrato ostacoli e difficoltà sin dall'inizio, il fatto di porsi domande e interrogarsi sul proprio benessere soggettivo all'interno del rapporto ("Mi sto divertendo?", "Sono nel posto giusto?", "Lo amo?", "Sono davvero contenta di stare qui?"), che lei sembra vivere come scomodo, può invece rappresentare una pratica sana e funzionale a fare il punto della situazione relazionale e verificare coscientemente se nel rapporto si sceglie di rimanere "a ragion veduta" - ovvero, perché vi si sta bene - piuttosto che in virtù di automatismi inconsapevoli. Paradossalmente, l'esercizio del dubbio entro certi limiti, o mettere in discussione la realtà del mondo guardandola da punti di vista alternativi, può essere una buona strategia per ottenere certezze più solide.
Faccio queste premesse perché mi pare di scorgere, tra le righe che ci rivolge, da un lato una tendenza a colpevolizzarsi e ad attribuirsi completamente la responsabilità del disagio attuale ("sin da subito si sono presentate problematiche, si basavano più sulla mia autostima e percezione di me", "la nostra relazione sarebbe perfetta se non a causa mia", "non so se posso fidarmi di me stessa"), dall'altro un'inclinazione a idealizzare la figura del suo ragazzo e a sollevarlo da qualsiasi eventuale contributo alla situazione spiacevole ("so di stare con una bellissima persona", "mi sta sempre vicino", "credo sia stato fin troppo paziente"). Eppure si evidenzia contemporaneamente non solo una discrepanza di interpretazioni - lei teme di non amarlo davvero, mentre lui la percepisce come troppo attaccata -, ma anche un persistenza dei suoi dubbi su di lui ("credo di amarlo, ma c’è sempre dietro la paura che questo sia falso", "mi convinco di non amarlo").
Questo non significa che il suo ragazzo sia una persona cattiva o che abbia la colpa della situazione, né che i suoi pregressi problemi di scarsa autostima non siano rilevanti e da affrontare. Tuttavia, appare inevitabile considerare che un rapporto di coppia si fa sempre in due, e che la configurazione emotiva e relazionale risente degli apporti di entrambi i membri che la compongono. Forse le si sta dunque presentando l'occasione non solo di risolvere i suoi disagi individuali, ma anche di fare chiarezza sull'effettivo benessere reciproco che esiste nella relazione con il suo ragazzo.
Probabilmente la paura dell'abbandono, che lei stessa menziona, la trattiene dal darsi delle vere risposte definitive: queste, infatti, potrebbero tanto avere l'esito più auspicabile di un proseguimento della relazione, quanto determinare più dolorosamente un'interruzione del rapporto e una conseguente separazione dal suo ragazzo. D'altra parte, si tratta di cogliere l'opportunità di acquisire maggiore consapevolezza di se stessa; una risorsa che, a lungo termine, nonostante l'apparenza scoraggiante delle avversità iniziali, conduce sempre a un'esistenza più equilibrata.
Le offro questi spunti per la riflessione e l'introspezione, ma la invito a considerare che i limiti tecnici del consulto online non consentono di effettuare un intervento esaustivo. Pertanto, poiché ci domanda come può "tornare semplicemente godersi la vita senza ansia", le suggerisco di rivolgersi a un* psicoterapeuta professionista in carne ed ossa, con cui intraprendere un percorso sistematico e strutturato in presenza fisica, modalità che dovrebbe risultare più agevole per esplorare le sollecitazioni fin qui manifestate, i contenuti delle sue ossessioni e dei suoi incubi, ed altri stimoli che dovessero emergere in seguito. L'approccio psicoterapeutico è importante perché, a differenza della cura farmacologica, non soltanto inibisce i sintomi di malessere che si palesano in superficie, ma punta ad elaborarne le cause profonde in maniera duratura.
Si rivolge a noi con la speranza che "il suo messaggio possa ricevere una risposta che la aiuti a iniziare un nuovo percorso di ricostruzione". Questa motivazione, che evidentemente non le manca, sarà una risorsa preziosa su cui far leva nel corso del cammino verso un cambiamento positivo.
Rimaniamo a sua disposizione.
Cordialmente,
mi dispiace per il suo disagio, che traspare chiaramente dalle parole che scrive.
Prima di centrare i punti sostanziali della sua richiesta, mi permetto di fare alcune premesse. Innanzitutto, la incoraggio a tenere presente che stare male psicologicamente è normale, umano, lecito e legittimo; stare male va bene, non la rende strana o patologica, ed è in un certo senso "banale", poiché condizione comune a molte più persone di quelle di cui ci rendiamo conto. Meno banale tuttavia è ammettere di stare male, ragion per cui, in secondo luogo, le rivolgo i miei complimenti per essere riuscita ad esprimere il suo vissuto interiore non solo con dovizia di particolari e sfaccettature, ma soprattutto con onestà nei confronti di se stessa prima ancora che degli altri: riconoscere di avere un problema costituisce sempre un fondamentale passo di avvio verso la sua risoluzione efficace. Infine, la invito a osservare che, soprattutto nell'ambito di una relazione sentimentale che ha incontrato ostacoli e difficoltà sin dall'inizio, il fatto di porsi domande e interrogarsi sul proprio benessere soggettivo all'interno del rapporto ("Mi sto divertendo?", "Sono nel posto giusto?", "Lo amo?", "Sono davvero contenta di stare qui?"), che lei sembra vivere come scomodo, può invece rappresentare una pratica sana e funzionale a fare il punto della situazione relazionale e verificare coscientemente se nel rapporto si sceglie di rimanere "a ragion veduta" - ovvero, perché vi si sta bene - piuttosto che in virtù di automatismi inconsapevoli. Paradossalmente, l'esercizio del dubbio entro certi limiti, o mettere in discussione la realtà del mondo guardandola da punti di vista alternativi, può essere una buona strategia per ottenere certezze più solide.
Faccio queste premesse perché mi pare di scorgere, tra le righe che ci rivolge, da un lato una tendenza a colpevolizzarsi e ad attribuirsi completamente la responsabilità del disagio attuale ("sin da subito si sono presentate problematiche, si basavano più sulla mia autostima e percezione di me", "la nostra relazione sarebbe perfetta se non a causa mia", "non so se posso fidarmi di me stessa"), dall'altro un'inclinazione a idealizzare la figura del suo ragazzo e a sollevarlo da qualsiasi eventuale contributo alla situazione spiacevole ("so di stare con una bellissima persona", "mi sta sempre vicino", "credo sia stato fin troppo paziente"). Eppure si evidenzia contemporaneamente non solo una discrepanza di interpretazioni - lei teme di non amarlo davvero, mentre lui la percepisce come troppo attaccata -, ma anche un persistenza dei suoi dubbi su di lui ("credo di amarlo, ma c’è sempre dietro la paura che questo sia falso", "mi convinco di non amarlo").
Questo non significa che il suo ragazzo sia una persona cattiva o che abbia la colpa della situazione, né che i suoi pregressi problemi di scarsa autostima non siano rilevanti e da affrontare. Tuttavia, appare inevitabile considerare che un rapporto di coppia si fa sempre in due, e che la configurazione emotiva e relazionale risente degli apporti di entrambi i membri che la compongono. Forse le si sta dunque presentando l'occasione non solo di risolvere i suoi disagi individuali, ma anche di fare chiarezza sull'effettivo benessere reciproco che esiste nella relazione con il suo ragazzo.
Probabilmente la paura dell'abbandono, che lei stessa menziona, la trattiene dal darsi delle vere risposte definitive: queste, infatti, potrebbero tanto avere l'esito più auspicabile di un proseguimento della relazione, quanto determinare più dolorosamente un'interruzione del rapporto e una conseguente separazione dal suo ragazzo. D'altra parte, si tratta di cogliere l'opportunità di acquisire maggiore consapevolezza di se stessa; una risorsa che, a lungo termine, nonostante l'apparenza scoraggiante delle avversità iniziali, conduce sempre a un'esistenza più equilibrata.
Le offro questi spunti per la riflessione e l'introspezione, ma la invito a considerare che i limiti tecnici del consulto online non consentono di effettuare un intervento esaustivo. Pertanto, poiché ci domanda come può "tornare semplicemente godersi la vita senza ansia", le suggerisco di rivolgersi a un* psicoterapeuta professionista in carne ed ossa, con cui intraprendere un percorso sistematico e strutturato in presenza fisica, modalità che dovrebbe risultare più agevole per esplorare le sollecitazioni fin qui manifestate, i contenuti delle sue ossessioni e dei suoi incubi, ed altri stimoli che dovessero emergere in seguito. L'approccio psicoterapeutico è importante perché, a differenza della cura farmacologica, non soltanto inibisce i sintomi di malessere che si palesano in superficie, ma punta ad elaborarne le cause profonde in maniera duratura.
Si rivolge a noi con la speranza che "il suo messaggio possa ricevere una risposta che la aiuti a iniziare un nuovo percorso di ricostruzione". Questa motivazione, che evidentemente non le manca, sarà una risorsa preziosa su cui far leva nel corso del cammino verso un cambiamento positivo.
Rimaniamo a sua disposizione.
Cordialmente,
Dott. Davide Giusino, Psicologo | davide.giusino@libero.it
https://psicologipuglia.it/albo-psicologi/r/giusino-davide/
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 1.4k visite dal 25/10/2023.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.