Come affrontare la rottura

ho 24 anni, da un anno in una relazione a distanza con un ragazzo di 30.
Da quando ci siamo conosciuti lui è stato preso fin da subito, in un modo che a me apparve forse esagerato, però al tempo ricordo che mi spiegai questa mia sensazione pensando che io non ero molto coinvolta.

Con il tempo mi sono innamorata, abbiamo fatto molti sforzi per vederci.

Lui ha sempre avuto delle caratteristiche peculiari, come problemi con il sonno: diceva di non riuscire mai a dormire come voleva, cosa che a me ad un certo punto iniziò a sembrare più una paranoia, anche perché iniziava ad essere piuttosto invasivo questo problema, tanto da doversi ogni volta preparare a non dormire, chiedendomi già la sera prima di riposarci un po’ il giorno dopo tra le altre cose in più uno strano rapporto con la famiglia di rifiuto e di dipendenza: Fin dall’inizio mi ha tenuta nascosta ai suoi perché diceva che aveva paura di una intrusione da parte loro nella sua sfera emotiva e di aver paura di uscirne influenzato anche nel suo giudizio poi su di me.
Con il tempo si è aperto a loro e piano piano ha raccontato loro sempre più cose di me.

Mi spiegavo la cosa come semplice bigottismo dei suoi e volontà di lui di non sentirsi pressato dalla famiglia.

Alla fine ci siamo lasciati perché lui dice si essersi sentito assorbito dalla relazione, senza che più sapesse cosa stava facendo, sentiva che faceva di tutto per far andare bene le cose, senza quasi viverle più.
Mi ha detto che sentiva la responsabilità del rapporto e insisteva su quanto fossi speciale per lui da non potersi mostrare mai davvero perché così facendo avremmo litigato di più e avrebbe rischiato di perdermi.
In un certo senso diceva di comportarsi da automa nei momenti in cui non stavamo fisicamente insieme, che non pensava più a se stesso.
lui svolge un lavoro che non lo soddisfa e si dedica quando può a studiare per altro.
Tuttavia questo studio è sempre rimasto confinato nella sua stanza, non ha mai trovato riscontro con la realtà, per molti anni.
Tanto che nel momento di rottura e di riflessione su se stesso ha iniziato a parlare di dubbi, metteva in dubbio la sua stessa passione.
Infatti tutto per lui viene vissuto come un qualcosa da mettere in discussione, anche ciò che prova e se lo prova, senza che ci siano vie di mezzo.
La cosa positiva è che la rottura con me lo ha portato a capire che doveva farsi aiutare perché stava perdendo rapporti importanti, nonostante non volesse però sentiva che era l’unico modo questo per riprendere il focus su se stesso.

Ieri ne abbiamo riparlato e mi ha detto che ha avuto la sua prima seduta; il suo terapeuta sosterrebbe la tesi di un disturbo borderline che lui tenderebbe a mascherare/nascondere con certe tattiche.

mi sento del tutto impotente di fronte a questo problema, se fino ad allora credevo che il suo fosse un modo per non ammettere di non essere innamorato di me ora capisco che non era così semplice il discorso, che lui ha davvero bisogno di aiutarsi in questo momento.
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 42.4k 1k
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Utente
Utente
Mi scusi è che io stessa non so bene, mi chiedevo tante cose, se è possibile che un terapeuta in una sola volta riscontri questo problema. Avendo cercato online mi rendo conto che ci sono dei sintomi tipici a cui consegue la diagnosi di quel tipo di disturbo, tra cui la svalutazione del partner che si trasforma in odio talvolta, gli scatti di ira o comunque una difficoltà nel controllo della rabbia in alcuni momenti.
Non sono un medico lo so ma lui non si è mai comportato in questi modi anzi è forse stato tra i due quello che più cercava di mantenere la stabilità, riconciliandosi anche quando magari ero io ad esagerare, si è sempre trattenuto per non esporsi, per paura che questo rovinasse le cose.
In più non vedo questo cambiamento di idea nei miei confronti, non nega il sentimento che nutre, si è preso la responsabilità del suo problema è non addossa a me la colpa. tutt’ora siamo ancora molto legati e lui sta affrontando con estrema difficoltà la rottura nonché il senso di colpa nei miei confronti. È difficile per entrambi ma ci rendiamo conto che certe dinamiche vanno risolte prima di poter stare serenamente insieme.
Tuttavia mi rendo conto che nonostante l’estrema profondità di questa persona è la capacità di esprimersi in modo perfettamente chiaro riguardo ciò che lo appassiona, nel momento in cui affrontiamo questi problemi il dialogo con lui diventa molto complicato, quasi incomprensibile per me a volte c’è un’estrema confusione ma credo che il punto fondamentale è che lui dichiarava di sentirsi come una specie di automa non più focalizzato su di se, troppo concentrato a far andare bene le cose tra noi, sforzandosi di adeguarsi ai miei ritmi e ai miei bisogni, in modo quasi spaventoso ai miei occhi, dato che mi ritrovo ora nel mezzo di una rottura in un momento che infondo credevo sereno
non c’è stato un momento in cui mi abbia chiaramente detto che questo dipendeva da me, in lui c’è la consapevolezza che è lui stesso ad avere lanresponsabilita di come si è sentito, della rinuncia verso se stesso e tutto ciò che ne consegue. Tutto questo finisce per coincidere col periodo della nostra relazione.
La mia domanda non è chiara perché in effetti io mi chiedo quale sia il mio ruolo in questo momento, mi spaventa pensare di provare un sentimento per qualcuno che potrebbe vivere le emozioni in quel modo, allo stesso tempo il mio non è un sentimento condizionato per cui non me la sento di eliminarlo dalla mia vita in un momento così delicato per lui, oltre al fatto che per me adesso sarebbe molto difficile farlo.
Lui sta trovando in me anche un incoraggiamento per andare in terapia.
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 42.4k 1k
Quando si hanno atteggiamenti di appoggio verso gli altri per trovare delle motivazioni per poter intraprendere percorsi di cura si crea un cortocircuito patologico di dipendenza reciproca.


In ogni caso la diagnosi va definita e vanno valutate tutte le opzioni terapeutiche possibili, e non si tratta solo di "andare in terapia" in modo generico.

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Utente
Utente
Capisco mi rendo conto che la decisione di continuare il suo percorso non può dipendere dalla mia presenza. Credevo anche però che dopotutto avendo fatto anche io queste cose in passato forse fossero le prime volte quelle più difficili, specie se in questo caso si tratta di una persona che si è sempre mostrata scettica riguardo il ricorso alla terapia.
Poi insomma credo non sia facile per chiunque sentirsi dire già così la prima volta una (possibile) diagnosi di quel tipo.
Mi chiedevo se lei ha un suo parere professionale riguardo la questione, lo so che le informazioni che le ho fornito difficilmente possono essere sufficienti per esprimersi, tuttavia mi chiedevo se comunque si fosse fatto un’idea su questa persona da ciò che ho potuto raccontarle.
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 42.4k 1k
non può chiedere pareri su persone terze come da condizioni di servizio.

Oltretutto utilizza un terminologia generica su un "percorso" che questa persona dovrebbe seguire o altre indicazioni di questo genere.

A me pare che non solo non ci sia un quadro diagnostico preciso ma anche il trattamento appare fumoso e poco chiaro.

In ciò si mette lei che vorrebbe avere conferme o disconferme sulla relazione per prendere decisioni in merito.

La questione sembra piuttosto complessa ed anche per certi versi in una relazione patologica

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