Talvolta credo di avere tutti i prodromi di una vicina schizofrenia e d'altronde non riesco più

Gentili Medici,
sono uno studente al terzo anno di medicina, anni 23. Ritenuto sempre uno studente brillante: maturità scientifica col massimo dei voti, test di medicina nelle prime posizioni, primi esami affrontati senza grossi problemi. Da circa un anno non sostengo più esami e frequento con irregolarità le lezioni. Credo di trovarmi in uno stato depressivo con annessa incapacità a trovare concentrazione e deficit di applicazione. Alla base di ciò, in verità, vi sono difficoltà psichiche che hanno radici molto profonde e riscontrabili oserei dire sin dall'infanzia: condizionamento dall'aspetto fisico, scarsa autostima, scarse capacità relazionali, condizionaento dal disagio economico. Di fatto non ho mai avuto un gruppo di amici e le poche amicizie/conoscenze si limitavano all'ambito puramente scolastico. Cercavo di compensare tali carenze prevalentemente impegnandomi con piacere nello studio nel quale ottenevo sempre buoni risultati. In questi ultmi due anni la situazione è ovviamente divenuta problematica: il crescente senso di inadeguatezza associato alla mia solitudine "cronica" e ad alcune incompresioni affettive non mi hanno permesso di mantenere i soliti ritmi con un conseguente calo del rendimento e da qui un circolo vizioso di sensi di colpa e frustrazione. Negli ultimi mesi ho azzerato praticamente ogni rapporto, trascorro intere giornate chiuso in camera spesso senza far nulla. Talvolta credo di avere tutti i prodromi di una vicina schizofrenia e d'altronde non riesco più ad immaginare un futuro, un futuro da medico accanto ai miei pazienti o da ricercatore(una delle mie poche passioni); tutto mi appare un'illusione infantile. Il mio modo di scrivere credo che vi comunichi un forte senso di aridità. Non so giudicare il mio star male. Forse appunto solo uno stato depressivo, per il quale c'è una familiarità (mia madre e mia nonna). In ogni caso una diagnosi univoca mi appare restrittiva per una situazione che si protrae in vario modo da sempre e per la quale io non conosco un valido termine di paragone. Ultimamente covo idee suicide, soffermandomi talvolta anche sui metodi (in questo la medicina, ahimè, mi aiuta). Di contro i miei sembrano aver metabolizzato il mio atteggiamento sempre più appartato e dimesso. Ho una grande paura: la situazione sembra arrivata ad un punto di rottura. Ho intenzione di recarmi da uno psichiatra (e dovrò farlo da solo, come tutto il resto) prima di poter compiere atti irrazionali o non ben valutati(come abbandonare gli studi).E' mio desiderio ritrovare fiducia nella vita (che ho sempre guardato dalla finestra) e riprendere con serietà e serenità gli studi. A voi chiedo se e come sia possibile inquadrare questa situazione da un punto di vista psichiatrico e trovare soluzioni anche farmacologiche. Ringrazio dal profondo chiunque di Voi compirà lo sforzo di leggere queste pesanti e interminabili righe: una vostra risposta mi aiuterà comunque a fare chiarezza.
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 42.4k 1k
Gentile utente

già ha analizzato e tratto conclusioni dalla sua situazione ed il prossimo passo e' recarsi da uno psichiatra per una diagnosi accurata e l'esclusione di cause non psichiatriche del suo problema.

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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45.3k 1k
Gentile utente,

alcuni degli aspetti che riferisce sono compatibili con una diagnosi di depressione, però deve essere visitato per poterlo stabilire, anche perché esistono diversi sottotipi con diverse strategie.
Dal momento che ancora è in grado di essere critico nei confronti dei contenuti negativi del pensiero, le consiglio di farsi visitare adesso, altrimenti rischia di non farlo in una eventuale fase successiva di aggravamento in cui potrebbero subentrare idee di inutilità o inerzia e non volontà di migliorare le cose.

Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini