Voglio nascondermi agli altri, non voglio uscire, mi vergogno della mia forma fisica
Salve a tutti,
sono una donna di 35 anni. Non mi peso più da lustri, ma non occorre uno specialista per vedere che sono in sovrappeso. Non ho ancora capito perché ciò mi dia tanta pena, ossia se perché non sto bene con me stessa così come sono o se per paura dei giudizi altrui, ai quali do sicuramente peso (forse troppo). Mi preoccupo sempre di cosa possano pensare gli altri, non solo relativamente alla problematica legata al mio peso corporeo, ma anche in tutti gli altri àmbiti in generale, indipendentemente che si tratti di familiari, conoscenti o sconosciuti.
Durante la mia infanzia ero magra, durante la pubertà ero in carne, poi ho sofferto di anoressia, infine sono tornata in sovrappeso. Chiaramente dietro ognuna di queste fasi si nasconde un universo di motivi, piaceri e sofferenze. Ho sofferto di depressione maggiore e di disturbi ossessivo-compulsivi. Sono stata in terapia dal 2009 al 2019, periodo durante il quale ho preso due lauree, ho vissuto tra Italia e Germania, ho ingoiato etti di farmaci. Tuttavia sento di non essere uscita dal tunnel. Sebbene le manifestazioni più macroscopiche del mio malessere sembrino essere apparentemente scomparse, dentro di me vedo sempre una bambina che piange, e quanto più passa il tempo, tanto più il suo pianto si fa disperato.
Io voglio calmare quella bambina. Voglio parlarle, giocare e fare amicizia con lei.
Scrivo da un paesino in provincia di Trapani in cui regnano sovrani il disordine, il rumore, l'ignoranza, l'ipocrisia, l'opportunismo, il pettegolezzo. Sebbene esistano anche persone a cui sono legata - al di là dei miei familiari -, tendo a non fidarmi più di loro, perché temo che possano parlare negativamente di me - in special modo della mia forma fisica - ai loro vicini, parenti, eccetera, qualora non lo avessero già fatto. E quindi non vado più dalla parrucchiera, né a comprare il pane, né a fare la spesa, né a uscire in generale, perché mi vergogno della mia forma fisica (non so, ripeto, se il malessere che provo sarebbe vivo e vegeto anche se non ci fosse nessuno là fuori che potesse giudicarmi) e per paura che gli altri mi giudichino negativamente. Si badi bene che non sono impaurita tanto del viavai di informazioni su di me in sé e per sé, quanto del fatto che la notizia (per qualcuno potrebbe essere una novità) dell'essere in sovrappeso possa essere recepita da qualcuno che associa un'etichetta negativa a chi soffre di questo disturbo.
Non ho più la voglia, né la forza di sottopormi a diete forzate. Tra l'altro non mangio nemmeno chissà quanto, né sto seduta tutto il giorno davanti al computer.
Vi chiedo gentilmente delle proposte per farmi stare meglio. Devo ritornare dalla psicoterapeuta? Meglio uno psichiatra? C'è qualcosa che posso fare anche senza il supporto psicoterapeutico?
Grazie mille in anticipo per il Vostro prezioso aiuto.
Cordiali saluti.
sono una donna di 35 anni. Non mi peso più da lustri, ma non occorre uno specialista per vedere che sono in sovrappeso. Non ho ancora capito perché ciò mi dia tanta pena, ossia se perché non sto bene con me stessa così come sono o se per paura dei giudizi altrui, ai quali do sicuramente peso (forse troppo). Mi preoccupo sempre di cosa possano pensare gli altri, non solo relativamente alla problematica legata al mio peso corporeo, ma anche in tutti gli altri àmbiti in generale, indipendentemente che si tratti di familiari, conoscenti o sconosciuti.
Durante la mia infanzia ero magra, durante la pubertà ero in carne, poi ho sofferto di anoressia, infine sono tornata in sovrappeso. Chiaramente dietro ognuna di queste fasi si nasconde un universo di motivi, piaceri e sofferenze. Ho sofferto di depressione maggiore e di disturbi ossessivo-compulsivi. Sono stata in terapia dal 2009 al 2019, periodo durante il quale ho preso due lauree, ho vissuto tra Italia e Germania, ho ingoiato etti di farmaci. Tuttavia sento di non essere uscita dal tunnel. Sebbene le manifestazioni più macroscopiche del mio malessere sembrino essere apparentemente scomparse, dentro di me vedo sempre una bambina che piange, e quanto più passa il tempo, tanto più il suo pianto si fa disperato.
Io voglio calmare quella bambina. Voglio parlarle, giocare e fare amicizia con lei.
Scrivo da un paesino in provincia di Trapani in cui regnano sovrani il disordine, il rumore, l'ignoranza, l'ipocrisia, l'opportunismo, il pettegolezzo. Sebbene esistano anche persone a cui sono legata - al di là dei miei familiari -, tendo a non fidarmi più di loro, perché temo che possano parlare negativamente di me - in special modo della mia forma fisica - ai loro vicini, parenti, eccetera, qualora non lo avessero già fatto. E quindi non vado più dalla parrucchiera, né a comprare il pane, né a fare la spesa, né a uscire in generale, perché mi vergogno della mia forma fisica (non so, ripeto, se il malessere che provo sarebbe vivo e vegeto anche se non ci fosse nessuno là fuori che potesse giudicarmi) e per paura che gli altri mi giudichino negativamente. Si badi bene che non sono impaurita tanto del viavai di informazioni su di me in sé e per sé, quanto del fatto che la notizia (per qualcuno potrebbe essere una novità) dell'essere in sovrappeso possa essere recepita da qualcuno che associa un'etichetta negativa a chi soffre di questo disturbo.
Non ho più la voglia, né la forza di sottopormi a diete forzate. Tra l'altro non mangio nemmeno chissà quanto, né sto seduta tutto il giorno davanti al computer.
Vi chiedo gentilmente delle proposte per farmi stare meglio. Devo ritornare dalla psicoterapeuta? Meglio uno psichiatra? C'è qualcosa che posso fare anche senza il supporto psicoterapeutico?
Grazie mille in anticipo per il Vostro prezioso aiuto.
Cordiali saluti.
[#1]
Cominci col prendere appuntamento con uno psichiatra, poi valuterete insieme da dove iniziare un percorso. Ha due lauree, ha vissuto all'estero, sa fare immagino tante cose e resta in casa a rimuginare sul passato, terrorizzata da possibili giudizi dei compaesani. Cosa consiglierebbe a una persona in questa situazione che le chiedesse consiglio? Non credo che le direbbe: "devi farcela da sola, senza farmaci né psicoterapia, alzati e cammina". Ora ha bisogno di aiuto, e quando starà meglio potrà sfruttare le risorse che ha e che al momento non riesce a utilizzare.
Franca Scapellato
[#2]
Utente
Gent.ma Dottoressa,
La ringrazio per la risposta. In questo momento mi trovo in Sicilia per visitare mia madre e mio fratello, ma risiedo stabilmente in Germania, ove ho già preso contatto con uno psichiatra. Quest'ultimo, tuttavia, durante la seduta mi ha comunicato che:
1) La figura dello psichiatra in Germania non è come quella dello psichiatra in Italia, nel senso che il percorso più adatto lo devo trovare con uno psicoterapeuta;
2) La dosi dei farmaci che prendo tuttora sono quasi al minimo e che non sarebbe un dramma (!) qualora non riuscissi a liberarmi di loro [assumo 75 mg/die di sertralina al mattino e 5 mg/die di aripiprazolo alla sera];
Diciamo che sono stanca di dover giustificare ogni giorno, ogni volta che esco le mie scelte all'ottusa società. Sono stanca di dover rendere conto del mio passato, del mio presente e di come immagino che possa essere il mio futuro a uno psicoterapeuta o a uno psichiatra o, in generale, a qualsiasi specialista del settore.
Sono tuttavia consapevole del fatto che tali figure professionali costituiscano un aiuto per uscire prima e meglio da situazioni di dolore o comunque spiacevoli, anche se la mia esperienza (anche in Italia) dice diversamente.
La ringrazio ancora dell'aiuto offertomi e Le auguro una buona giornata.
Cordiali saluti.
La ringrazio per la risposta. In questo momento mi trovo in Sicilia per visitare mia madre e mio fratello, ma risiedo stabilmente in Germania, ove ho già preso contatto con uno psichiatra. Quest'ultimo, tuttavia, durante la seduta mi ha comunicato che:
1) La figura dello psichiatra in Germania non è come quella dello psichiatra in Italia, nel senso che il percorso più adatto lo devo trovare con uno psicoterapeuta;
2) La dosi dei farmaci che prendo tuttora sono quasi al minimo e che non sarebbe un dramma (!) qualora non riuscissi a liberarmi di loro [assumo 75 mg/die di sertralina al mattino e 5 mg/die di aripiprazolo alla sera];
Diciamo che sono stanca di dover giustificare ogni giorno, ogni volta che esco le mie scelte all'ottusa società. Sono stanca di dover rendere conto del mio passato, del mio presente e di come immagino che possa essere il mio futuro a uno psicoterapeuta o a uno psichiatra o, in generale, a qualsiasi specialista del settore.
Sono tuttavia consapevole del fatto che tali figure professionali costituiscano un aiuto per uscire prima e meglio da situazioni di dolore o comunque spiacevoli, anche se la mia esperienza (anche in Italia) dice diversamente.
La ringrazio ancora dell'aiuto offertomi e Le auguro una buona giornata.
Cordiali saluti.
[#3]
50 mg di sertralina è la dose minima efficace, lei ne assume 75 mg, non proprio una dose bassa. Aripiprazolo è un tranquillante maggiore, la dose è bassa, ma da qui a pensare che si possa sospendere tutto in un momento in cui non sta bene ce ne corre. Nella psicoterapia non si deve rendere conto a nessuno. Se parliamo ad esempio della psicoterapia cognitiva si esaminano i problemi e si collabora per trovare soluzioni utili. Le due cose, terapia farmacologica e psicoterapia, possono essere associate.
Franca Scapellato
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 2.1k visite dal 16/06/2022.
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