Proposta psicofarmaci dopo 5 mesi di psicoterapia
mi sono rivolta ad una psicoterapeuta circa 5 mesi fa, ad oggi non ho ottenuto alcun risultato (si parla di "nucleo depressivo").
Durante l'ultima seduta mi è stata proposta l'idea di intraprendere un percorso farmacologico, per aiutare a sbloccarmi e far funzionare meglio la psicoterapia, che sembra non decollare.
Da una parte mi sto prendendo del tempo per riflettere, dall'altra mi chiedo se questo ricorrere ai farmaci non sia soltanto una sorta di ammissione di fallimento della terapeuta ed un aiuto più a lei che a me.
Del tipo "da sola non riesco a sbrogliare la situazione della paziente, mi aiuto con il farmaco".
È un dubbio legittimo o può essere normale indirizzare verso gli psicofarmaci anche dopo pochi mesi di terapia?
Non avessi problemi economici, avrei preso in considerazione l'idea di cambiar terapeuta, ma non posso fare altri mesi "di prova" per vedere con chi funziona e con chi no.
Dr.Matteo Pacini
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È da 5 mesi che sto in terapia, la terapeuta ha parlato di "nucleo depressivo" perché è un problema che mi porto dietro da svariati anni, questo sì.
Chiaro che se dopo 5 anni di terapia mi avessero proposto i farmaci non avrei esitato, se invece mi si propongono dopo 5 mesi (neanche, perché ho iniziato a giugno ma circa 3 sedute le ho perse) allora mi chiedo se questo non sia una sorta di agevolazione per la terapeuta (quindi il suo fallimento nel non riuscire a trattarmi senza l'aiuto dei farmaci, non il mio) più che un beneficio per me.
Dr.Matteo Pacini
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Nel corso di psicoterapia il quadro clinico dovrebbe essere chiaro già in 3 sedute e l’indirizzamento dovrebbe avvenire prima dei cinque mesi citati.
Purtroppo, i pregiudizi e le resistenze dei pazienti sono il motivo per cui non si viene indirizzati per tempo.
Dr. F. S. Ruggiero
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Ora non so quanta differenza faccia per me sentirsi dire "siamo di fronte ad un nucleo depressivo" quando so bene di aver sofferto di depressione on and off per circa 10 anni anche senza che nessuno me lo dicesse, però è la sfiducia di base nella terapeuta e nelle sue competenze che mi porta a chiedermi se sia il caso di buttarmi in un percorso farmacologico solo perché me lo dice la prima terapeuta che incontro nella mia vita.
So di essere molto resistente all'idea di prendere farmaci, così come mi ritrovo ad opporre (inconscia) resistenza anche alla psicoterapia, secondo la mia terapeuta, ed è proprio qui il nodo. Secondo lei ho bisogno dei farmaci per "sbloccare" questa resistenza che ho costruito con anni di pensieri disfunzionali, io mi chiedo se non sia semplicemente la sua incapacità nello sbloccarmi (perché questo io mi aspettavo dalla psicoterapia) a portarla a considerare l'idea del farmaco.
Immaginare il farmaco come il mostro da evitare è il suo problema principale.
Anche i ragionamenti che fa possono essere considerati resistenza, ma il problema non è la resistenza in sé ma la eleggibilità alla psicoterapia che andava valutata preventivamente.
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Questo significa quindi che sono io a non essere "adatta" alla psicoterapia in generale o che dovrei rivolgermi a chi ha un altro metodo? E se il caso fosse il primo, ossia che io non sia un soggetto adatto o pronto alla psicoterapia, quale sarebbe l'alternativa?
Da persona adulta dovrebbe comprendere che le viene fornita una indicazione corretta ma vuole continuare a discuterne tanto è che apre un consulto fotocopia in altra area.
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Dr.Matteo Pacini
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