Disturbo somatoforme in fase acuta

Salve gentili dottori,

ho già scritto in proposito e vorrei un consiglio.
Circa due mesi fa è finita, non per mia volontà, una relazione a cui tenevo molto: da quel momento il disturbo da sintomi somatici di cui soffro da anni ma che controllavo più che discretamente con daparox (20 mg) e trittico la sera (50 mg) è tornato in fase acuta.
La psichiatra che mi segue nell'ultima visita svoltasi un mese fa, non ha ritenuto di modificare la terapia, perché riteneva il tutto legato alla recente perdita affettiva.
Il problema è che passato un mese, non noto miglioramenti, anzi, oltre ai sintomi fisici sono aumentate le idee disfunzionali: penso che non mi riprenderò più, che per tutta la vita soffrirò di questo disturbo, che anche se ritengo la diagnosi certa le cure non sempre sono efficaci e meno che mai risolutive... etc.
Cerco ogni giorno di fare qualche attività ignorando il senso di malessere: mi sforzo di applicare il "pensiero positivo" e pratico con costanza il training autogeno ma tutto questo sembra non funzionare... a volte mi sento così sfinita che vorrei solo stare nel letto a riposare.

La mia domanda è: vale la pena, ha un senso tutta questa fatica per "ignorare" il disturbo oppure, dato che non dipende dalla mia volontà (perché io vorrei stare bene!) posso rinunciare alla lotta in attesa che la psichiatra mi adegui la terapia farmacologica?

Grazie dell'attenzione.
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Dr.ssa Franca Scapellato Psichiatra, Psicoterapeuta 4k 202
Dato che è passato un mese dall'ultima visita sarebbe utile consultare di nuovo la sua psichiatra.
In questo periodo sta vivendo un lutto per la perdita di un affetto importante, e la rielaborazione del lutto richiede mesi. E' triste, è arrabbiata, ha paura di restare sola? Da quanto riferisce si concentra sul fisico e sulle tecniche per non pensare al disturbo somatoforme. Così il lutto resta sepolto nel subconscio, cristallizzato, e continua a fare danni.

Franca Scapellato

[#2]
Utente
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Gentile dott.ssa Scapellato,
vedrò a brevissimo la mia psichiatra.
Di sicuro cerco di non pensare alla mia relazione interrotta: quando mi viene in mente ho dei brevi momenti di tristezza; non posso essere e non sono arrabbiata con l'uomo che mi ha allontanato perché ha un tumore al pancreas e non si sente più in grado di offrirmi un futuro... non ho paura di rimanere sola perché ho sempre mio marito, mio figlio e la mia famiglia d'origine che mi stanno accanto e sono pazienti e comprensivi con me.
La rabbia la provo principalmente nei confronti di questo disturbo che mi sta rendendo amara la vita.
Grazie per avermi suggerito una nuova e diversa chiave di lettura per quello che mi sta succedendo.