Disturbo bipolare di tipo ii
Gent.mi Medici,
ciò che mi spinge a scrivere è la richiesta di un Vostro parere sulla situazione disastrosa in cui tutta la mia famiglia purtroppo si trova da anni.
La mia famiglia è composta da me (24 anni), mio fratello diciassettenne, mio padre (62 anni), e mia madre, cinquantaseienne ed affetta (secondo molteplici diagnosi) da disturbo bipolare di tipo II. Ha avuto la prima crisi maniacale circa 8 anni fa, a menopausa inoltrata, e fino ad un anno fa ha alternato fasi depressive (in inverno e primavera) e fasi maniacali (in estate e autunno). L'iter sarebbe troppo lungo da esporre, dunque cercherò di limitarmi allo stretto indispensabile: una miriade di diversi medici e diverse terapie farmacologiche (psichiatri e psicologi, privati e del CSM), vari ricoveri, di cui 2 in TSO, vari percorsi psicoterapeutici iniziati e mai conclusi.
Le sue fasi depressive duravano ininterrottamente per dei mesi (da novembre circa fino a maggio, generalmente), e corrispondevano al periodo in cui si sentiva fisicamente debole ed accettava il cocktail di farmaci prescritti, che io e mio padre le somministravamo: generalmente uno stabilizzante (spesso Depakin, a dosi che variavano dai 400 mg ai 600 mg giornalieri), un antidepressivo (Cipralex e Prozac fra gli ultimi), un antipsicotico (negli ultimi due anni il Seroquel, con effetti positivi, dai 50 ai 75 mg al dì), ed un ansiolitico (Tavor o Lorans). Durante questo periodo di terapia passava almeno 18 ore a letto, dormendo o quasi; tale fase si spezzava improvvisamente verso maggio, in cui si alzava improvvisamente dal letto, aveva voglia di fare, si prendeva nuovamente cura della sua persona (igiene ed aspetto fisico), riprendeva a mangiare regolarmente, a parlare, scherzare, interessarsi di ciò che la circondava, a fare le faccende di casa, ad uscire e prendersi cura della casa e dei figli.
Non abbiamo mai capito se questa fase corrispondesse o meno con l'interruzione dei farmaci (non ce ne siamo mai accorti in tempo), ma nel giro di una quindicina di giorni questo stato di benessere diventava iperattività, ed era solo allora che ci accorgevamo che in realtà aveva interrotto completamente la terapia, ed ogni nuovo tentativo di somministrazione cadeva nel vuoto.
Qui aveva inizio la sua fase maniacale, che alle prime si manifestava con una drastica riduzione del sonno, con bigliettini (man mano sempre più frequenti) su cui scriveva parole e frasi sconnesse e quasi deliranti; parlava da sola, diventava prepotente ed arrogante (fino a rasentare l'aggressività), finché non degenerava in allucinazioni e delirio vero e proprio.
Le ultime due estati hanno visto due TSO, poiché la situazione si era fatta insostenibile, lei era diventata aggressiva (fino a picchiare e minacciare con coltelli), sfregiando più volte l'automobile di mio padre, era presa da crisi di panico e di persecuzione, da cleptomania, rifiutando categoricamente la sua malattia e qualsiasi farmaco, che vedeva come veleno.
Questi sono i tratti principali della sua fase maniacale, che dall'ultimo TSO (novembre 2005) non ha più avuto interruzioni, se non brevi e decisamente blande: dallo scorso novembre non ha più seguito regolarmente una cura e rifiuta i farmaci da chiunque, anche dagli infermieri del CSM che venivano a somministrarli domiciliarmente, e loro - ovviamente - non hanno insistito più di tanto.
Il suo stato di salute è stato probabilmente aggravato dall'insorgenza (da due anni a questa parte) del diabete di tipo II, per il quale le è stato somministrato il Metbay da prendere dopo ogni pasto: purtroppo rifiuta anche quello.
Attualmente la sua vita è completamente sregolata e non riusciamo a contenerla in nessun modo: prende una dozzina di caffè al giorno, fuma 3 pacchetti di sigarette al giorno, rischia il coma diabetico, ed è assente: parla da sola, si fissa a guardare il vuoto, ma soprattutto è aggressiva (la scorsa settimana in piena fase di delirio è arrivata a volermi soffocare).
La gestione della situazione è ahimé in mano mia, poiché mio padre è inerme e subisce passivamente la malattia di mia madre, mio fratello è ancora adolescente e sopratutto parzialmente depresso, a causa di questa pesante situazione. La famiglia di mia madre vive a 150 km di distanza e non si può contare sul loro appoggio.
Ieri ho avuto un incontro al CSM con lo psichiatra e l'assistente sociale, e ne sono uscita decisamente sconfortata. Tutto ciò che hanno saputo propormi è stato un ennesimo TSO, che io e mio padre però rifiutiamo perché non fa che esacerbare il delirio di mia madre. La strada del ricovero volontario o della comunità terapeutica è purtroppo impraticabile perché lei non dà il suo consenso.
Ciò che chiedo a Voi, gentili Medici, è qualche consiglio per uscire da questa disastrosa situazione, poiché io non so più come agire, e soprattutto non sostengo più questo peso, considerando che sono io ora a gestire la casa: abbiamo tentato una volta di affiancarle una badante, ma lei l'ha presa decisamente male e non ha fatto che aumentare il suo delirio, convinta che fosse l'amante di mio padre. Non riesco a portare avanti i miei studi universitari, ad avere una vita sociale, e sopratutto a pensare ad un mio futuro, ad una famiglia: io e il mio ragazzo vorremmo presto sposarci ed avere dei bambini, ma allo stato attuale delle cose, ciò non è neanche lontanamente pensabile.
Detto questo, mi scuso per la prolissità, ma non ho saputo essere più concisa vista l'intenzione di fornirVi un quadro il più dettagliato possibile.
C'è qualche strada percorribile visto il rifiuto di mia madre per qualsiasi tipo di terapia, ricovero e cura?
C'è qualcosa in soluzione orale che potrei somministrarle di nascosto oltre il Serenase - che tra l'altro non le fa nessun effetto - per placarla nell'immediato?
Qualsiasi Vostro intervento sarà sinceramente gradito, e Vi ringrazio già da ora se vorrete essermi d'aiuto.
Cordiali saluti.
ciò che mi spinge a scrivere è la richiesta di un Vostro parere sulla situazione disastrosa in cui tutta la mia famiglia purtroppo si trova da anni.
La mia famiglia è composta da me (24 anni), mio fratello diciassettenne, mio padre (62 anni), e mia madre, cinquantaseienne ed affetta (secondo molteplici diagnosi) da disturbo bipolare di tipo II. Ha avuto la prima crisi maniacale circa 8 anni fa, a menopausa inoltrata, e fino ad un anno fa ha alternato fasi depressive (in inverno e primavera) e fasi maniacali (in estate e autunno). L'iter sarebbe troppo lungo da esporre, dunque cercherò di limitarmi allo stretto indispensabile: una miriade di diversi medici e diverse terapie farmacologiche (psichiatri e psicologi, privati e del CSM), vari ricoveri, di cui 2 in TSO, vari percorsi psicoterapeutici iniziati e mai conclusi.
Le sue fasi depressive duravano ininterrottamente per dei mesi (da novembre circa fino a maggio, generalmente), e corrispondevano al periodo in cui si sentiva fisicamente debole ed accettava il cocktail di farmaci prescritti, che io e mio padre le somministravamo: generalmente uno stabilizzante (spesso Depakin, a dosi che variavano dai 400 mg ai 600 mg giornalieri), un antidepressivo (Cipralex e Prozac fra gli ultimi), un antipsicotico (negli ultimi due anni il Seroquel, con effetti positivi, dai 50 ai 75 mg al dì), ed un ansiolitico (Tavor o Lorans). Durante questo periodo di terapia passava almeno 18 ore a letto, dormendo o quasi; tale fase si spezzava improvvisamente verso maggio, in cui si alzava improvvisamente dal letto, aveva voglia di fare, si prendeva nuovamente cura della sua persona (igiene ed aspetto fisico), riprendeva a mangiare regolarmente, a parlare, scherzare, interessarsi di ciò che la circondava, a fare le faccende di casa, ad uscire e prendersi cura della casa e dei figli.
Non abbiamo mai capito se questa fase corrispondesse o meno con l'interruzione dei farmaci (non ce ne siamo mai accorti in tempo), ma nel giro di una quindicina di giorni questo stato di benessere diventava iperattività, ed era solo allora che ci accorgevamo che in realtà aveva interrotto completamente la terapia, ed ogni nuovo tentativo di somministrazione cadeva nel vuoto.
Qui aveva inizio la sua fase maniacale, che alle prime si manifestava con una drastica riduzione del sonno, con bigliettini (man mano sempre più frequenti) su cui scriveva parole e frasi sconnesse e quasi deliranti; parlava da sola, diventava prepotente ed arrogante (fino a rasentare l'aggressività), finché non degenerava in allucinazioni e delirio vero e proprio.
Le ultime due estati hanno visto due TSO, poiché la situazione si era fatta insostenibile, lei era diventata aggressiva (fino a picchiare e minacciare con coltelli), sfregiando più volte l'automobile di mio padre, era presa da crisi di panico e di persecuzione, da cleptomania, rifiutando categoricamente la sua malattia e qualsiasi farmaco, che vedeva come veleno.
Questi sono i tratti principali della sua fase maniacale, che dall'ultimo TSO (novembre 2005) non ha più avuto interruzioni, se non brevi e decisamente blande: dallo scorso novembre non ha più seguito regolarmente una cura e rifiuta i farmaci da chiunque, anche dagli infermieri del CSM che venivano a somministrarli domiciliarmente, e loro - ovviamente - non hanno insistito più di tanto.
Il suo stato di salute è stato probabilmente aggravato dall'insorgenza (da due anni a questa parte) del diabete di tipo II, per il quale le è stato somministrato il Metbay da prendere dopo ogni pasto: purtroppo rifiuta anche quello.
Attualmente la sua vita è completamente sregolata e non riusciamo a contenerla in nessun modo: prende una dozzina di caffè al giorno, fuma 3 pacchetti di sigarette al giorno, rischia il coma diabetico, ed è assente: parla da sola, si fissa a guardare il vuoto, ma soprattutto è aggressiva (la scorsa settimana in piena fase di delirio è arrivata a volermi soffocare).
La gestione della situazione è ahimé in mano mia, poiché mio padre è inerme e subisce passivamente la malattia di mia madre, mio fratello è ancora adolescente e sopratutto parzialmente depresso, a causa di questa pesante situazione. La famiglia di mia madre vive a 150 km di distanza e non si può contare sul loro appoggio.
Ieri ho avuto un incontro al CSM con lo psichiatra e l'assistente sociale, e ne sono uscita decisamente sconfortata. Tutto ciò che hanno saputo propormi è stato un ennesimo TSO, che io e mio padre però rifiutiamo perché non fa che esacerbare il delirio di mia madre. La strada del ricovero volontario o della comunità terapeutica è purtroppo impraticabile perché lei non dà il suo consenso.
Ciò che chiedo a Voi, gentili Medici, è qualche consiglio per uscire da questa disastrosa situazione, poiché io non so più come agire, e soprattutto non sostengo più questo peso, considerando che sono io ora a gestire la casa: abbiamo tentato una volta di affiancarle una badante, ma lei l'ha presa decisamente male e non ha fatto che aumentare il suo delirio, convinta che fosse l'amante di mio padre. Non riesco a portare avanti i miei studi universitari, ad avere una vita sociale, e sopratutto a pensare ad un mio futuro, ad una famiglia: io e il mio ragazzo vorremmo presto sposarci ed avere dei bambini, ma allo stato attuale delle cose, ciò non è neanche lontanamente pensabile.
Detto questo, mi scuso per la prolissità, ma non ho saputo essere più concisa vista l'intenzione di fornirVi un quadro il più dettagliato possibile.
C'è qualche strada percorribile visto il rifiuto di mia madre per qualsiasi tipo di terapia, ricovero e cura?
C'è qualcosa in soluzione orale che potrei somministrarle di nascosto oltre il Serenase - che tra l'altro non le fa nessun effetto - per placarla nell'immediato?
Qualsiasi Vostro intervento sarà sinceramente gradito, e Vi ringrazio già da ora se vorrete essermi d'aiuto.
Cordiali saluti.
[#1]
credo davvero che la situazione sia molto complicata e capisco le sue difficoltà.
credo che in un caso come questo la cosa più utile da fare sia introdurre una terapia depot, un' iniezione di neurolettico che si fa ogni 20-30 giorni al CSM o eventualemente a domicilio. la terapia depot viene usata quando i malati non hanno coscienza di malattia e non accettano di curarsi anche se ne avrebbero bisogno. dare farmaci di nascosto non va bene.
in questo momento se la mamma non può essere contenuta in nessun modo, non vedo comunque altra soluzione che il TSO, magari con l'obiettivo di fare un breve ricovero e iniziare la terapia depot.
credo che in un caso come questo la cosa più utile da fare sia introdurre una terapia depot, un' iniezione di neurolettico che si fa ogni 20-30 giorni al CSM o eventualemente a domicilio. la terapia depot viene usata quando i malati non hanno coscienza di malattia e non accettano di curarsi anche se ne avrebbero bisogno. dare farmaci di nascosto non va bene.
in questo momento se la mamma non può essere contenuta in nessun modo, non vedo comunque altra soluzione che il TSO, magari con l'obiettivo di fare un breve ricovero e iniziare la terapia depot.
Gaspare Palmieri
[#2]
Utente
Ringrazio per la cortese e celere risposta, ma un dubbio è sorto e vorrei esporlo: per quanto ho potuto documentarmi in questi anni - e mi corregga se sbaglio - i neurolettici hanno la funzione di inibizione della sintomatologia, piuttosto che di cura, e se davvero fosse così non c'è altra via che l'inibizione?
Ho sempre ritenuto mia madre come soggetto recuperabile, visto che - nonostante la gravità del suo stato - i suoi momenti di lucidità superano di gran lunga quelli di offuscamento.
Inoltre, se è vero che il trattamento sanitario è volontario, non vi rientra anche la via intramuscolare? Mia madre, rifiutando i farmaci per via orale, rifiuterebbe a maggior ragione i farmaci per iniezione; considerando soprattutto il fatto che questa via è già stata intrapresa una volta, nei primi anni della malattia, con 3 iniezioni quindicinali di Haldol, che le hanno dato pesanti effetti collaterali come un esagerato aumento di peso, ipertensione, palpitazioni, tremori e acatisia, i quali sono scomparsi solo dopo alcuni mesi.
Mantenendo il ricordo di quell'esperienza, credo che questa soluzione sia più difficile a dirsi che a farsi.
Ho sempre ritenuto mia madre come soggetto recuperabile, visto che - nonostante la gravità del suo stato - i suoi momenti di lucidità superano di gran lunga quelli di offuscamento.
Inoltre, se è vero che il trattamento sanitario è volontario, non vi rientra anche la via intramuscolare? Mia madre, rifiutando i farmaci per via orale, rifiuterebbe a maggior ragione i farmaci per iniezione; considerando soprattutto il fatto che questa via è già stata intrapresa una volta, nei primi anni della malattia, con 3 iniezioni quindicinali di Haldol, che le hanno dato pesanti effetti collaterali come un esagerato aumento di peso, ipertensione, palpitazioni, tremori e acatisia, i quali sono scomparsi solo dopo alcuni mesi.
Mantenendo il ricordo di quell'esperienza, credo che questa soluzione sia più difficile a dirsi che a farsi.
[#3]
Psichiatra, Psicoterapeuta
Carissima utente 16743, io penso che il CSM locale deve prendersi cura totalmente del problema; si tratta, cioè, di una presa in carico che presupone un'assistenza continua e continuata. Sua madre ha bisogno di un contenimento farmacologico che sia inteso come quella fase iniziale e fondamentale che consenta di attuare anche una terapia basata sul sostegno psicologico, in questa caso, esteso a tutta la famiglia. Io consiglierei, visto che le fasi della malattia sono prevedibili, di sfruttare quel breve periodo, credo 15 giorni, di apparente equilibrio per iniziare una terapia farmacologica in grado di prevenire l'insorgenza della crisi maniacale. A questi scopo va molto bene il Litio, o il Tolep o altri farmaci. IO credo che se le strutture sanitarie pubbliche fanno il loro dovere e sono professionalmente affidabili il problema può essere, non dico risolto, ma affrontato correttamente, fino al punto da garantire un minimo di ordine e di equilibrio in una famiglia dove ora regna il caos. Rimango a disposizione per ogni chiarimento e porgo i miei auguri per una reale risoluzione del problema
[#5]
Utente
Gentilissimi Dottori,
i Vostri interventi giungono molto graditi, e Vi ringrazio per la cortese attenzione al problema che Vi ho esposto.
Purtroppo mi duole farlo in questa sede, ma mi preme molto denunciare un comportamento decisamente poco solerte da parte del personale medico del CSM locale.
Terapie appropriate hanno a volte dato i loro frutti (Depakin e Seroquel hanno avuto effetti benefici), ma nel momento in cui inizia il rifiuto di mia madre, il CSM fa presto a lavarsene le mani, lasciandoci in balia della sua malattia, che - è chiaro ormai - non sappiamo per nulla gestire (ed è probabilmente normale).
La noncuranza dell'équipe di medici ed infermieri del CSM si è manifestata in svariate occasioni.
In primo luogo nella rarità ed occasionalità in cui si prestano a visite domiciliari (5 o 6 volte in 8 anni), sempre e solo in sporadici episodi gravi ed incontenibili, attuando il TSO o intervenendo con un'iniezione sedativa senza poi darci altro supporto. Inoltre, considerando che se lei si rifiuta di andare alla breve visita quindicinale in sede, mi resta difficile caricarla di peso e portarcela contro la sua volontà.
La loro noncuranza si è manifestata in secondo luogo nella somministrazione domiciliare della terapia in seguito ai TSO da parte del personale infermieristico, che ben consapevole del rifiuto da parte di mia madre, non ha mai controllato che effettivamente la assumesse, tanto che eravamo noi ad accorgerci dei fazzoletti pieni di compresse. Senza contare che, una volta scoperta, non ci metteva molto a cacciarli via, e per contro loro non ci hanno mai messo molto a sparire improvvisamente, salutandoci con un secco "arrivederci, purtroppo se lei si rifiuta per noi è solo una perdita di tempo".
E qui mi fermo.
Vogliate scusarmi se questa denuncia apparirà fuori luogo, ma mi premeva sottolineare la nostra solitudine e sconsolazione di fronte al ben limitato aiuto che recepiamo da parte del CSM, sia verso mia madre in quanto malata, sia verso di noi in quanto famiglia in evidenti e pesanti difficoltà.
A chi poterci rivolgere per contare in un effettivo aiuto nella somministrazione di un'appropriata terapia e soprattutto nell'assistenza nei momenti di recalcitranza senza dover convivere per tutta la vita con l'ombra di continui ed estenuanti TSO?
i Vostri interventi giungono molto graditi, e Vi ringrazio per la cortese attenzione al problema che Vi ho esposto.
Purtroppo mi duole farlo in questa sede, ma mi preme molto denunciare un comportamento decisamente poco solerte da parte del personale medico del CSM locale.
Terapie appropriate hanno a volte dato i loro frutti (Depakin e Seroquel hanno avuto effetti benefici), ma nel momento in cui inizia il rifiuto di mia madre, il CSM fa presto a lavarsene le mani, lasciandoci in balia della sua malattia, che - è chiaro ormai - non sappiamo per nulla gestire (ed è probabilmente normale).
La noncuranza dell'équipe di medici ed infermieri del CSM si è manifestata in svariate occasioni.
In primo luogo nella rarità ed occasionalità in cui si prestano a visite domiciliari (5 o 6 volte in 8 anni), sempre e solo in sporadici episodi gravi ed incontenibili, attuando il TSO o intervenendo con un'iniezione sedativa senza poi darci altro supporto. Inoltre, considerando che se lei si rifiuta di andare alla breve visita quindicinale in sede, mi resta difficile caricarla di peso e portarcela contro la sua volontà.
La loro noncuranza si è manifestata in secondo luogo nella somministrazione domiciliare della terapia in seguito ai TSO da parte del personale infermieristico, che ben consapevole del rifiuto da parte di mia madre, non ha mai controllato che effettivamente la assumesse, tanto che eravamo noi ad accorgerci dei fazzoletti pieni di compresse. Senza contare che, una volta scoperta, non ci metteva molto a cacciarli via, e per contro loro non ci hanno mai messo molto a sparire improvvisamente, salutandoci con un secco "arrivederci, purtroppo se lei si rifiuta per noi è solo una perdita di tempo".
E qui mi fermo.
Vogliate scusarmi se questa denuncia apparirà fuori luogo, ma mi premeva sottolineare la nostra solitudine e sconsolazione di fronte al ben limitato aiuto che recepiamo da parte del CSM, sia verso mia madre in quanto malata, sia verso di noi in quanto famiglia in evidenti e pesanti difficoltà.
A chi poterci rivolgere per contare in un effettivo aiuto nella somministrazione di un'appropriata terapia e soprattutto nell'assistenza nei momenti di recalcitranza senza dover convivere per tutta la vita con l'ombra di continui ed estenuanti TSO?
[#6]
Gentile Utente,
premetto che non ho mai visitato Sua madre pertanto certi miei giudizi devono essere presi con il beneficio del dubbio, tuttavia le dosi dei farmaci che Lei ha riferito mi sembrano decisamente basse (soprattutto per la quetiapina, che a dosi basse può attivare invece che sedare), inoltre non ha fatto alcun riferimento al dosaggio nel sangue del Depakin (acido valproico) fondamentale per verificare la correttezza delle dosi utilizzatate di questo prodotto. Nei pazienti bipolari di tipo I (la sua madre ha questo tipo di diagnosi se ha avuto delle fasi maniacali e dei TSO dato che la forma di tipo II ha solo fasi maniacali attenuate che spesso non richiedono neppure l'ospedalizzazione) a volte è necessario provvedere ad una terapia combinata con due regolatori dell'umore. Nella fattispecie sarebbe interessante l'uso dei sali di litio vista la tendenza di sua madre ad avere delle fasi maniacali e depressive (e non miste) con una frequenza non particolarmente elevata nel tempo. Nel caso di scarsa collaborazione del paziente è necessario che la famiglia o il personale infermieristico del CSM organizzi la somministrazione assistita dei farmaci per essere certi della corretta assunzione. C'è la possibilità oggi di utilizzare farmaci antipsicotici a lento rilascio (depot) per via iniettiva di II generazione (risperidone) che non sono gravati dai pesanti effetti extrapiramidali dei precedenti Haldol, Moditen, Clopixol ecc., per cui anche questa potrebbe essere una strategia. L'uso infine degli antidepressivi deve essere in casi come questo possibilmente evitata data la possibilità di indurre una maggiore ciclicità degli episodi; qualora sia necessario inserirli è opportuno scegliere molecole non particolarmente disinibenti (farmaci come escitalopram, sertralina e fluoxetina non sono indicati)come per esempio la fluvoxamina (Fevarin) o la Mirtazapina (Remeron) o associazioni con antipsicotici (es Mutabon).
Cordialio saluti.
Dr. Claudio Lorenzetti
premetto che non ho mai visitato Sua madre pertanto certi miei giudizi devono essere presi con il beneficio del dubbio, tuttavia le dosi dei farmaci che Lei ha riferito mi sembrano decisamente basse (soprattutto per la quetiapina, che a dosi basse può attivare invece che sedare), inoltre non ha fatto alcun riferimento al dosaggio nel sangue del Depakin (acido valproico) fondamentale per verificare la correttezza delle dosi utilizzatate di questo prodotto. Nei pazienti bipolari di tipo I (la sua madre ha questo tipo di diagnosi se ha avuto delle fasi maniacali e dei TSO dato che la forma di tipo II ha solo fasi maniacali attenuate che spesso non richiedono neppure l'ospedalizzazione) a volte è necessario provvedere ad una terapia combinata con due regolatori dell'umore. Nella fattispecie sarebbe interessante l'uso dei sali di litio vista la tendenza di sua madre ad avere delle fasi maniacali e depressive (e non miste) con una frequenza non particolarmente elevata nel tempo. Nel caso di scarsa collaborazione del paziente è necessario che la famiglia o il personale infermieristico del CSM organizzi la somministrazione assistita dei farmaci per essere certi della corretta assunzione. C'è la possibilità oggi di utilizzare farmaci antipsicotici a lento rilascio (depot) per via iniettiva di II generazione (risperidone) che non sono gravati dai pesanti effetti extrapiramidali dei precedenti Haldol, Moditen, Clopixol ecc., per cui anche questa potrebbe essere una strategia. L'uso infine degli antidepressivi deve essere in casi come questo possibilmente evitata data la possibilità di indurre una maggiore ciclicità degli episodi; qualora sia necessario inserirli è opportuno scegliere molecole non particolarmente disinibenti (farmaci come escitalopram, sertralina e fluoxetina non sono indicati)come per esempio la fluvoxamina (Fevarin) o la Mirtazapina (Remeron) o associazioni con antipsicotici (es Mutabon).
Cordialio saluti.
Dr. Claudio Lorenzetti
Dr. Claudio Lorenzetti
[#7]
Gentile utente,
l'unica strada davvero possibile e' quella di un nuovo ricovero in TSO per sua madre, in modo da poter risistemare la terapia adeguatamente.
Una volta che i Nostri consigli sono stati elargiti, ognuno con una propria idea, come pensa di somministrare le nuove terapie suggerite a sua madre?
Inoltre, c'e' da considerare la presenza del diabete che non consente l'uso di alcuni farmaci proprio per un effetto diabetogeno presente tra gli effetti collaterali.
La continua disregolazione comportamentale di sua madre inoltre indicherebbe la assoluta controindicazione all'uso di antidepressivi.
La vera soluzione e' quella indicata gia' dai colleghi del CSM di appartenenza che suggeriscono, a ragione veduta, un trattamento sanitario obbligatorio.
Cordiali Saluti
Dr. F. S. Ruggiero
http://www.francescoruggiero.it
l'unica strada davvero possibile e' quella di un nuovo ricovero in TSO per sua madre, in modo da poter risistemare la terapia adeguatamente.
Una volta che i Nostri consigli sono stati elargiti, ognuno con una propria idea, come pensa di somministrare le nuove terapie suggerite a sua madre?
Inoltre, c'e' da considerare la presenza del diabete che non consente l'uso di alcuni farmaci proprio per un effetto diabetogeno presente tra gli effetti collaterali.
La continua disregolazione comportamentale di sua madre inoltre indicherebbe la assoluta controindicazione all'uso di antidepressivi.
La vera soluzione e' quella indicata gia' dai colleghi del CSM di appartenenza che suggeriscono, a ragione veduta, un trattamento sanitario obbligatorio.
Cordiali Saluti
Dr. F. S. Ruggiero
http://www.francescoruggiero.it
https://wa.me/3908251881139
https://www.instagram.com/psychiatrist72/
[#8]
Utente
In risposta al gentile Dr. Lorenzetti vorrei specificare che purtroppo non abbiamo mai avuto modo di eseguire il dosaggio dell'acido valproico se non una volta, durante l'ultimo TSO, in cui in seguito al trattamento con Depakin Chrono (900 mg al dì per circa una settimana) il dosaggio nel sangue risultava di 3,90 mg/L.
Nei restanti numerosi tentativi la terapia era già stata sospesa (ed i risultati sarebbero stati falsati): non siamo mai riusciti a somministrarle il Depakin per un periodo superiore al mese e mezzo con la costanza necessaria per poi effettuare tale esame.
Per quanto riguarda la diagnosi, il Dr. Lorenzetti mi suggerisce che si tratti di disturbo bipolare del 1° tipo; ciò mi ha spinto a rispulciare tutte le diagnosi dei vari ricoveri e dei vari psichiatri, ed effettivamente ho notato (non avevo mai osservato con tanta accuratezza) che le varie diagnosi sono discordanti.
In risposta invece al gentile Dr. Ruggiero, dico che non ho la più pallida idea di come somministrare a mia madre la terapia suggerita in seguito ad un eventuale TSO. Il problema è che, ripeto, non ne siamo in grado, e non possiamo fare affidamento nel personale infermieristico del CSM; né tantomento possiamo demandare il compito ad una figura professionale da assumere per svolgere tale compito, perché sarebbe cacciata da mia madre (come è già successo) in meno di un mese, e non farebbe che peggiorare il suo stato maniacale.
L'unica strada percorribile dunque mi sembra quella della terapia depot, da Voi suggerita, che se non altro assicurerebbe la copertura farmacologica. Il fatto poi che sia da somministrare con le dovute cautele, è un altro paio di maniche, ma di certo non potrei occuparmene io.
Ma prima di congedarmi, ho un'ultima richiesta da portare alla Vostra attenzione: non avendo altri referenti oltre il CSM (che come ho già detto non dimostra la premura che esige il nostro caso), vorrei poter contare su una presenza più costante ed attenta al caso di mia madre e dunque sull'appoggio di uno psichiatra che possa essere disposto a seguirla privatamente, in particolare nei suoi momenti di rifiuto, anche con interventi domiciliari.
A tal proposito, sapreste suggerirmi qualche Vostro collega nella provincia di Perugia a cui potrei sottoporre il nostro caso?
Vi sarei grata se poteste indicarmi qualche nome e come poter eventualmente stabilire un contatto.
Colgo l'occasione per esprimerVi ancora una volta la mia gratitudine per il Vostro interessamento e porgerVi i miei più cordiali saluti.
Nei restanti numerosi tentativi la terapia era già stata sospesa (ed i risultati sarebbero stati falsati): non siamo mai riusciti a somministrarle il Depakin per un periodo superiore al mese e mezzo con la costanza necessaria per poi effettuare tale esame.
Per quanto riguarda la diagnosi, il Dr. Lorenzetti mi suggerisce che si tratti di disturbo bipolare del 1° tipo; ciò mi ha spinto a rispulciare tutte le diagnosi dei vari ricoveri e dei vari psichiatri, ed effettivamente ho notato (non avevo mai osservato con tanta accuratezza) che le varie diagnosi sono discordanti.
In risposta invece al gentile Dr. Ruggiero, dico che non ho la più pallida idea di come somministrare a mia madre la terapia suggerita in seguito ad un eventuale TSO. Il problema è che, ripeto, non ne siamo in grado, e non possiamo fare affidamento nel personale infermieristico del CSM; né tantomento possiamo demandare il compito ad una figura professionale da assumere per svolgere tale compito, perché sarebbe cacciata da mia madre (come è già successo) in meno di un mese, e non farebbe che peggiorare il suo stato maniacale.
L'unica strada percorribile dunque mi sembra quella della terapia depot, da Voi suggerita, che se non altro assicurerebbe la copertura farmacologica. Il fatto poi che sia da somministrare con le dovute cautele, è un altro paio di maniche, ma di certo non potrei occuparmene io.
Ma prima di congedarmi, ho un'ultima richiesta da portare alla Vostra attenzione: non avendo altri referenti oltre il CSM (che come ho già detto non dimostra la premura che esige il nostro caso), vorrei poter contare su una presenza più costante ed attenta al caso di mia madre e dunque sull'appoggio di uno psichiatra che possa essere disposto a seguirla privatamente, in particolare nei suoi momenti di rifiuto, anche con interventi domiciliari.
A tal proposito, sapreste suggerirmi qualche Vostro collega nella provincia di Perugia a cui potrei sottoporre il nostro caso?
Vi sarei grata se poteste indicarmi qualche nome e come poter eventualmente stabilire un contatto.
Colgo l'occasione per esprimerVi ancora una volta la mia gratitudine per il Vostro interessamento e porgerVi i miei più cordiali saluti.
[#9]
Gentile utente,
a mio avviso non e' consigliabile rivolgersi ad uno psichiatra privato in quanto la situazione di sua madre necessita di un trattamento a lungo termine che possa essere gestito dal pubblico.
Sicuramente, se sua madre entrasse in crisi di notte certo non ci si rivolgerebbe al suo medico privato ma alla struttura sanitaria competente per territorio. Inoltre, chiederebbe al collega di fingersi altro per poter fare una diagnosi e non somministrare alcuna terapia?
Inoltre, per il TSO sono presenti delle condizioni ben specifiche venendo a mancare una sola delle quali, tale trattamento non sarebbe effettuabile.
Il TSO puo' avere anche il solo scopo di introdurre il farmaco depot suggerito in questa sede per le cui cautele lei ha gia' pensato di non occuparsene.
Non vedo come sia possibile suggerire un farmaco ai colleghi se essi stessi e coscientemente possono decidere di non somministrarlo proprio per gli effetti spiacevoli che possono provocarsi e poi accusarli di non occuparsi del caso in modo adeguato. Se vuole pero' puo' farlo prescrivere dal suo medico di famiglia e somministrarlo Lei stessa a sua madre.
Ad ogni modo, se la situazione va avanti in questo modo l'unica strada e' il TSO, se sono presenti le dovute condizioni. Sono dell'avviso in ogni caso, che alcune condizioni possono rasentare l'accanimento terapeutico, infatti nei casi cosiddetti 'organici' viene consentito al paziente di scegliere di non curarsi mentre in questi casi i pazienti psichiatrici non hanno neanche questa possibilita' di scelta.
Cordiali Saluti
Dr. F.S. Ruggiero
http://www.francescoruggiero.it
a mio avviso non e' consigliabile rivolgersi ad uno psichiatra privato in quanto la situazione di sua madre necessita di un trattamento a lungo termine che possa essere gestito dal pubblico.
Sicuramente, se sua madre entrasse in crisi di notte certo non ci si rivolgerebbe al suo medico privato ma alla struttura sanitaria competente per territorio. Inoltre, chiederebbe al collega di fingersi altro per poter fare una diagnosi e non somministrare alcuna terapia?
Inoltre, per il TSO sono presenti delle condizioni ben specifiche venendo a mancare una sola delle quali, tale trattamento non sarebbe effettuabile.
Il TSO puo' avere anche il solo scopo di introdurre il farmaco depot suggerito in questa sede per le cui cautele lei ha gia' pensato di non occuparsene.
Non vedo come sia possibile suggerire un farmaco ai colleghi se essi stessi e coscientemente possono decidere di non somministrarlo proprio per gli effetti spiacevoli che possono provocarsi e poi accusarli di non occuparsi del caso in modo adeguato. Se vuole pero' puo' farlo prescrivere dal suo medico di famiglia e somministrarlo Lei stessa a sua madre.
Ad ogni modo, se la situazione va avanti in questo modo l'unica strada e' il TSO, se sono presenti le dovute condizioni. Sono dell'avviso in ogni caso, che alcune condizioni possono rasentare l'accanimento terapeutico, infatti nei casi cosiddetti 'organici' viene consentito al paziente di scegliere di non curarsi mentre in questi casi i pazienti psichiatrici non hanno neanche questa possibilita' di scelta.
Cordiali Saluti
Dr. F.S. Ruggiero
http://www.francescoruggiero.it
[#10]
Utente
Gentile Dr. Ruggiero,
mi dispiace di non aver risposto prima al suo intervento, ma mi sono fatta 3 giorni di ospedale in seguito ad una brutta caduta in cui ho sbattuto la testa. E' mia madre che, con una spinta, mi ha scaraventato per terra. Niente di grave dalla risonanza, me la sono cavata con 3 punti e un forte mal di testa anche ancora perdura.
Ciò che Lei ha scritto mi ha lasciato basita e non posso non risponderLe. Mi sconvolge ulteriormente il fatto che nessuno dei Suoi colleghi l'abbia fatto prima di me.
Probabilmente questa discussione sarà già decaduta, ma auspico fortemente che questa risposta venga letta.
Le rispondo riportando alcuni stralci del Suo intervento, per non mancare di coerenza e precisione.
1) " Sicuramente, se sua madre entrasse in crisi di notte certo non ci si rivolgerebbe al suo medico privato ma alla struttura sanitaria competente per territorio".
- Beh, se mia madre entrasse in crisi di notte non mi rivolgerei di certo allo psichiatra privato, ma né tantomeno allo psichiatra del CSM, e né tantomeno al CSM stesso, che è aperto dal lunedì al venerdì dalle 8,00 alle 20,00.
Probabilmente chiamerei la guardia medica o un'ambulanza, esattamente come fa chiunque si sente male di notte o nei giorni festivi.
2) "Inoltre, chiederebbe al collega di fingersi altro per poter fare una diagnosi e non somministrare alcuna terapia?"
- Decisamente no, probabilmente gli chiederei di fare una diagnosi e somministrare una terapia, essendo la sua professione. E per quale strano motivo dovrei chiedergli di fingersi altro? Non è mica carnevale.
3) "Inoltre, per il TSO sono presenti delle condizioni ben specifiche venendo a mancare una sola delle quali, tale trattamento non sarebbe effettuabile."
- Certo, ne sono ben cosciente. Al momento mia madre è una donna che oltre a non riconoscere la sua malattia, non accettare la terapia, parlare e urlare e sbattersi con persone immaginarie, fare danni materiali alla casa e agli oggetti nostri ed altrui, e rubare oggetti dalle case altrui o dai negozi, si avventa improvvisamente contro il marito con coltelli affilati e tenta di soffocare la figlia "perché credeva fosse un'altra persona", nonché mi ha scaraventato per terra, ed ho rischiato che lo spigolo mi bucasse il cranio. Che ne dice, ci sono le condizioni?
4) "Il TSO puo' avere anche il solo scopo di introdurre il farmaco depot suggerito in questa sede per le cui cautele lei ha gia' pensato di non occuparsene."
- E ci mancherebbe! Sono una studentessa di filosofia, non sono una studentessa di medicina. Non ho alcuna cognizione in ambito medico. Dovrei forse laurearmi in medicina e specializzarmi in psichiatria per dovermi occupare delle cautele del farmaco depot da somministrare a mia madre? Pensavo che per questo ci fossero già dei medici con tanto di lauree, specializzazioni e corsi.
5) "Non vedo come sia possibile suggerire un farmaco ai colleghi se essi stessi e coscientemente possono decidere di non somministrarlo proprio per gli effetti spiacevoli che possono provocarsi e poi accusarli di non occuparsi del caso in modo adeguato."
- Sbagliato, evidentemente Lei pecca di disattenzione: ho già scritto in un precedente intervento che i medici del CSM hanno sconsigliato la via intramuscolare non per il rischio degli effetti collaterali, ma per il rischio di sbagliare le dosi.
E' come se il cardiochirurgo che doveva operare mia nonna infartuata avesse detto ai miei parenti: "Mah, personalmente eviterei, c'è sempre il rischio di recidere l'aorta".
Ho accusato i medici del CSM locale di non occuparsi del caso in maniera adeguata per motivi ben diversi, che ho già specificato, ma riassumendo potrei dire: SE NE LAVANO LE MANI.
6) "Se vuole pero' puo' farlo prescrivere dal suo medico di famiglia e somministrarlo Lei stessa a sua madre."
Mi ripeto: non ho alcuna cognizione medica.
Il Suo gratuito sarcasmo non mi è d'aiuto.
7) "Ad ogni modo, se la situazione va avanti in questo modo l'unica strada e' il TSO, se sono presenti le dovute condizioni. Sono dell'avviso in ogni caso, che alcune condizioni possono rasentare l'accanimento terapeutico, infatti nei casi cosiddetti 'organici' viene consentito al paziente di scegliere di non curarsi mentre in questi casi i pazienti psichiatrici non hanno neanche questa possibilita' di scelta."
Bene, e qui ho avuto un sobbalzo.
ACCANIMENTO TERAPEUTICO? Ma dico, Le va di scherzare?
Strano, pensavo che la libera scelta fosse un diritto legittimo in condizioni di *capacità di intendere e di volere*.
Bene, allora osserviamo la legge 180 e non imponiamole nessuna cura rispettando la volontarietà della sua scelta terapeutica; così, come potrà liberamente scegliere di non curarsi, potrà altrettanto liberamente scegliere di fracassarmi il cranio con un martello. Però le conseguenze sarebbero paradossali: in effetti al processo con ogni probabilità sarebbe giudicata INCAPACE DI INTENDERE E DI VOLERE poiché MANIACO-DEPRESSIVA e la chiuderebbero in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario.
Oppure, sempre in osservanza della legge 180, che si guarda bene dall'evitare l'accanimento terapeutico, le prendiamo un bell'appartamentino (perché secondo la 180 "la famiglia non è obbligata alla convivenza col malato mentale maggiorenne") e la lasciamo vivere LIBERAMENTE, così sarà liberissima di lasciarsi morire nella maniera che le sarà più confacente. Giusto?
In entrambi i casi, avremo evitato "l'accanimento terapeutico" di cui Lei parla, ma avremo ucciso una persona.
Questo consigliano i medici d'oggi? Questa prospettiva mi terrorizza.
Dovremmo forse parlare di accanimento terapeutico anche per quanto riguarda i vaccini ai bambini? Non è forse anche il vaccino un trattamento sanitario obbligatorio?
In fondo, anche i bambini non hanno la possibilità di scegliere se farsi iniettare il vaccino o meno, perché ritenuti non ancora capaci di intendere e volere.
E che mi dice allora del trattamento di feriti incoscienti? Secondo il suo ragionamento, sarebbe accanimento terapeutico bloccare un'emorragia ad un ferito incosciente, perché momentaneamente incapace di intendere e di volere.
Salvargli la vita è accanimento terapeutico dunque, perché non può scegliere; ed è accanimento terapeutico vaccinare i bambini, perché non possono scegliere.
Evidentemente c'è un vizio di fondo: l'accanimento terapeutico (e Lei, essendo medico, dovrebbe saperlo meglio di me) è un termine medico che indica l'attività di prolungare in modo artificioso le funzioni vitali di pazienti evidentemente MORIBONDI, che non hanno più speranze di vivere se non attaccati a macchinari.
Mia madre sarebbe moribonda? Mia madre non è attaccata ad un respiratore, non ha l'elettroencefalogramma piatto, e le sue funzioni vitali sono più che normali: senza dubbio è diabetica e ipertesa, e molto probabilmente avrà il colesterolo alto, ma di certo ciò non la rende un vegetale.
Sembrerebbe quasi che Lei non abbia presente quali comportamenti costituiscono "accanimento terapeutico".
Vogliamo proprio metterla sulla volontà del paziente?
Bene, sono assolutamente certa che se venti anni fa avessero sottoposto a mia madre un documento che fungesse da "testamento psicologico", ed avesse avuto la possibilità di effettuare una VERA scelta, in quanto scelta libera da ogni impedimento (inclusa l'alterazione psichica, evidentemente), lei di sicuro ci avrebbe messo la firma tre volte col sangue per essere curata anche contro la sua volontà piuttosto che essere tanto malata da far del male alla sua famiglia.
E sono assolutamente certa anche del fatto che mia madre avrebbe optato per il suo stare bene e per la sua felicità (nonché quella dei suoi cari), piuttosto che per questo stato che la ammorba rendendola simile ad una bestia e che spazza via la sua dignità di persona.
Vogliamo davvero prediligere la "libertà di scelta" anche quando libera scelta NON PUO' ESSERCI (perché non c'è capacità di intendere e volere)? Oppure prediligiamo il diritto alla vita, alla salute e ad una vita dignitosa? Un diritto relativo contro tre diritti assoluti sanciti dalla Costituzione Italiana.
Secondo me non c'è battaglia.
E Lei invece, è ancora sicuro di voler paragonare le cure di un malato psichiatrico non consenziente all'accanimento terapeutico?
Se sì, Le consiglio caldamente di riconsiderare le Sue scelte professionali.
Con ciò mi congedo definitivamente, e chiedo venia ancora una volta per la prolissità, ma ritengo fosse dovuta.
Ricambio con i miei più cordiali saluti.
mi dispiace di non aver risposto prima al suo intervento, ma mi sono fatta 3 giorni di ospedale in seguito ad una brutta caduta in cui ho sbattuto la testa. E' mia madre che, con una spinta, mi ha scaraventato per terra. Niente di grave dalla risonanza, me la sono cavata con 3 punti e un forte mal di testa anche ancora perdura.
Ciò che Lei ha scritto mi ha lasciato basita e non posso non risponderLe. Mi sconvolge ulteriormente il fatto che nessuno dei Suoi colleghi l'abbia fatto prima di me.
Probabilmente questa discussione sarà già decaduta, ma auspico fortemente che questa risposta venga letta.
Le rispondo riportando alcuni stralci del Suo intervento, per non mancare di coerenza e precisione.
1) " Sicuramente, se sua madre entrasse in crisi di notte certo non ci si rivolgerebbe al suo medico privato ma alla struttura sanitaria competente per territorio".
- Beh, se mia madre entrasse in crisi di notte non mi rivolgerei di certo allo psichiatra privato, ma né tantomeno allo psichiatra del CSM, e né tantomeno al CSM stesso, che è aperto dal lunedì al venerdì dalle 8,00 alle 20,00.
Probabilmente chiamerei la guardia medica o un'ambulanza, esattamente come fa chiunque si sente male di notte o nei giorni festivi.
2) "Inoltre, chiederebbe al collega di fingersi altro per poter fare una diagnosi e non somministrare alcuna terapia?"
- Decisamente no, probabilmente gli chiederei di fare una diagnosi e somministrare una terapia, essendo la sua professione. E per quale strano motivo dovrei chiedergli di fingersi altro? Non è mica carnevale.
3) "Inoltre, per il TSO sono presenti delle condizioni ben specifiche venendo a mancare una sola delle quali, tale trattamento non sarebbe effettuabile."
- Certo, ne sono ben cosciente. Al momento mia madre è una donna che oltre a non riconoscere la sua malattia, non accettare la terapia, parlare e urlare e sbattersi con persone immaginarie, fare danni materiali alla casa e agli oggetti nostri ed altrui, e rubare oggetti dalle case altrui o dai negozi, si avventa improvvisamente contro il marito con coltelli affilati e tenta di soffocare la figlia "perché credeva fosse un'altra persona", nonché mi ha scaraventato per terra, ed ho rischiato che lo spigolo mi bucasse il cranio. Che ne dice, ci sono le condizioni?
4) "Il TSO puo' avere anche il solo scopo di introdurre il farmaco depot suggerito in questa sede per le cui cautele lei ha gia' pensato di non occuparsene."
- E ci mancherebbe! Sono una studentessa di filosofia, non sono una studentessa di medicina. Non ho alcuna cognizione in ambito medico. Dovrei forse laurearmi in medicina e specializzarmi in psichiatria per dovermi occupare delle cautele del farmaco depot da somministrare a mia madre? Pensavo che per questo ci fossero già dei medici con tanto di lauree, specializzazioni e corsi.
5) "Non vedo come sia possibile suggerire un farmaco ai colleghi se essi stessi e coscientemente possono decidere di non somministrarlo proprio per gli effetti spiacevoli che possono provocarsi e poi accusarli di non occuparsi del caso in modo adeguato."
- Sbagliato, evidentemente Lei pecca di disattenzione: ho già scritto in un precedente intervento che i medici del CSM hanno sconsigliato la via intramuscolare non per il rischio degli effetti collaterali, ma per il rischio di sbagliare le dosi.
E' come se il cardiochirurgo che doveva operare mia nonna infartuata avesse detto ai miei parenti: "Mah, personalmente eviterei, c'è sempre il rischio di recidere l'aorta".
Ho accusato i medici del CSM locale di non occuparsi del caso in maniera adeguata per motivi ben diversi, che ho già specificato, ma riassumendo potrei dire: SE NE LAVANO LE MANI.
6) "Se vuole pero' puo' farlo prescrivere dal suo medico di famiglia e somministrarlo Lei stessa a sua madre."
Mi ripeto: non ho alcuna cognizione medica.
Il Suo gratuito sarcasmo non mi è d'aiuto.
7) "Ad ogni modo, se la situazione va avanti in questo modo l'unica strada e' il TSO, se sono presenti le dovute condizioni. Sono dell'avviso in ogni caso, che alcune condizioni possono rasentare l'accanimento terapeutico, infatti nei casi cosiddetti 'organici' viene consentito al paziente di scegliere di non curarsi mentre in questi casi i pazienti psichiatrici non hanno neanche questa possibilita' di scelta."
Bene, e qui ho avuto un sobbalzo.
ACCANIMENTO TERAPEUTICO? Ma dico, Le va di scherzare?
Strano, pensavo che la libera scelta fosse un diritto legittimo in condizioni di *capacità di intendere e di volere*.
Bene, allora osserviamo la legge 180 e non imponiamole nessuna cura rispettando la volontarietà della sua scelta terapeutica; così, come potrà liberamente scegliere di non curarsi, potrà altrettanto liberamente scegliere di fracassarmi il cranio con un martello. Però le conseguenze sarebbero paradossali: in effetti al processo con ogni probabilità sarebbe giudicata INCAPACE DI INTENDERE E DI VOLERE poiché MANIACO-DEPRESSIVA e la chiuderebbero in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario.
Oppure, sempre in osservanza della legge 180, che si guarda bene dall'evitare l'accanimento terapeutico, le prendiamo un bell'appartamentino (perché secondo la 180 "la famiglia non è obbligata alla convivenza col malato mentale maggiorenne") e la lasciamo vivere LIBERAMENTE, così sarà liberissima di lasciarsi morire nella maniera che le sarà più confacente. Giusto?
In entrambi i casi, avremo evitato "l'accanimento terapeutico" di cui Lei parla, ma avremo ucciso una persona.
Questo consigliano i medici d'oggi? Questa prospettiva mi terrorizza.
Dovremmo forse parlare di accanimento terapeutico anche per quanto riguarda i vaccini ai bambini? Non è forse anche il vaccino un trattamento sanitario obbligatorio?
In fondo, anche i bambini non hanno la possibilità di scegliere se farsi iniettare il vaccino o meno, perché ritenuti non ancora capaci di intendere e volere.
E che mi dice allora del trattamento di feriti incoscienti? Secondo il suo ragionamento, sarebbe accanimento terapeutico bloccare un'emorragia ad un ferito incosciente, perché momentaneamente incapace di intendere e di volere.
Salvargli la vita è accanimento terapeutico dunque, perché non può scegliere; ed è accanimento terapeutico vaccinare i bambini, perché non possono scegliere.
Evidentemente c'è un vizio di fondo: l'accanimento terapeutico (e Lei, essendo medico, dovrebbe saperlo meglio di me) è un termine medico che indica l'attività di prolungare in modo artificioso le funzioni vitali di pazienti evidentemente MORIBONDI, che non hanno più speranze di vivere se non attaccati a macchinari.
Mia madre sarebbe moribonda? Mia madre non è attaccata ad un respiratore, non ha l'elettroencefalogramma piatto, e le sue funzioni vitali sono più che normali: senza dubbio è diabetica e ipertesa, e molto probabilmente avrà il colesterolo alto, ma di certo ciò non la rende un vegetale.
Sembrerebbe quasi che Lei non abbia presente quali comportamenti costituiscono "accanimento terapeutico".
Vogliamo proprio metterla sulla volontà del paziente?
Bene, sono assolutamente certa che se venti anni fa avessero sottoposto a mia madre un documento che fungesse da "testamento psicologico", ed avesse avuto la possibilità di effettuare una VERA scelta, in quanto scelta libera da ogni impedimento (inclusa l'alterazione psichica, evidentemente), lei di sicuro ci avrebbe messo la firma tre volte col sangue per essere curata anche contro la sua volontà piuttosto che essere tanto malata da far del male alla sua famiglia.
E sono assolutamente certa anche del fatto che mia madre avrebbe optato per il suo stare bene e per la sua felicità (nonché quella dei suoi cari), piuttosto che per questo stato che la ammorba rendendola simile ad una bestia e che spazza via la sua dignità di persona.
Vogliamo davvero prediligere la "libertà di scelta" anche quando libera scelta NON PUO' ESSERCI (perché non c'è capacità di intendere e volere)? Oppure prediligiamo il diritto alla vita, alla salute e ad una vita dignitosa? Un diritto relativo contro tre diritti assoluti sanciti dalla Costituzione Italiana.
Secondo me non c'è battaglia.
E Lei invece, è ancora sicuro di voler paragonare le cure di un malato psichiatrico non consenziente all'accanimento terapeutico?
Se sì, Le consiglio caldamente di riconsiderare le Sue scelte professionali.
Con ciò mi congedo definitivamente, e chiedo venia ancora una volta per la prolissità, ma ritengo fosse dovuta.
Ricambio con i miei più cordiali saluti.
[#11]
Gentile signora,
le posso garantire che le ho risposto in scienza e coscienza.
Visto che ha avuto una aggressione da sua madre e' tenuta a denunciarla e a considerare le possibili implicazioni giuridiche.
Inoltre, ritengo molto opportuna la mia affermazione in merito all'accanimento terapeutico.
Probabilmente sono stato il solo che ha avuto il coraggio di scriverglielo.
Cordiali Saluti
Dr. F.S. Ruggiero
http://www.francescoruggiero.it
le posso garantire che le ho risposto in scienza e coscienza.
Visto che ha avuto una aggressione da sua madre e' tenuta a denunciarla e a considerare le possibili implicazioni giuridiche.
Inoltre, ritengo molto opportuna la mia affermazione in merito all'accanimento terapeutico.
Probabilmente sono stato il solo che ha avuto il coraggio di scriverglielo.
Cordiali Saluti
Dr. F.S. Ruggiero
http://www.francescoruggiero.it
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