Tossicodipendenza ricaduta?

Buonasera Gent.
mi medici,
scrivo per mio marito, 42 anni.
Di seguito la sua storia clinica circa la tossicodipendenza.

Dipendente da eroina efficacemente curato con buprenorfina 16 mg al giorno da 15 anni.

Negli ultimi 3 mesi, inaspettatamente perché mai successo prima (analisi del sert presso cui è in cura sempre effettuate e sempre negative) è iniziato un consumo di cocaina prima sporadico poi sempre più frequente (ultimo mese consumo giornaliero, con ovvie crescenti spese).

È stato lui a parlarmi del problema anche se avevo già notato strane uscite dal nostro conto comune.

Aspettiamo una bimba per Aprile.
Non so se questa informazione possa essere rilevante (l'unica seduta con lo psicologo del sert effettuata ha messo in risalto una sorta di paura ad affrontare la genitorialità, seppure si tratti di una gravidanza fortemente voluta da entrambi).

Ha parlato con lo psichiatra del sert che ha classificato questo episodio come ricaduta della patologia originaria.
Nessuna terapia specifica (sappiamo non esistere un appriccio farmacologico specifico per la cocsina), neanche di tipo psicologico.

Siamo perplessi per il modo in cui sia stata liquidata la situazione.
Certo, siamo consapevoli della possibilità di ricadute anche a così tanto tempo dalla remissione, ma essendo una nuova sostanza questo essere lasciati soli ci spiazza.

Ci siamo per questo rivolti ad una psicoterapeuta privata ma non sappiamo se sia la strada giusta da intraprendere e, soprattutto, se sia l'unica possibile.

Mio marito, per quanto spaventato, è piuttosto ottimista sulla sua capacità di superare questa ricaduta (io non so se davvero può essere considerata tale e vorrei, appunto, che qualcuno di competente nell'ambito mi spiegasse qualcosa a riguardo).
Sono passati solo 6 giorni di completa astinenza.

Cosa si può fare per superare questo momento nel migliore dei modi?
Non vorremmo lasciare nulla di intentato e questo atteggiamento di attesa prospettato dal sert ci crea parecchi dubbi.

Ringrazio chi vorrà risponderci e tutti i medici di questo servizio davvero molto utile.
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Dr.ssa Franca Scapellato Psichiatra, Psicoterapeuta 4k 201
Probabilmente la prossima gravidanza ha messo in moto delle ansie, come ha rilevato lo psicologo del sert. Chi aspetta un figlio spesso ha timore di non essere all'altezza del compito che lo attende. Che sia una sostanza diversa non importa molto: è un modo patologico di affrontare una situazione difficile. Ora vuole uscirne, ma ha bisogno di aiuto.
Suo marito ha uno (o più) fornitori di cocaina che hanno tutto l'interesse a tenersi il "cliente", quindi il mio consiglio è di non accontentarsi della psicoterapia, che è di sicuro utile, ma anche di accordarsi con suo marito sulla gestione del denaro per un periodo di alcuni mesi. Non deve aver libero accesso a conti e beni facilmente vendibili. Gli spacciatori sono efficienti, organizzati, professionali, "amici". Finché sanno che lui può pagare gli staranno intorno.

Franca Scapellato

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Utente
Utente
La ringrazio Dottoressa per la celere risposta.
Avevo in effetti dimenticato di scrivere che mio marito, spontaneamente, in quanto già consapevole di cosa comporti la dipendenza, della volontà viziata dall'uso di droghe, mi ha affidato il suo bancomat e la cura dei conti familiari.
Proprio questa mattina, però, è sopraggiunto un ulteriore problema. Svegliatosi per andare a lavoro (è un lavoro che lo gratifica, ha fatto tanti sacrifici per conquistare la posizione di responsabilità che ha ora) ha riferito tachicardia e estrema ansia ad uscire di casa da solo. Ha così rinunciato ad andare a lavoro. Secondo Lei è un accadimento normale in questa fase?
La ringrazio nuovamente!
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Dr.ssa Franca Scapellato Psichiatra, Psicoterapeuta 4k 201
Se le ha affidato spontaneamente la gestione dei conti è un ottimo segnale. Nei mesi scorsi suo marito "curava" il disagio con la cocaina, ora che è astinente l'ansia viene fuori, è normale. Sarebbe utile consultare lo psichiatra del sert per valutare l'opportunità di una terapia farmacologica. Ci sono trattamenti contro l'ansia cronica che non inducono dipendenza. E intanto la psicoterapia può aiutarlo a esprimere l'ansia e imparare a gestirla. Il fatto che il figlio sia molto desiderato e che il lavoro sia gratificante non aiuta, se il pensiero è (per esempio): "non ce la posso fare, non sono all'altezza".
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Utente
Utente
La ringrazio Dott.ssa.
Ci muoveremo nel senso da Lei indicato.
Buon lavoro.
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Utente
Utente
Buonasera Dottoressa,
scrivo direttamente, senza inviare nuovo messaggio, sperando di far bene in base alle regole del sito.
Ringraziandola anticipatamente per l'attenzione, le scrivo per aggiornarla sulla situazione di mio marito e chiarirmi alcuni dubbi successivamente insorti.
Mio marito ad oggi è ancora astinente dalla sostanza. Tuttavia è ancora in malattia da lavoro perché continua ad avere sintomi ansiosi (si sveglia la notte e non riposa bene, ha sensi di colpa che cerca di superare con l'ottimismo che contraddistingue il suo carattere). Al sert non hanno preso in considerazione quanto riferito per una cura farmacologica ma hanno descritto i suddetti sintomi come normali in questa fase...come se, appunto, se li dovesse tenere così per come si presentano. Inoltre l'incapacità di tornare a lavoro, a suo dire, è legata anche alla profonda paura che in un ambiente lontano da casa (e da me che sono a casa in maternità) possa ricomparire la voglia di assumere la sostanza (ha raccontato che purtroppo gli è capitato di andare a lavoro sotto l'effetto della sostanza quindi quel luogo gli ricorda l'assunzione e le sensazioni ad essa legate).
Mi chiedo se sia giusto assecondare questo atteggiamento evitante...astenersi dall'uso è così più semplice ma cosa succederà appena tornerà a lavoro?
Il percorso psicoterapico sta proseguendo, con incontri settimanali. Mio marito cerca di tenersi occupato durante il giorno e sembra aver ritrovato interesse per le attività quotidiane come cura del giardino, cucina, rapporti interpersonali. Continuano i controlli urinari e perdura, di comune accordo, l'impossibilità di accedere ai conti bancari.
Io, intanto, sto cercando di stargli vicino nonostante le enormi paure che mi porto dietro per una sua eventuale ulteriore ricaduta. Le notizie che si leggono sul web sono davvero poco incoraggianti sulla possibilità di uscire dalla dipendenza da cocaina ed a me sembra che con le misure che stiamo mettendo in atto si stia solo ritardando l'inevitabile. Esistono davvero possibilità di remissione a lungo termine da questo tipo di dipendenza anche senza farmaci?
Ringrazio lei, Dott.ssa, e chi voglia rispondere ai miei quesiti.
Auguro buon lavoro.
Cordialmente.
E.
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Dr.ssa Franca Scapellato Psichiatra, Psicoterapeuta 4k 201
Non ci sono farmaci per curare la dipendenza da cocaina, che è soprattutto psicologica. Se suo marito ha la possibilità di stare a casa finché non si sente più tranquillo, e ora a quanto mi dice sta migliorando, è inutile prospettarsi scenari disastrosi che mettono in ansia entrambi, perché l'ansia, anche se non viene esplicitata, si sente lo stesso. Non si può controllare tutto, né prevedere tutto, e la situazione di questi giorni in Italia ce lo mostra molto bene. Andate avanti giorno per giorno facendo quello che potete, entrambi vi state impegnando.