Distimia

Questa vita mi fa sentire intrappolata.
Mi trascino anno dopo anno sempre più faticosamente, ma nello sforzo di vincere l’inerzia ho perso di vista l’orizzonte, non so più dove sto andando né chi sono.
Mi sento in colpa verso mia figlia e il mio compagno, meno ma anche nei confronti dei miei familiari.
In colpa perché sento che li tradirei se solo riuscissi a mostrargli un decimo di quanto non mi va più di vivere.
Non mi va perché non ce la faccio più.
Mi sono persa per strada più di 15 anni fa, e considerando che di anni ne ho quasi 33 direi che vivere la metà della propria vita con sofferenza non è esattamente un dato che mi dona prospettive rosee per il futuro.
Anzi.

La dipendenza da sostanze stimolanti è stato il leit motiv di questi 15 anni.
Attraverso un percorso di disintossicazione presso un serd ho capito che l’abuso di sostanze è stato solo un sintomo del mio disagio.
Un tentativo disastroso di sentire meno il mio dolore.
In effetti la droga mi ha aiutato ad allontanare il pensiero deprimente del fallimento, che sentivo su di me come una spada di damocle, ma con se ha portato via tutta la mia giovinezza.
E ora mi sento l’anima decrepita, stanchissima.

Devo dire che provo una grande tenerezza nei confronti delle mie psicoterapeute (ne ho avute molte nel corso degli anni).
Cercano in tutti i modi di dimostrarmi il mio valore, ma il tentativo è pari a quello di qualcuno che cerca di descrivere la bellezza dei colori ad un non vedente.
Mi piacerebbe riuscire a coltivare la mia autostima ma credo che ci sia un meccanismo rotto in me.
Mentre la psicologa in colloquio evidenzia la mia tenacia nell’affrontare le sfide della vita io penso che sia solo per paura del giudizio degli altri che non mi lascio andare, per paura che diventi evidente anche a loro il fallimento che sono oppure che in fondo già pensino che sono un fallimento ma non lo dicono per non infierire.
La psicologa dice che sono resiliente, io penso di essere masochista.

Mi sono persa per strada vuole dire che non so più che voglio veramente.
Non so perché sto male.
Non so cosa potrebbe farmi stare meglio.
Mia figlia?
Mia figlia mi vede, ma vede anche il mio malessere e a modo suo si protegge.
Sia chiaro, mi alzo tutte le mattine, la preparo, la porto a scuola, lavoro come imprenditrice, la prendo da scuola, la porto a nuoto, dal logopedista (eh già perché la vita, per una ex-bambina plusdotata quale io credo fossi, aveva in serbo per me una figlia con disabilità intellettiva).
Ma quando uno dei pensieri dolorosi che mi attraversano la mente mi dipinge un ghigno sofferente e le lacrime mi rigano il viso silenziosamente, lei mi rincuora, nel modo puro e dolce di una bambina di sei anni e mezzo.

Sono stata una bambina trascurata nei miei bisogni affettivi.
Un feticcio per i miei genitori, ai quali non ho più chiesto aiuto quando ho capito che non solo non sono mai stati in grado di confortarmi, ma forse sono stati all’origine della mia sofferenza.
Fermo le parole non i pensieri.
[#1]
Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 42.5k 1k
Andrebbe valutata la possibilità di una visita psichiatrica per una valutazione ed un trattamento conseguente.


Oltretutto, al di là della interpretazione psicologica della sua condizione passata di vita poi le situazioni andrebbero inquadrate dal punto di vista clinico e trattar adeguatamente.


Dr. F. S. Ruggiero


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[#2]
Utente
Utente
Caro Dr. Ruggiero,

Grazie per il suo consulto.

All’inizio del percorso presso il serd ho avuto un incontro con la psichiatra, che mi prescrisse trittico e depakin chrono. Esperienza disastrosa: anziché stabilizzare l’umore l’effetto che ho avuto inizialmente è stato un eccessivo e repentino innalzamento dell’umore, con irritabilità, impulsività, ideazione paranoide...
Praticamente non mi sopportava più nessuno e quindi non sono andata avanti per questa ragione, ero pesante, aggressiva, polemica e autocommiserante.
Chissà, forse superata la fase iniziale del trattamento avrei potuto trarne giovamento, ma non ero pronta al tempo.
Ammetto di nutrire una certa quale avversità nei confronti dei farmaci, dal momento che le considero delle sostanze psicoattive pari alle molecole definite illegali. Non mi convince fino in fondo l’idea che per stare bene si debba ricorrere ad una sostanza: di fatto, in riferimento all’abuso di sostanze, mi pare che si tratti di sostituire una dipendenza considerata socialmente inaccettabile con una dipendenza socialmente tollerata. Comunque di dipendenza si tratta e considerando il percorso duro, difficile, e logorante intrapreso non vorrei accontentarmi di sopire chimicamente una sofferenza che reputo sia dovuta ad un eccessivo rimuginare e ad un atteggiamento eccessivamente rigido e spietatamente autocritico.

Piuttosto adesso mi sono attivata per individuare un professionista che pratichi mindfulness basata su terapia cognitivo comportamentale: anche la mia attuale psicologa -del serd- concorda che sia la terapia adatta per cercare di trovare sollievo.

Lei cosa pensa di tale pratica? Sono stata in terapia cognitivo-comportamentale con una junghiana, poi terapia di coppia, poi una freudiana con lettino e lunghi estenuanti irritanti silenzi. Adesso penso che dovrei trovare uno strumento che riesca a darmi sollievo, perché sono convinta di essere fatta così e vorrei trovare un modo di accettarmi e proteggermi dal dolore, che non sia una stampella a vita.

Grazie e un saluto
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