Ansia generalizzata: danno permanente da cocaina?
Gentili Dottori,
sono una ragazza di 28 anni e, da circa due anni, vivo nel terrore di un episodio di ansia molto intenso che si verificò (credo) in seguito ad un periodo fortemente stressante e connotato, tra le altre cose, di un uso di cocaina piuttosto frequente.
Premetto che seguo un percorso di psicoterapia a orientamento cognitivo e sono in cura presso uno psichiatra con Daparox 20mg/ die.
Due anni fa cercai di far fronte a numerosi problemi di natura personale (tra cui una gravidanza indesiderata e una conseguente interruzione) con grande reattività: studio, lavoro, gestione di una casa da sola..
In questo contesto, riusciii a stabilire anche una rete di relazioni amicali molto appagante, cosa della cui mancanza avevo sempre molto sofferto. Le serate erano spesso connotate da grandi bevute e ampio consumo di cocaina.
Un giorno, apparentemente a ciel sereno, mi ricoprii di macchie rosse su tutto il corpo e la diagnosi fu di pitiriasi rosea di gilbert, di natura stressogena.
Avevo la sensazione che il mio corpo mi stesse dicendo piuttosto chiaramente di fermarmi con quella vita sregolata e, in particolare, con il consumo di cocaina. Tuttavia, una sera, nonostante non mi sentissi affatto in vena, mi comportai come sempre avevo fatto nei mesi precedenti.
Al mattino successivo ero uno straccio: avevo come delle vampate di ansia molto intensa e la sensazione di non poter far fronte a quello stato in autonomia. Fortunatamente, molte camomille si dimostrarono sufficienti.
Qualche settimana dopo, la debacle: a lavoro, improvvisamente, non fui più capace di comunicare con un cliente che, trovandosi di fronte a me, mi sembrava lontanissimo, come in un’altra stanza. Dovetti tornare a casa, in preda al panico, e li mi stesi sul divano e ci rimasi per circa due settimane, incapace di dormire (mi svegliavo di soprassalto, come quando si sogna di cadere) e mangiare. Non sopportavo rumori, luce. Avrei voluto piangere, ma non ci riuscivo. Ero pervasa da un profondo senso di squallore, disperata.
Tutto ciò lo attribuisco, forse erroneamente, al consumo di cocaina. Fatto sta che, da allora, per quanti sforzi io faccia, non mi sento più la stessa persona. Vivo nel timore che questo episodio possa ripetersi, che io possa star male così tanto, di nuovo. Addirittura, a volte vivo profondi stati ansiosi perché non riesco a decifrare i sintomi del ciclo mestruale o di un’influenza e, scambiandoli per ansia, vado in panico.
Altre volte, non sopporto neppure lo stato di leggera ebbrezza che mi da un bicchiere di vino.
Ovviamente, di tutte queste cose è informato il terapeuta con cui seguo il mio percorso, ma c’è una domanda a cui sento che nessuno ha mai risposto pienamente: è possibile che la cocaina abbia causato dei danni permanenti? È possibile che questa condizione sia attribuibile a quel consumo passato? Cosa posso fare, oltre ciò che già faccio? Darei qualsiasi cosa per sentirmi di nuovo libera
sono una ragazza di 28 anni e, da circa due anni, vivo nel terrore di un episodio di ansia molto intenso che si verificò (credo) in seguito ad un periodo fortemente stressante e connotato, tra le altre cose, di un uso di cocaina piuttosto frequente.
Premetto che seguo un percorso di psicoterapia a orientamento cognitivo e sono in cura presso uno psichiatra con Daparox 20mg/ die.
Due anni fa cercai di far fronte a numerosi problemi di natura personale (tra cui una gravidanza indesiderata e una conseguente interruzione) con grande reattività: studio, lavoro, gestione di una casa da sola..
In questo contesto, riusciii a stabilire anche una rete di relazioni amicali molto appagante, cosa della cui mancanza avevo sempre molto sofferto. Le serate erano spesso connotate da grandi bevute e ampio consumo di cocaina.
Un giorno, apparentemente a ciel sereno, mi ricoprii di macchie rosse su tutto il corpo e la diagnosi fu di pitiriasi rosea di gilbert, di natura stressogena.
Avevo la sensazione che il mio corpo mi stesse dicendo piuttosto chiaramente di fermarmi con quella vita sregolata e, in particolare, con il consumo di cocaina. Tuttavia, una sera, nonostante non mi sentissi affatto in vena, mi comportai come sempre avevo fatto nei mesi precedenti.
Al mattino successivo ero uno straccio: avevo come delle vampate di ansia molto intensa e la sensazione di non poter far fronte a quello stato in autonomia. Fortunatamente, molte camomille si dimostrarono sufficienti.
Qualche settimana dopo, la debacle: a lavoro, improvvisamente, non fui più capace di comunicare con un cliente che, trovandosi di fronte a me, mi sembrava lontanissimo, come in un’altra stanza. Dovetti tornare a casa, in preda al panico, e li mi stesi sul divano e ci rimasi per circa due settimane, incapace di dormire (mi svegliavo di soprassalto, come quando si sogna di cadere) e mangiare. Non sopportavo rumori, luce. Avrei voluto piangere, ma non ci riuscivo. Ero pervasa da un profondo senso di squallore, disperata.
Tutto ciò lo attribuisco, forse erroneamente, al consumo di cocaina. Fatto sta che, da allora, per quanti sforzi io faccia, non mi sento più la stessa persona. Vivo nel timore che questo episodio possa ripetersi, che io possa star male così tanto, di nuovo. Addirittura, a volte vivo profondi stati ansiosi perché non riesco a decifrare i sintomi del ciclo mestruale o di un’influenza e, scambiandoli per ansia, vado in panico.
Altre volte, non sopporto neppure lo stato di leggera ebbrezza che mi da un bicchiere di vino.
Ovviamente, di tutte queste cose è informato il terapeuta con cui seguo il mio percorso, ma c’è una domanda a cui sento che nessuno ha mai risposto pienamente: è possibile che la cocaina abbia causato dei danni permanenti? È possibile che questa condizione sia attribuibile a quel consumo passato? Cosa posso fare, oltre ciò che già faccio? Darei qualsiasi cosa per sentirmi di nuovo libera
[#1]
Accettare di essere depressi o ansiosi è difficile e spesso le persone attribuiscono il loro stato d'animo a fattori esterni, come può essere l'abuso di cocaina nel suo caso. Il quesito che si pone non è utile, nemmeno se ci fosse una risposta sicura.
L'unica certezza è che finché continua a pensare al passato in questo modo non potrà mai avere una qualità di vita soddisfacente. La psicoterapia cognitiva l'aiuterà a gestire questi pensieri del tutto inutili e controproducenti. Forse anche la terapia farmacologica va rivista, se l'angoscia è eccessiva.
L'unica certezza è che finché continua a pensare al passato in questo modo non potrà mai avere una qualità di vita soddisfacente. La psicoterapia cognitiva l'aiuterà a gestire questi pensieri del tutto inutili e controproducenti. Forse anche la terapia farmacologica va rivista, se l'angoscia è eccessiva.
Franca Scapellato
[#2]
Utente
Grazie della sua risposta, Dottoressa. Sono certa di avere una grande difficoltà a familiarizzare con questi nuovi contorni di me stessa che, tuttavia, hanno portato anche a tante acquisizioni positive, nella mia vita, come la capacità di dire no , assieme a quella di chiedere aiuto.
Sono ancora stupita dalla forza con cui il dolore mi ha preso, ma forse non c’era altro modo perché io mi fermassi davvero a prendermi cura di me stessa.
Il mio psicoterapeuta e il mio psichiatra sono stati di grande aiuto nel condurmi in questo percorso che ancora, ma sempre più di rado, si presenta difficile.
Come dicevo, vivo sola, senza i miei genitori e senza grandi riferimenti.
Vorrei sapermi indipendente dalla paroxetina, per un periodo l’abbiamo (io e il mio psichiatra) anche scalata, ma in concomitanza con la ristrutturazione di casa l’abbiamo reintegrata, dato un forte stato ansioso. È difficile sentirmi così in trappola quando ho così tanti desideri, mi chiedo come sia possibile vivere così divisi tra la voglia di fare di tutto e godere di ogni cosa e una forza che mi tiene stretta a terra, vicina solo a ciò che conosco e che mi rassicura.
Non capisco e perciò cerco qualcosa a cui attribuire tutto questo, come un danno causato da una sostanza, una patologia psichiatrica nota (spesso mi fisso di essere bipolare)..
Sono ancora stupita dalla forza con cui il dolore mi ha preso, ma forse non c’era altro modo perché io mi fermassi davvero a prendermi cura di me stessa.
Il mio psicoterapeuta e il mio psichiatra sono stati di grande aiuto nel condurmi in questo percorso che ancora, ma sempre più di rado, si presenta difficile.
Come dicevo, vivo sola, senza i miei genitori e senza grandi riferimenti.
Vorrei sapermi indipendente dalla paroxetina, per un periodo l’abbiamo (io e il mio psichiatra) anche scalata, ma in concomitanza con la ristrutturazione di casa l’abbiamo reintegrata, dato un forte stato ansioso. È difficile sentirmi così in trappola quando ho così tanti desideri, mi chiedo come sia possibile vivere così divisi tra la voglia di fare di tutto e godere di ogni cosa e una forza che mi tiene stretta a terra, vicina solo a ciò che conosco e che mi rassicura.
Non capisco e perciò cerco qualcosa a cui attribuire tutto questo, come un danno causato da una sostanza, una patologia psichiatrica nota (spesso mi fisso di essere bipolare)..
[#3]
Da quanto dice sta facendo un grande lavoro su se stessa. La psicoterapia è importante per capire in quale direzione muoversi, ma anche per trovare il passo giusto senza colpevolizzarsi: "Un cammino di mille miglia inizia con un primo passo", d'accordo, ma ci sono fermate, a volte bisogna tornare un po' indietro per orientarsi. Prima della cocaina non era contenta di sé, si sentiva sola e si è fatta convincere a usare sostanze perché era fragile. Ora che ha vissuto queste esperienze ha paura, è normale averla, ma sta imparando a cercare quello che la fa stare bene. Avere dubbi e incertezze è umano e "normale", non occorre (ed è dannoso) tirare in ballo patologie neurologiche. Le persone solari, attive e proattive esistono nelle pubblicità, nella realtà ci sono per tutti giornate buone e altre in cui si starebbe a letto con la coperta sulla testa, e allora quello che si è imparato in terapia serve tanto, se non altro per scendere dal letto e iniziare a darsi da fare.
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 2.7k visite dal 01/09/2019.
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Approfondimento su Ansia
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