Una "depressione maggiore" iniziata alla morte del padre oltre 20 anni fa
Salve,
Il fratello di mio marito soffre di una “depressione maggiore” iniziata alla morte del padre oltre 20 anni fa. Per una sorta di pudore della madre, è sempre stato difficile per mio marito ottenere informazioni circostanziate sullo stato di salute del fratello, le medicine, il medico curante, e ha finito per lasciar perdere.
Mio cognato, 47 anni, vive con sua madre, 73, in una villetta. Una volta era una gran bella casa, ma ora è un vero tugurio. Pile di libri ancora impacchettati riempiono la casa (mio cognato spende migliaia di euro per acquisti inutili su internet), cataste di giornali colmano gli spazi restanti, le tende e i muri sono luridi, coperti di gigantesche ragnatele nere, nelle credenze i piatti esposti sono pure coperti di ragnatele, la cucina è un ammasso di pattume e in casa regna il tanfo.. E’ tutto fermo, immobile, impolverato, senza vita. Mia suocera non può occuparsi della casa e del figlio insieme e questi rifiuta sistematicamente la presenza di un aiuto per la casa. Non c'è posto per possibili ospiti o visite, e in quello spazio mio cognato sopravvive e vaga, dormendo 18 ore al giorno e passando il resto della giornata stordito dalle medicine (tanto che non riusciva nemmeno ad alzare una gamba per allacciasi la scarpa alcune settimane fa) La madre dice che non può spostare nulla sennò il figlio si destabilizza e può anche diventare violento. Qualche anno fa mio marito ha cercato di contattare l'allora psichiatra del fratello, ma questi gli ha negato qualsiasi informazione. Mi sembra che, dalla morte del padre, madre e figlio siano diventati l’uno per l’altra il surrogato della persona amata e perduta e vivonoin una simbiosi (forze azzardo troppo...) malsana. Mio marito, dal canto suo, invece ha continuato gli studi fino alla laurea e non è mai ritornato ad abitare in quella casa. Oggi la madre però continua a trattare il figlio depresso come un bambino piccolo e malato anche in pubblico. Mio cognato è una persona intelligente, quando “c’è” è capace di battute spiritose e sa stare in compagnia. E tutti intorno a lui sembrano fingere che vada tutto bene. Ma non vedono quello che vedo io? Una vita sprecata in un disagio senza fine, un’intelligenza assopita a causa dei farmaci. Ma io posso fare qualcosa? Se mio marito insiste, può riuscire ad ottenere un colloquio con lo psichiatra che si occupa del fratello ed ottenere informazioni sulle sue condizioni effettive? Può decidere di cambiare specialista e avere altri pareri? Persone affette da depressione maggiore possono vivere da sole, seppur vicino ai famigliari (ad es. stesso condominio) o non possono essere indipendenti? A volte sento che l’unico modo per farlo rivivere sarebbe quello di separarlo dalla madre (che purtroppo ha una visione della vita tutta sua, molto fatalista, “è così non ci si può far niente, lascia perdere, non fare, a che serve”, ecc.) e fargli vivere un po’ di libertà per sentirsi una persona viva. Grazie per i preziosi consigli. Cordiali saluti.
Il fratello di mio marito soffre di una “depressione maggiore” iniziata alla morte del padre oltre 20 anni fa. Per una sorta di pudore della madre, è sempre stato difficile per mio marito ottenere informazioni circostanziate sullo stato di salute del fratello, le medicine, il medico curante, e ha finito per lasciar perdere.
Mio cognato, 47 anni, vive con sua madre, 73, in una villetta. Una volta era una gran bella casa, ma ora è un vero tugurio. Pile di libri ancora impacchettati riempiono la casa (mio cognato spende migliaia di euro per acquisti inutili su internet), cataste di giornali colmano gli spazi restanti, le tende e i muri sono luridi, coperti di gigantesche ragnatele nere, nelle credenze i piatti esposti sono pure coperti di ragnatele, la cucina è un ammasso di pattume e in casa regna il tanfo.. E’ tutto fermo, immobile, impolverato, senza vita. Mia suocera non può occuparsi della casa e del figlio insieme e questi rifiuta sistematicamente la presenza di un aiuto per la casa. Non c'è posto per possibili ospiti o visite, e in quello spazio mio cognato sopravvive e vaga, dormendo 18 ore al giorno e passando il resto della giornata stordito dalle medicine (tanto che non riusciva nemmeno ad alzare una gamba per allacciasi la scarpa alcune settimane fa) La madre dice che non può spostare nulla sennò il figlio si destabilizza e può anche diventare violento. Qualche anno fa mio marito ha cercato di contattare l'allora psichiatra del fratello, ma questi gli ha negato qualsiasi informazione. Mi sembra che, dalla morte del padre, madre e figlio siano diventati l’uno per l’altra il surrogato della persona amata e perduta e vivonoin una simbiosi (forze azzardo troppo...) malsana. Mio marito, dal canto suo, invece ha continuato gli studi fino alla laurea e non è mai ritornato ad abitare in quella casa. Oggi la madre però continua a trattare il figlio depresso come un bambino piccolo e malato anche in pubblico. Mio cognato è una persona intelligente, quando “c’è” è capace di battute spiritose e sa stare in compagnia. E tutti intorno a lui sembrano fingere che vada tutto bene. Ma non vedono quello che vedo io? Una vita sprecata in un disagio senza fine, un’intelligenza assopita a causa dei farmaci. Ma io posso fare qualcosa? Se mio marito insiste, può riuscire ad ottenere un colloquio con lo psichiatra che si occupa del fratello ed ottenere informazioni sulle sue condizioni effettive? Può decidere di cambiare specialista e avere altri pareri? Persone affette da depressione maggiore possono vivere da sole, seppur vicino ai famigliari (ad es. stesso condominio) o non possono essere indipendenti? A volte sento che l’unico modo per farlo rivivere sarebbe quello di separarlo dalla madre (che purtroppo ha una visione della vita tutta sua, molto fatalista, “è così non ci si può far niente, lascia perdere, non fare, a che serve”, ecc.) e fargli vivere un po’ di libertà per sentirsi una persona viva. Grazie per i preziosi consigli. Cordiali saluti.
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Gentile utente,
Il medico è tenuto alla riservatezza. E' necessario il consenso della persona per trasmettere informazioni riservate. Se crede può accompagnarlo e con il suo consenso partecipare al colloquio, o consigliarlo di chiedere un secondo parere.
Il quadro non sembra così "semplice" come indicherebbe una depressione maggiore. Poi che duri da 20 anni in maniera sostanzialmente stabile è aspetto da approfondire. La persona potrebbe trovarsi in una condizione che in qualche modo gli sta bene. Il giudizio esterno di "bizzarria" è comprensibile, ma non sempre equivale ad una condizione di malattia.
Il medico è tenuto alla riservatezza. E' necessario il consenso della persona per trasmettere informazioni riservate. Se crede può accompagnarlo e con il suo consenso partecipare al colloquio, o consigliarlo di chiedere un secondo parere.
Il quadro non sembra così "semplice" come indicherebbe una depressione maggiore. Poi che duri da 20 anni in maniera sostanzialmente stabile è aspetto da approfondire. La persona potrebbe trovarsi in una condizione che in qualche modo gli sta bene. Il giudizio esterno di "bizzarria" è comprensibile, ma non sempre equivale ad una condizione di malattia.
Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini
[#2]
Utente
Gentile Dottor Pacini, grazie mille per la risposta che mi ha fatto riflettere, soprattutto quando lei scrive che in qualche modo al paziente può andar bene stare così. E' quello sostiene mio marito. Seguiremo comunque il suo consiglio chiedendo di partecipare a un colloquio. Quanto al secondo parere, la madre - e non lui - non ne vuole sapere. Grazie ancora e buon fine settimana.
Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 2.4k visite dal 08/02/2009.
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