Dicotomia
Sono una giovane artista e vorrei scrivere di una dicotomia che mi caratterizza e che con il tempo, noto, tende ad accentuarsi.
Per rendere al meglio quello che intendo spesso mi raffiguro una macchina che ha il freno a mano inserito e il piede affondato sull’acceleratore.
Sono, ad uno sguardo perimetrale, un’esplosione di allegria. Nelle mie frasi raramente non si inserisce una battuta, raramente chiudo gli occhi la sera senza aver fatto durante il giorno almeno un paio di scherzetti . Ho un’ironia a volte pungente ma mai offensiva, le persone prima degli occhi vedono i miei denti impegnati in aperti sorrisi. Avverto una carica interna e un desiderio di ridere e giocare a volte irrefrenabile che esprimo spesso in modo anche molto creativo. Canto, urlo e pare che io sia un divertimento per le persone che mi circondano. E se il movimento è vita io sono un turbine che scompiglia e mette buonumore dovunque passi. Mi definiscono positivamente folle .
Ma a questo movimento si contrappone, in fondo, un’immobilità mortale. Una stagnazione, un’impossibilità di spiccare veramente il volo, di partire, di esplodere. Ci sono momenti, sopratutto nella solitudine, che devo dire amo e odio, in cui sono agghiacciata dalla realtà. Provo una forte pena per il mondo, si fa strada un’altrettanto familiare tristezza. Sembra che mi carichi di dolore, un dolore universale.
Questa mia sfumatura amara è matrice di una creatività disperata, diametralmente opposta all’altra e con un fine diverso: è una breve risalita in superficie, una fortuita boccata d’aria prima di tornare a lottare contro l’annegamento.
Questo annaspare nella vita è probabilmente la condizione più autentica, per cui mi dico che la tristezza che ne deriva non ha nulla di deformante; è il sentimento che naturalmente consegue a questo stato di cose.
Se dovessi chiedermi: in che modo allora ti appare il mondo nella tua facciata allegra, direi, forse, ancora più agghiacciante. Solo che in quei momenti questa terribilità si trasforma in una forma di gioco che, sottolineo, non è una forzatura. Io vivo questo mio aspetto ironico come spontaneo.
Quello che mi spossa è il continuo andirivieni di queste due forme di esistere e la lieve sensazione di doppia identità che ne deriva anche se sono conscia del fatto che lo sfondo è sempre nero.
Eppure né all’una né all’altra so/posso rinunciare e anche la tristezza/ è piena d’ incanto/ come un giardino verde/ in inverno (J. Iwaszkiewicz)
Grazie
Per rendere al meglio quello che intendo spesso mi raffiguro una macchina che ha il freno a mano inserito e il piede affondato sull’acceleratore.
Sono, ad uno sguardo perimetrale, un’esplosione di allegria. Nelle mie frasi raramente non si inserisce una battuta, raramente chiudo gli occhi la sera senza aver fatto durante il giorno almeno un paio di scherzetti . Ho un’ironia a volte pungente ma mai offensiva, le persone prima degli occhi vedono i miei denti impegnati in aperti sorrisi. Avverto una carica interna e un desiderio di ridere e giocare a volte irrefrenabile che esprimo spesso in modo anche molto creativo. Canto, urlo e pare che io sia un divertimento per le persone che mi circondano. E se il movimento è vita io sono un turbine che scompiglia e mette buonumore dovunque passi. Mi definiscono positivamente folle .
Ma a questo movimento si contrappone, in fondo, un’immobilità mortale. Una stagnazione, un’impossibilità di spiccare veramente il volo, di partire, di esplodere. Ci sono momenti, sopratutto nella solitudine, che devo dire amo e odio, in cui sono agghiacciata dalla realtà. Provo una forte pena per il mondo, si fa strada un’altrettanto familiare tristezza. Sembra che mi carichi di dolore, un dolore universale.
Questa mia sfumatura amara è matrice di una creatività disperata, diametralmente opposta all’altra e con un fine diverso: è una breve risalita in superficie, una fortuita boccata d’aria prima di tornare a lottare contro l’annegamento.
Questo annaspare nella vita è probabilmente la condizione più autentica, per cui mi dico che la tristezza che ne deriva non ha nulla di deformante; è il sentimento che naturalmente consegue a questo stato di cose.
Se dovessi chiedermi: in che modo allora ti appare il mondo nella tua facciata allegra, direi, forse, ancora più agghiacciante. Solo che in quei momenti questa terribilità si trasforma in una forma di gioco che, sottolineo, non è una forzatura. Io vivo questo mio aspetto ironico come spontaneo.
Quello che mi spossa è il continuo andirivieni di queste due forme di esistere e la lieve sensazione di doppia identità che ne deriva anche se sono conscia del fatto che lo sfondo è sempre nero.
Eppure né all’una né all’altra so/posso rinunciare e anche la tristezza/ è piena d’ incanto/ come un giardino verde/ in inverno (J. Iwaszkiewicz)
Grazie
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E' apprezzabile l'impegno a "poetizzare" un quesito medico se di questo si tratta, dovrebbe gentilmente però, anche a corollario della sua descrizione, porre una domanda diretta su cosa la disturba attualmente,
Saluti
Saluti
Dr G. Nicolazzo
Specialista in Psichiatria
Psicoterapeuta
[#3]
Ex utente
Mi scusi dottore, ho usato una forma fastidiosa e fastidiosamente romantica.
Mi disturba la tristezza e questo passaggio di "stati", che non capisco se sia legato al mio carattere o un problema più specifico. Temo nello stesso tempo di ricevere la seconda risposta.
A volte, come ora, vivo la vita come terribile e insensata.
Buon lavoro e viva la Calabria..
Mi disturba la tristezza e questo passaggio di "stati", che non capisco se sia legato al mio carattere o un problema più specifico. Temo nello stesso tempo di ricevere la seconda risposta.
A volte, come ora, vivo la vita come terribile e insensata.
Buon lavoro e viva la Calabria..
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 827 visite dal 08/03/2019.
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