Meccanismo di sforzo-ricompensa
Dottori,
scrivo per dare un nome al mio disturbo e, se fortunato, sentire qualche storia clinica
analoga trattata con successo.
Segnalo 4 precedenti consulti dal vivo con vostri colleghi, nessuna diagnosi, nessun trattamento.
Quadro: apatia, inattività estrema (impedisce atti quotidiani come fare la spesa, pagare bollette, cucinare ecc.), sopravvalutazione del grado di difficoltà e di stress di ogni azione (dopo due giorni di frigo vuoto magari vado a fare la spesa, ma la vivo come fosse una battaglia, giusto senza l'elmetto, ma disarmato. Procrastino ogni cosa), auto-sabotaggio (vari comportamenti finalizzati a mantenere lo stato di abulia) ma accettato con serenità (abulia che quindi pare soddisfare una qualche parte di me che non conosco), risposta emotiva incongrua alla situazione (umore stabile, buono).
Situazione consolidatasi in anni, circa 6.
Fino a qua niente di troppo grave, perlomeno per me.
Ho saputo adeguarmi.
Scarico la responsabilità di questo ammalarsi (diffuso, a giudicare dalle vendite di xanax) all'ambiente.
Il vivere sociale è immerso nell'ignoranza, e quindi il minimo è aspettarsi che la demenzialità ne abbracci ogni aspetto (economia, politica, lavoro, intrattenimento, cultura, vita sociale). Prenderne consapevolezza è pagarne le conseguenze; quindi ansia, noia e rifiuto.
Ma si può fare. Si può vivere bene ai margini, rifiutando il pensare comune, senza affermarsi.
Quello che non si può fare è rendersi nemici se l'ambiente è ostile.
Quindi, da titolo, l'ultimo sintomo, l'unico a causarmi disperazione:
quando approccio qualcosa di bello e raro inizialmente mi accendo, provo una forte motivazione (altra curiosità: qual è l'origine della motivazione nel cervello?), un desiderio di vita, di amor proprio, di sfida a quel bello, quindi di creazione.
Mi convinco di fare.
Ed ecco lo sforzo. La ricompensa è l'euforia. Ma dopo poco il buio. Tutto resta solo nella mia mente, poi nei fatti irraggiungibile, pesante, come se la troppa volontà inciampasse su se stessa. Assurdo.
Sforzo interrotto e ricompensa di malinconia.
Impossibilitato da me stesso a perseguire la mia volontà.
Ho letto di fobie della felicità, della vittoria, ma qui è diverso. Nè felicità nè vittoria, non sono nelle mie mire.
C'è qualcosa che non va nel mio pensiero, quale chimica mi sta annientando?
Su di me: vivo solo, non lavoro, nessuna istruzione (terza media), buona autostima, vita sessuale quasi assente (se esco a bere e lei mi rimorchia ci faccio sesso, ma senza seduzione è noioso. La mattina dopo non sopporto l'avere un'estranea in casa), passato di abuso di droghe e predisposizione alla dipendenza (per questo già evitate benzodiazepine), rifiuto di legami ma estremo altruismo (sono senza soldi e regalo quello che ho ad un mendicante), spiritualità bassa (non parlo di religione, che trovo comica, parlo di indagine verso la natura).
Ultimi caratteri per ringraziarvi e complimentarmi.
Svincolata dalla logica del profitto, la medicina diventa una speranza.
Saluti
scrivo per dare un nome al mio disturbo e, se fortunato, sentire qualche storia clinica
analoga trattata con successo.
Segnalo 4 precedenti consulti dal vivo con vostri colleghi, nessuna diagnosi, nessun trattamento.
Quadro: apatia, inattività estrema (impedisce atti quotidiani come fare la spesa, pagare bollette, cucinare ecc.), sopravvalutazione del grado di difficoltà e di stress di ogni azione (dopo due giorni di frigo vuoto magari vado a fare la spesa, ma la vivo come fosse una battaglia, giusto senza l'elmetto, ma disarmato. Procrastino ogni cosa), auto-sabotaggio (vari comportamenti finalizzati a mantenere lo stato di abulia) ma accettato con serenità (abulia che quindi pare soddisfare una qualche parte di me che non conosco), risposta emotiva incongrua alla situazione (umore stabile, buono).
Situazione consolidatasi in anni, circa 6.
Fino a qua niente di troppo grave, perlomeno per me.
Ho saputo adeguarmi.
Scarico la responsabilità di questo ammalarsi (diffuso, a giudicare dalle vendite di xanax) all'ambiente.
Il vivere sociale è immerso nell'ignoranza, e quindi il minimo è aspettarsi che la demenzialità ne abbracci ogni aspetto (economia, politica, lavoro, intrattenimento, cultura, vita sociale). Prenderne consapevolezza è pagarne le conseguenze; quindi ansia, noia e rifiuto.
Ma si può fare. Si può vivere bene ai margini, rifiutando il pensare comune, senza affermarsi.
Quello che non si può fare è rendersi nemici se l'ambiente è ostile.
Quindi, da titolo, l'ultimo sintomo, l'unico a causarmi disperazione:
quando approccio qualcosa di bello e raro inizialmente mi accendo, provo una forte motivazione (altra curiosità: qual è l'origine della motivazione nel cervello?), un desiderio di vita, di amor proprio, di sfida a quel bello, quindi di creazione.
Mi convinco di fare.
Ed ecco lo sforzo. La ricompensa è l'euforia. Ma dopo poco il buio. Tutto resta solo nella mia mente, poi nei fatti irraggiungibile, pesante, come se la troppa volontà inciampasse su se stessa. Assurdo.
Sforzo interrotto e ricompensa di malinconia.
Impossibilitato da me stesso a perseguire la mia volontà.
Ho letto di fobie della felicità, della vittoria, ma qui è diverso. Nè felicità nè vittoria, non sono nelle mie mire.
C'è qualcosa che non va nel mio pensiero, quale chimica mi sta annientando?
Su di me: vivo solo, non lavoro, nessuna istruzione (terza media), buona autostima, vita sessuale quasi assente (se esco a bere e lei mi rimorchia ci faccio sesso, ma senza seduzione è noioso. La mattina dopo non sopporto l'avere un'estranea in casa), passato di abuso di droghe e predisposizione alla dipendenza (per questo già evitate benzodiazepine), rifiuto di legami ma estremo altruismo (sono senza soldi e regalo quello che ho ad un mendicante), spiritualità bassa (non parlo di religione, che trovo comica, parlo di indagine verso la natura).
Ultimi caratteri per ringraziarvi e complimentarmi.
Svincolata dalla logica del profitto, la medicina diventa una speranza.
Saluti
[#1]
Premesso che il sito non propone diagnosi sostitutive e nonnc'è interazione con altri utenti nel proprio consulto, dalle visite che avrebbe fatto senza diagnosi è scaturito un trattamento farmacologico?
Dr. F. S. Ruggiero
http://www.francescoruggiero.it
Dr. F. S. Ruggiero
http://www.francescoruggiero.it
https://wa.me/3908251881139
https://www.instagram.com/psychiatrist72/
[#2]
Utente
Buongiorno,
Grazie per la risposta.
Non ho capito la premessa, quali altri utenti? Non una diagnosi ma una visione più approfondita del problema.
Nessun trattamento farmacologico.
Mi era stato proposto un ansiolitico blando dai miei genitori, entrambi medici, che ho rifiutato,
considerando ai tempi l'ansia come positiva e non limitante.
Saluti
Grazie per la risposta.
Non ho capito la premessa, quali altri utenti? Non una diagnosi ma una visione più approfondita del problema.
Nessun trattamento farmacologico.
Mi era stato proposto un ansiolitico blando dai miei genitori, entrambi medici, che ho rifiutato,
considerando ai tempi l'ansia come positiva e non limitante.
Saluti
[#3]
Utente
Aggiungo che sarebbe interessante avere uno storico di un caso simile trattato con successo. Quali farmaci sono stati prescritti, per quanto tempo, effetti collaterali, eventuali ricadute, altro.
Tralasciando i fattori di soggettività che differenziano ogni paziente, mettere a fuoco i punti su cui si può lavorare aiuterebbe sia me che un futuro professionista, che mi troverebbe più preparato e meglio disposto.
Altri saluti
Tralasciando i fattori di soggettività che differenziano ogni paziente, mettere a fuoco i punti su cui si può lavorare aiuterebbe sia me che un futuro professionista, che mi troverebbe più preparato e meglio disposto.
Altri saluti
[#4]
Utente
Aggiornamento: ho di recente commentato un articolo divulgativo del dottor Pacini sull'anedonia.
Sposto qui la conversazione per un dubbio che riguarda il mio vissuto.
Il dottore, esperto di sostanze stupefacenti, individua nelle possibili cause anche quella post-traumatica.
Se invece fosse post-estasi?
Consideriamo una massiccia assunzione di Mdma.
Può succedere che inconsapevolmente l'asticella venga messa lì e che quindi, nonostante si individui una fonte di piacere, (consideriamo sempre una situazione priva di stress/ostacoli) la motivazione non assuma consistenza per il ricordo di quel rilascio estremo di serotonina e dopamina?
Se fosse, la percezione non può mai essere determinata da un'analisi razionale?
Chiudo anche qui con la domanda circa possibile intervento farmacologico sui neurotrasmettitori deputati.
Sposto qui la conversazione per un dubbio che riguarda il mio vissuto.
Il dottore, esperto di sostanze stupefacenti, individua nelle possibili cause anche quella post-traumatica.
Se invece fosse post-estasi?
Consideriamo una massiccia assunzione di Mdma.
Può succedere che inconsapevolmente l'asticella venga messa lì e che quindi, nonostante si individui una fonte di piacere, (consideriamo sempre una situazione priva di stress/ostacoli) la motivazione non assuma consistenza per il ricordo di quel rilascio estremo di serotonina e dopamina?
Se fosse, la percezione non può mai essere determinata da un'analisi razionale?
Chiudo anche qui con la domanda circa possibile intervento farmacologico sui neurotrasmettitori deputati.
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 857 visite dal 04/11/2018.
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