Neurofeedback VS farmaci per ADD
Scrivo la presente per chiarire alcuni dubbi a riguardo del neurofeedback.
La domanda è: quali sono le linee guida date dalla scienza ufficiale, dall'organizzazione mondiale della sanità e istituzioni simili per il trattamento dell'ADD?
Ovvero: il neurofeedback è indicato come trattamento di primo livello per questo tipo di disturbo?
il contesto:
sono in cura da 2 anni con psicoterapista e psichiatra (privati), rivoltomici per depressione, stanno emergendo con sempre più chiarezza indizi relativi a un disturbo di ADHD sottotipo inattentivo. Sono stato visitato da altri 2 specialisti (sempre privatamente) che hanno al momento convalidato la nostra ipotesi.
Lo psichiatra mi ha prospettato l'utilizzo del nfbk per questo disturbo. Ho cercato di raccogliere informazioni, trovando sia riscontri anedottici positivi, sia pubblicazioni scientifiche (su PubMed) in cui la pratica o non superava blind test o veniva valutata in congiunzione all'utilizzo di farmaci stimolanti, per ridurne le dosi e/o aumentarne l'efficacia.
Il problema è che sto neurofeedback costa molto e non lavorando da 2 anni sto per finire i soldi, detto in maniera diretta. Cosa dovrei fare altrimenti?
Ho lavorato dai 20 ai 33 considerando lo sforzo nel fare le cose come una caratteristica inevitabile, intrinseca del mio modo di essere, ho vissuto un disagio costante per tutta la vita. Ho cercato di ignorare questo dolore e ho lavorato duramente, nella speranza che a furia di sforzarmi mi sarei "abituato", fino a quando non si è rotto qualcosa dentro di me, e non sono più stato in grado di sperare in un miglioramento. Non voglio più vivere in questo modo.
Sono stato visto diverse volte da psicologi nell'infanzia, a detta di mia madre (che aveva notato "stranezze"), ma sempre senza risultati, bensì con minimizzazioni e incoraggiamenti (uno su tutti, quello che mi fa incacchiare di più "signora, anche Einstein era disordinato!".)
Ho vissuto colpevolizzazioni continue, il classico "è intelligente ma non si applica" in loop per tutta la mia vita scolastica, la frustrazione di vedere compagni di classe che apprendevano con meno fatica rispetto a me riuscire ad andare avanti negli studi, l'impossibilità di concludere un percorso accademico.
E diverse richieste d'aiuto alla psicoterapia pubblica e privata che quando andava bene riuscivano per lo più a produrre miglioramenti accessori, contingenti e di breve durata.
Capirete la sfiducia, e la rabbia.
Ho impiegato molta fatica a comporre questo consulto, quindi vi prego, se dovete rispondere in maniera superficiale come il Dr. Pacini nello scorso consulto, cortesemente evitate. Ho già poche energie residue, doverle investirle per controllare la rabbia e non perdere definitivamente la fiducia nella disciplina medica è un chiaro spreco.
La domanda è: quali sono le linee guida date dalla scienza ufficiale, dall'organizzazione mondiale della sanità e istituzioni simili per il trattamento dell'ADD?
Ovvero: il neurofeedback è indicato come trattamento di primo livello per questo tipo di disturbo?
il contesto:
sono in cura da 2 anni con psicoterapista e psichiatra (privati), rivoltomici per depressione, stanno emergendo con sempre più chiarezza indizi relativi a un disturbo di ADHD sottotipo inattentivo. Sono stato visitato da altri 2 specialisti (sempre privatamente) che hanno al momento convalidato la nostra ipotesi.
Lo psichiatra mi ha prospettato l'utilizzo del nfbk per questo disturbo. Ho cercato di raccogliere informazioni, trovando sia riscontri anedottici positivi, sia pubblicazioni scientifiche (su PubMed) in cui la pratica o non superava blind test o veniva valutata in congiunzione all'utilizzo di farmaci stimolanti, per ridurne le dosi e/o aumentarne l'efficacia.
Il problema è che sto neurofeedback costa molto e non lavorando da 2 anni sto per finire i soldi, detto in maniera diretta. Cosa dovrei fare altrimenti?
Ho lavorato dai 20 ai 33 considerando lo sforzo nel fare le cose come una caratteristica inevitabile, intrinseca del mio modo di essere, ho vissuto un disagio costante per tutta la vita. Ho cercato di ignorare questo dolore e ho lavorato duramente, nella speranza che a furia di sforzarmi mi sarei "abituato", fino a quando non si è rotto qualcosa dentro di me, e non sono più stato in grado di sperare in un miglioramento. Non voglio più vivere in questo modo.
Sono stato visto diverse volte da psicologi nell'infanzia, a detta di mia madre (che aveva notato "stranezze"), ma sempre senza risultati, bensì con minimizzazioni e incoraggiamenti (uno su tutti, quello che mi fa incacchiare di più "signora, anche Einstein era disordinato!".)
Ho vissuto colpevolizzazioni continue, il classico "è intelligente ma non si applica" in loop per tutta la mia vita scolastica, la frustrazione di vedere compagni di classe che apprendevano con meno fatica rispetto a me riuscire ad andare avanti negli studi, l'impossibilità di concludere un percorso accademico.
E diverse richieste d'aiuto alla psicoterapia pubblica e privata che quando andava bene riuscivano per lo più a produrre miglioramenti accessori, contingenti e di breve durata.
Capirete la sfiducia, e la rabbia.
Ho impiegato molta fatica a comporre questo consulto, quindi vi prego, se dovete rispondere in maniera superficiale come il Dr. Pacini nello scorso consulto, cortesemente evitate. Ho già poche energie residue, doverle investirle per controllare la rabbia e non perdere definitivamente la fiducia nella disciplina medica è un chiaro spreco.
[#1]
Lei definisce una risposta superficiale quella che è stata una risposta corretta e mi pare anche pertinente.
Se continua a riferire diagnosi che non le sono state fatte le confermo che non ha senso questo approccio.
Inoltre, è chiaro che se uno si informa minimamente di questo disturbo, non può non trovare che le cure di prima scelta sono altre.
Cosa deve fare ? Far lavorare i suoi medici sulla diagnosi, non su cose che "stanno emergendo" e che quindi non sono diagnosi. Oltretutto, se i suoi medici la conoscono e la seguono, non credo che non possano averle dato informazioni in merito (alle diagnosi che hanno fatto).
Ora sentiamo intanto lo staff se sia o meno opportuno fare commenti denigratori su chi le risponde.
Se continua a riferire diagnosi che non le sono state fatte le confermo che non ha senso questo approccio.
Inoltre, è chiaro che se uno si informa minimamente di questo disturbo, non può non trovare che le cure di prima scelta sono altre.
Cosa deve fare ? Far lavorare i suoi medici sulla diagnosi, non su cose che "stanno emergendo" e che quindi non sono diagnosi. Oltretutto, se i suoi medici la conoscono e la seguono, non credo che non possano averle dato informazioni in merito (alle diagnosi che hanno fatto).
Ora sentiamo intanto lo staff se sia o meno opportuno fare commenti denigratori su chi le risponde.
Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 886 visite dal 30/09/2018.
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