Il nostro congiunto, ma nell'impossibilità non sappiamo

Ringrazio innanzitutto della solerzia con cui ho ottenuto da voi una risposta e ciò va sicuramente a vantaggio di noi utenti e vi delinea come uno staff serio ed efficiente.
Al Dr. Fabrizio Marcolongo ed al Dr.Matteo Pacini vorrei spiegare meglio una cosa. Premesso che la schematizzazione d’intervento del Dr. Marcolongo è quanto mai puntuale, tuttavia non attinente alla mia richiesta, o meglio, sono io che avrei dovuto essere più preciso. La situazione estrema sarebbe una situazione ben codificata, avente un protocollo ben definito. La mia situazione è purtroppo (per me e la mia famiglia. Ho letto di situazioni veramente drammatiche!) nella “terra di mezzo”, in quel limbo in cui la degenerazione è iniziata, ma non ha ancora i presupposti per un intervento “d’emergenza”. Mio cognato ha due sorelle di cui una è la maggiore dei tre ed è mia moglie. In questi dieci e passa anni il nostro (mio, di mia moglie e della sorella) apporto si è sempre adeguato alle richieste, di pacatezza e di non intervento, fatte dai miei suoceri, da qui “l’appiattimento” di cui parlavo. Tuttavia, nonostante vi fosse un filo diretto tra il precedente psichiatra ed i miei suoceri, il loro “metodo” di assistenza, oltre al controllo della terapia da seguire, nei suoi accessi d’ira o di apatia, si limitava all’assorbimento delle conseguenze invitando noi a tollerarle in virtù del principio della “giornata no”. Ora, tale comportamento ha comunque logorato la loro capacità di reazione al punto da ottunderli anche nel merito della loro salute ed è per tale motivo, dato che l’attuale psicologo/psichiatra non vuole interloquire assolutamente con gli altri familiari, che tutti insieme, figlie e genitori, vorrebbero affrontare un percorso tale da poter avere gli strumenti per gestire la situazione. Ciò sottintende una richiesta a 360°, volta sia alle strutture pubbliche, ma anche alle associazioni private. Noi vorremmo chiedere tale consiglio al medico che cura il nostro congiunto, ma nell’impossibilità non sappiamo a chi affidarci e perciò che mi sono preso l’incarico di trovare una risposta a tale richiesta d’aiuto che tanto gioverebbe a loro, a noi e a mio cognato! Per quanto riguarda la dipendenza di mia moglie dalla sua famiglia, bhe, probabilmente l’analisi è giusta, anzi, io più correttamente l’estenderei anche agli altri figli dato che sicuramente si tratta di un rapporto familiare molto simbiotico (tenendo anche conto che viviamo in 4 case distanti non più di 200 metri l’uno dall’altro), ma tali sfaccettature sarebbero da analizzare in un contesto terapeutico di sostegno, perché oggettivamente (anche se ormai molto coinvolto emotivamente), secondo me, il problema impellente è la salute (psichica e fisica) dei miei suoceri! L’interfaccia privilegiato da mio cognato è la madre. Venendo a mancare tale cerniera la situazione, nonostante la buona volontà e la rassegnazione al futuro (speriamo più lontano possibile) passaggio di consegne, verrebbero irrimediabilmente compromesse. Lui non ha fiducia nelle sorelle ed addirittura vede in me alternativamente la nemesi contro cui opporsi o il burattinaio, di alcuni dei suoi deliri, con cui venire a patti o con cui confrontarsi in uno scambio dialettico. Insomma… la situazione non è urgente, ma… è proprio necessario che sia urgente per metterci riparo tenendo conto del fatto che siamo pronti ad impegnarci noi per primi? Infine, a scanso di equivoci, ci tengo a precisare e a sottolineare che “il passaggio di consegne” per noi è metabolizzato e considerato come la naturale prosecuzione di un percorso familiare e proprio in virtù di ciò che vorremmo che avvenisse sotto i migliori auspici (ho una figlia di 13 anni e alcune volte tale peso familiare ricade anche su di lei e io NON LO VOGLIO nella maniera più assoluta! Per la sua età ha già fatto più del dovuto.).
Ringraziando ancora per le vostre risposte, spero che quanto sopra chiarisca meglio l’origine della NOSTRA richiesta e permetta a voi di essere ancor più esaustivi di prima.

P.S.
Nel frattempo è arrivata anche la risposta della D.ssa Franca Scapellato che ringrazio ed a cui confermo, come spero aver chiarito meglio sopra, che anche i genitori si sono convinti di aver bisogno di un sostegno più pertinente, ed a tal scopo mi sembra che il link da lei fornito sia un buon inizio. Sarà mia premura poter fornire loro un ventaglio di scelte di questo tipo così che si sentano alla fine liberi nella decisione che prenderanno. Grazie ancora.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45.2k 1k
Gentile utente,

la situazione mi sembra però strana. Se la diagnosi è di schizofrenia, come è possibile che lo psichiatra non interloquisca con i familiari ? Questo tipo di pazienti non sono in genere autonomi per la gestione delle terapie e per la descrizione delle proprie condizioni oggettive, tipicamente si fa riferimento ad uno o più familiari per gestire il caso. I pazienti di questo tipo hanno una coscienza di malattia assente, comprendono soltanto l'esistenza di vincoli per ragioni che spesso non corrispondono a quelle reali.
In secondo luogo, che cosa esattamente richiede al "resto del mondo" in termini assistenziali ? Se non fa richieste precise non comprendo quale sia l'aspettativa in questo senso. Lavorativa ? Psicoterapica della famiglia ? di assistenza sociale-sanitaria in maniera da sgravare la famiglia di questo compito ?

Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini

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Attivo dal 2008 al 2010
Ex utente
Ok, Dr. Pacini, ammesso che mi sbagli (non sono un medico), che non si tratti di schizofrenia, l'alternativa sicuramente è una forte depressione. Quello che noi familiari chiediamo "all'universo mondo" è semplicemente un indirizzo, una direzione, un punto di partenza per un percorso di sostegno per due genitori che non hanno più la forza di continuare! PERSONALMENTE reputo che anche il medico di base (interlocutore dello psicologo/psichiatra che ha in cura il nostro caro) non è stato in grado di ben consigliare i due. Nelle mie precedenti lettere, ho cercato di spiegare meglio che potevo la nostra situazione. Io sono il cognato del malato, marito della sorella maggiore, genero delle persone destinatarie dell'aiuto. Non sappiamo da che parte cominciare. Penso che ci sarebbe bisogno di un gran sostegno psicologico e soprattutto di consigli su come affrontare la situazione "malattia" del figlio, specificatamente per il tipo di patologia, e genericamente per il fatto che da "grandi" si ritrovano a fronteggiare un "momento" (11 anni) del genere. Il medico di base fornisce "giudizi" sull'andamento della terapia psicologica del figlio, ma non fornisce alcun supporto per fronteggiare la situazione. In buona sostanza ci troviamo nella situazione in cui loro non hanno nessuna indicazione metodologica nel rapportarsi con il figlio durante i suoi accessi di depressione, di scoramento; nei momenti in cui egli viaggia alla deriva di pensieri negativi e di chiusura; giornate in cui non lo sentono pronunciare parola e si aggira in casa facendo la spola tra il letto ed il frigorifero. Quello che mi domando è se in questo caso chi potrebbe dar loro una mano? Dovrebbe essere il medico di base a dare queste indicazioni? E se non lo fa, è lecito rivolgersi ad uno psicologo, ovvero ad uno psichiatra, ovvero ad una struttura pubblica per avere queste indicazioni? Ripeto: non sono un medico, ma penso che abbiano bisogno di un aiuto più tecnico di quello che dei figli possano dare. Ancora Grazie.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45.2k 1k
Gentile utente,

depressione e schizofrenia sono due entità totalmente diverse, con prognosi diverse e quindi sostegni diversi da poter offrire ai familiari.
Lei parla di terapia psicologica, e diceva che della terapia farmacologica non sa la composizione, eppure questi sono elementi senza i quali non è possibile neanche avere una sommaria idea della situazione.
Voglio dire, in un ragionamento sui consigli da dare ai familiari è necessario sapere
a) se è stata fatta diagnosi e quale, se non è stata fatta è il primo passo da ri-fare
b) se è in corso una terapia e per che cosa, con quali effetti collaterali
c) che cosa la persona è in grado di fare e se le sue menomazioni funzionali sono previste dalla malattia
Detto questo si può stabilire cosa ci si aspetta dalla malattia, cosa è possibile correggere con la cura e quale atteggiamento i familiari è consigliabile che assumano di fronte ai sintomi e rispetto alle aspettative di ripresa e guarigione.

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