Paroxetina
Gentili dottori, sono una ragazza di 23 anni con una vita normale, sempre indaffarata con studio e lavoro. Due anni fa in seguito a forte stress e ad una situazione che mi stava stretta ho iniziato a soffrire di attacchi di panico, non sapendo cosa fossero sono corsa dal dottore che a sua volta mi ha mandato da uno psichiatra. Quest'ultimo mi prescrive la paroxetina che assumo per l'anno e mezzo seguente. I primi tempi vanno alla grande, gli ultimi no. Mi accorgo che quando la dimentico sto meglio, niente ansia, niente attacchi, meno sonno e così via. Recentemente sotto supervisione del medico decido di scalarla iniziando a prenderne metà per una settimana e poi metà della metà per la settimana dopo. Tutto bene, i primi giorno vertigini e nausea, recentemente ansia, tachicardia, nodo di gola, iper emotività, svogliatezza. Attribuisco tutte le colpe al cambio del lavoro e di alcune circostanze in casa ma una volta dopo essermi stabilizzata con il lavoro mi accorgo che l'ansia c'è ancora e mi impedisce di mangiare e di vivere con serenità. Decido di tornare dal mio medico dove cerco parole di conforto e invece mi dice "mmm forse era troppo presto, ti riprescrivo il sereupin e prendilo regolarmente come prima". Ovviamente esco distrutta, ma non demordo e non lo prendo, solo che l'ansia mi fa perdere peso, mi si è contratto un gluteo e non riesco più a mangiare. Vado in erboristeria e la dottoressa mi consiglia un po' di intrugli, magnesio, rilassanti. Il tempo scorre e le cose non migliorano. Ora mi domando e vi scrivo per questo, quanto tempo ci vorrà per far sì che torni tutto alla normalità? Dovrei ascoltare il mio medico o andare per la mia strada? Non ho davvero nessun motivo per essere così giù di morale e vorrei che finisse tutto in fretta. Attendo vs gentili risposte intanto vi ringrazio
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" Decido di tornare dal mio medico dove cerco parole di conforto e invece mi dice "mmm forse era troppo presto, ti riprescrivo il sereupin e prendilo regolarmente come prima". Ovviamente esco distrutta, ma non demordo e non lo prendo"
Il medico fa un ragionamento comprensibile, Lei invece ci è già andata con un punto di partenza assurdo, cioè anziché sentire cosa le dice, per avere "parole di conforto".
Il medico deve dirle cosa ritiene utile, non confortare a vuoto e assecondare idee che non ritiene opportune.
Se uno sta male non si sa perché non debba demordere, come se curarsi fosse un gesto rinunciatario. Ragion per cui, o cambia i connotati di partenza di quest'idea, oppure si troverà a non saper utilizzare i medici e le loro indicazioni.
Il medico fa un ragionamento comprensibile, Lei invece ci è già andata con un punto di partenza assurdo, cioè anziché sentire cosa le dice, per avere "parole di conforto".
Il medico deve dirle cosa ritiene utile, non confortare a vuoto e assecondare idee che non ritiene opportune.
Se uno sta male non si sa perché non debba demordere, come se curarsi fosse un gesto rinunciatario. Ragion per cui, o cambia i connotati di partenza di quest'idea, oppure si troverà a non saper utilizzare i medici e le loro indicazioni.
Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 2.9k visite dal 10/06/2017.
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