Depressione e uso di farmaci: quanto andare avanti?

Sono una donna di 48 anni, da oltre 20 soffro ciclicamente di crisi di ansia e attacchi di panico, con conseguente comportamento da evitamento. Ho provato a uscirne con la terapia strategica breve, ma ho raggiunto risultati parziali e non duraturi. Lo psichiatra che mi ha visto ha diagnosticato una forma di depressione (benché io sia solitamente allegra, attiva, ottimista e con voglia di vivere) e mi ha prescritto quindi un antidepressivo da assumere tutti i giorni, la paroxetina, una quindicina di anni fa, assunta per uno - due anni. Dopo una pausa di un po' di anni, ho manifestato di nuovo i sintomi e ho preso di nuovo la paroxetina (questa volta seguita dal medico di base) per altri uno - due anni. Dopo un altro po' di anni ho avuto di nuovo bisogno e ora nell'ultimo anno il medico di base mi ha passato all' Escitalopram.
Gli effetti della paroxetina e dell'escitalopram sono stati per me pressoché identici, nel giro di 20-30 gg dalla prima assunzione ho iniziato a stare meglio, a non avere più ansie per cose normalissime e pensieri strani, tipo "se adesso decido di buttarmi dalla finestra chi mi può fermare? Nessuno. Quindi esiste il pericolo reale che ora io mi butti" oppure "il dentista mi ha messo questa nuova otturazione, e se io adesso non la volessi più, come farei a toglierla? Come faccio a resistere tutte queste ore, giorni, prima che il dentista la possa rimuovere?- segue agitazione e quasi panico".
Ora mi trovo dopo un anno e mezzo di cura ad essermi abituata a vivere senza ansie ingiustificate, pensieri assurdi e attacchi di panico, e sarei tentata di smettere la cura. Come ho fatto anche negli scorsi anni, ogni volta che vedevo che stavo bene.
Ogni volta che arrivo a dover ricominciare la cura è perché, dopo un periodo più o meno lungo di sofferenza che aumenta sempre più, realizzo che la qualità della mia vita è scaduta troppo, realizzo che certi comportamenti non sono normali e sani (tipo evitare di entrare in negozi troppo affollati o evitare di fare certe strade o non essere più in grado di salire le scale oltre un certo piano). All'inizio e alla fine della cura c'è un adattamento, che ha una certo "costo" (nel mio caso, ho notato un aumento di peso ogni volta che avviavo un nuovo periodo di cura (6 kg circa), poi tristezza (pianto facile) e irritabilità nella fase di uscita dalla cura e lenta perdita del peso accumulato - per fortuna!).
Mi chiedo quindi: ha senso interrompere la cura (20 mg al giorno) e poi, verosimilmente, ritrovarmi ad averne di nuovo bisogno tra un po' di anni? Esiste letteratura scientifica che supporti l'ipotesi di assumere per sempre questi farmaci?
Oppure: può essere più dannoso alternare anni in cui si fa uso di antidepressivi con anni in cui non si assumono, piuttosto che assumerli per sempre?
Grazie per la vostra attenzione.
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 42.6k 1k
L'uso continuativo della terapia ha indicazione quando si presentano più di due ricadute alla sospensione anche se a distanza di tempo.

Se la terapia ha una buona efficacia è poco utile considerare di doverla sospendere per poi avere una nuova ricaduta.

Dr. F. S. Ruggiero

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