Disturbo maniacale e gap
Gentili Dottori, mio marito (60 anni) è affetto da disturbo bipolare maniacale e impulso patologico al gioco d'azzardo.
La prima manifestazione "importante" della sua malattia (ma né io né tantomeno lui ce ne rendemmo conto allora) si ebbe quando aveva 33 anni e nacque il nostro secondogenito: dopo un mese di "blocco" intestinale, convinto di essere malato gravemente, si ricoverò in ospedale e si sottopose a tutti gli accertamenti del caso. Fu l'inizio di una fase depressiva piuttosto lunga (una decina di mesi, se ricordo bene) che "contagiò" anche me, essendo oltretutto nel periodo delicato del "post partum".
Negli anni successivi il tono dell'umore ha subito alti e bassi, con fasi di euforia durante le quali il suo comportamento a casa e al lavoro era, a dir poco, stravagante. Nel frattempo aveva intrapreso a frequentare con grande assiduità una comunità religiosa e, nello stesso tempo, a dedicarsi al gioco d'azzardo (ippica), sviluppando verso quest'ultimo una forte dipendenza che, inutile dirlo, ha fortemente condizionato la vita familiare minandone la tranquillità e compromettendo lo sviluppo psico-affettivo dei figli allora adolescenti.
Una decina di anni fa quelle che in passato sembravano semplici stranezze dovute al carattere rivelarono la loro vera natura: in preda a una sorta di esaltazione religiosa, cominciò a dare segni di squilibrio (violenze psicologiche nei confronti dei familiari per indurli alla "conversione", aggressività verbale, eloquio forbito con uso di termini desueti, spese pazze continue, generosità smodata verso gli altri, senso di onnipotenza, prevaricazione...) tali da indurmi a cercare l'aiuto di uno psichiatra.
Breve terapia a base di psicofarmaci (interrotta da lui nel giro di due settimane) ed improvviso viraggio verso lo stato depressivo (per 7-8 mesi lacrime, sensi di colpa, perdita dell'autostima...).
Altri anni di fasi altalenanti con qualche tentativo di cura interrotto sempre anzitempo, e poi il ricovero in clinica. Purtroppo quest'ultima esperienza è stata deludente: due settimane di sole cure farmacologiche (Depakin, Haldol, Farganesse), senza un minimo di psicoterapia, come invece avevano promesso; al contrario, assoluta assenza di disponibilità al dialogo da parte dell'équipe medica, soprattutto del primario. In conclusione, un senso di abbandono totale!
Ci siamo rivolti ad uno specialista della nostra zona e, da allora, avendo preso coscienza del suo male, mio marito segue abbastanza scrupolosamente una terapia farmacologica (due compresse di Depakin Chrono 500 al giorno e due compresse di Tavor da 2,5 mg alla sera prima di coricarsi) e si reca dallo psicoterapeuta ogni 2-3 settimane circa, ma non è ancora guarito. Attualmente alterna fasi di "umor nero" ad altre di relativa "normalità" con momentanei e repentini sbalzi di umore durante i quali si generano aspre conflittualità con i familiari che egli accusa di essere la causa dei suoi mali.
Quasi inalterata è rimasta la dipendenza al gioco, anche se uno sforzo da parte sua si è manifestato e le perdite oggi sono molto più contenute rispetto al passato, quando il suo stipendio non gli era sufficiente. La smania, tuttavia, è ancora forte e, se contrastato, diventa cattivo.
A parte il gioco, ora che è in pensione, non dimostra il benché minimo interesse per nessun'altra cosa, e quando è in casa trascorre tutto il suo tempo al computer in siti di giochi da tavola online, lamentandosi continuamente e rendendo l'atmosfera familiare pesante. E' una situazione che genera continua angoscia, anche perché, dopo così tanto tempo, le speranze di intravedere una via di uscita si sono di gran lunga affievolite in noi. Credete che mio marito, curato in modo adeguato, possa guarire dalla sua malattia? Che cosa dobbiamo fare noi familiari per aiutarlo, visto che dopo l'esperienza negativa vissuta in clinica è restio a farsi ricoverare di nuovo?
Grazie in anticipo.
La prima manifestazione "importante" della sua malattia (ma né io né tantomeno lui ce ne rendemmo conto allora) si ebbe quando aveva 33 anni e nacque il nostro secondogenito: dopo un mese di "blocco" intestinale, convinto di essere malato gravemente, si ricoverò in ospedale e si sottopose a tutti gli accertamenti del caso. Fu l'inizio di una fase depressiva piuttosto lunga (una decina di mesi, se ricordo bene) che "contagiò" anche me, essendo oltretutto nel periodo delicato del "post partum".
Negli anni successivi il tono dell'umore ha subito alti e bassi, con fasi di euforia durante le quali il suo comportamento a casa e al lavoro era, a dir poco, stravagante. Nel frattempo aveva intrapreso a frequentare con grande assiduità una comunità religiosa e, nello stesso tempo, a dedicarsi al gioco d'azzardo (ippica), sviluppando verso quest'ultimo una forte dipendenza che, inutile dirlo, ha fortemente condizionato la vita familiare minandone la tranquillità e compromettendo lo sviluppo psico-affettivo dei figli allora adolescenti.
Una decina di anni fa quelle che in passato sembravano semplici stranezze dovute al carattere rivelarono la loro vera natura: in preda a una sorta di esaltazione religiosa, cominciò a dare segni di squilibrio (violenze psicologiche nei confronti dei familiari per indurli alla "conversione", aggressività verbale, eloquio forbito con uso di termini desueti, spese pazze continue, generosità smodata verso gli altri, senso di onnipotenza, prevaricazione...) tali da indurmi a cercare l'aiuto di uno psichiatra.
Breve terapia a base di psicofarmaci (interrotta da lui nel giro di due settimane) ed improvviso viraggio verso lo stato depressivo (per 7-8 mesi lacrime, sensi di colpa, perdita dell'autostima...).
Altri anni di fasi altalenanti con qualche tentativo di cura interrotto sempre anzitempo, e poi il ricovero in clinica. Purtroppo quest'ultima esperienza è stata deludente: due settimane di sole cure farmacologiche (Depakin, Haldol, Farganesse), senza un minimo di psicoterapia, come invece avevano promesso; al contrario, assoluta assenza di disponibilità al dialogo da parte dell'équipe medica, soprattutto del primario. In conclusione, un senso di abbandono totale!
Ci siamo rivolti ad uno specialista della nostra zona e, da allora, avendo preso coscienza del suo male, mio marito segue abbastanza scrupolosamente una terapia farmacologica (due compresse di Depakin Chrono 500 al giorno e due compresse di Tavor da 2,5 mg alla sera prima di coricarsi) e si reca dallo psicoterapeuta ogni 2-3 settimane circa, ma non è ancora guarito. Attualmente alterna fasi di "umor nero" ad altre di relativa "normalità" con momentanei e repentini sbalzi di umore durante i quali si generano aspre conflittualità con i familiari che egli accusa di essere la causa dei suoi mali.
Quasi inalterata è rimasta la dipendenza al gioco, anche se uno sforzo da parte sua si è manifestato e le perdite oggi sono molto più contenute rispetto al passato, quando il suo stipendio non gli era sufficiente. La smania, tuttavia, è ancora forte e, se contrastato, diventa cattivo.
A parte il gioco, ora che è in pensione, non dimostra il benché minimo interesse per nessun'altra cosa, e quando è in casa trascorre tutto il suo tempo al computer in siti di giochi da tavola online, lamentandosi continuamente e rendendo l'atmosfera familiare pesante. E' una situazione che genera continua angoscia, anche perché, dopo così tanto tempo, le speranze di intravedere una via di uscita si sono di gran lunga affievolite in noi. Credete che mio marito, curato in modo adeguato, possa guarire dalla sua malattia? Che cosa dobbiamo fare noi familiari per aiutarlo, visto che dopo l'esperienza negativa vissuta in clinica è restio a farsi ricoverare di nuovo?
Grazie in anticipo.
[#1]
Psichiatra, Psicoterapeuta
Le rispondo telegraficamente:
Il ricovero non è necessario a meno che suo marito non presenti disturbi del comportamento ingestibili in casa o non dimostri una resistenza alle cure (non sembra da quello che lei scrive).
Sono possibili cure alternative a quelle in atto che di fatto sebbene prevenga le fasi euforiche, non sembra gestire l'aspetto depressivo e i disturbi del controllo.
Un controllo dallo "psicoterapeuta" ogni due tre setti mane è un utile sostegno morale ma tecnicamente inutile ai fini della gestione del disturbo.
Cordiali saluti
Dottor Francesco Bova
Il ricovero non è necessario a meno che suo marito non presenti disturbi del comportamento ingestibili in casa o non dimostri una resistenza alle cure (non sembra da quello che lei scrive).
Sono possibili cure alternative a quelle in atto che di fatto sebbene prevenga le fasi euforiche, non sembra gestire l'aspetto depressivo e i disturbi del controllo.
Un controllo dallo "psicoterapeuta" ogni due tre setti mane è un utile sostegno morale ma tecnicamente inutile ai fini della gestione del disturbo.
Cordiali saluti
Dottor Francesco Bova
[#2]
Psichiatra
Gentile Signora,
basandomi sul suo racconto, ritengo che allo stato attuale Suo marito non stia assumendo un'adeguata terapia. Innanzitutto, se i più tollerati stabilizzanti dell'umore come il Depakin Chrono non esortiscono l'effetto sperato, mi chiedo come mai non sia mai stata presa in considerazione una terapia con sali di litio, a meno che non esistano controindicazioni tipo cardiopatia, tireopatia, ecc.
Inoltre dovrebbe assumere un antipsicotico atipico nelle fasi di subeccitamento maniacale, mentre dovrebbe assumere un antidepressivo SSRI o SRNI insieme ad un basso dosaggio dell'antipsicotico in fase depressiva per evitare un possibile rapido viraggio in senso maniacale.
Ritengo che incontrarsi ogni 2-3 settimane con lo psicoterapeuta non sia di reale utilità.
Cordiali saluti
Dott. Valerio Giannattasio
http://www.luoghidellamente.it
basandomi sul suo racconto, ritengo che allo stato attuale Suo marito non stia assumendo un'adeguata terapia. Innanzitutto, se i più tollerati stabilizzanti dell'umore come il Depakin Chrono non esortiscono l'effetto sperato, mi chiedo come mai non sia mai stata presa in considerazione una terapia con sali di litio, a meno che non esistano controindicazioni tipo cardiopatia, tireopatia, ecc.
Inoltre dovrebbe assumere un antipsicotico atipico nelle fasi di subeccitamento maniacale, mentre dovrebbe assumere un antidepressivo SSRI o SRNI insieme ad un basso dosaggio dell'antipsicotico in fase depressiva per evitare un possibile rapido viraggio in senso maniacale.
Ritengo che incontrarsi ogni 2-3 settimane con lo psicoterapeuta non sia di reale utilità.
Cordiali saluti
Dott. Valerio Giannattasio
http://www.luoghidellamente.it
[#3]
Poichè il trattamento ambulatoriale di questi pazienti è spesso infruttuoso, e poichè esiste ancor più spesso il rifiuto di un periodo di ricovero in centri specializzati (specie dopo una prima esperienza deludente), una valida alternativa può essere rappresentata dal Day-Hospital. Purtroppo non conosco la sua zona, ma proverei presso la Clinica Psichiatrica di Pisa (Prof. Cassano), Ospedale s. Chiara, tel. 050/992543 (provi al mattino presto, perchè la linea è spesso occupata).
Cari Saluti
Silvio Presta
Cari Saluti
Silvio Presta
Silvio Presta
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 14.5k visite dal 12/02/2006.
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