Sopravvivere a un delirio: come?

L'anno scorso sono improvvisamente venuta a conoscenza del fatto che una storia d'amore durata 4 anni, per me straordinariamente importante, oltre che debilitante, in realtà non era mai successa. Come poi mi è stato chiarito, si è trattato di un delirio erotomane. Ora, mi è stato reso noto il perché questo accada, e come, e che è possibile fronteggiare l'eventualità che riaccada con la terapia farmacologica e psicoterapeutica; da un punto di vista - oso dire - "razionale" sono presente al fatto che la mia mente ha deliberato che io dovessi vivere per 4 anni di un amore inesistente. Tuttavia, emotivamente, non riesco a capacitarmene. Non riesco a immaginare come io possa sopravvivere a questa consapevolezza - eppure, evidentemente, ho molta fantasia. Non riesco ad accettare il fatto che proprio quanto aveva dato finalmente un senso alla mia esistenza - qualcuno che mi amasse davvero, qualcuno da amare davvero - fosse solo frutto di un delirio. Ho amato il vuoto, sono stata amata dal vuoto. Non riesco a capacitarmene. Ho smesso di prendere i farmaci e smetterò di fare terapia domani, perché nessuna delle due cose sento che mi sta aiutando in alcun modo a superare o gestire o arginare il dolore. Non conosco nessuno che abbia vissuto un'esperienza simile a cui poter chiedere: come sei riuscito ad accettare il fatto che quanto ti era più caro non è mai esistito? In poche parole vorrei sapere se in base alle vostre esperienze con pazienti schizofrenici o schizoaffettivi esiste una possibilità per guarire da tutto questo che non sia il suicidio. Grazie.
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Dr.ssa Franca Scapellato Psichiatra, Psicoterapeuta 4k 202
"Ho smesso di prendere i farmaci e smetterò di fare terapia domani...": mi sembra una pessima idea, le cure non l'aiutano a non soffrire, ma ad affrontare la realtà.
Per rispondere alla sua domanda, si può guarire se si ha la pazienza di assumere le terapie farmacologiche, che sviluppano la loro efficacia nel lungo periodo (mesi, anni) e quindi devono essere assolutamente continuate, e di seguire un percorso psicoterapico focalizzato sul "qui e ora", su problemi attuali e pratici.
L'altra faccia della medaglia del delirio erotomane è la rabbia, che la può far agire contro se stessa e contro chi la vuole aiutare.

Franca Scapellato

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Utente
Utente
Grazie della risposta, Dott.ssa. La mia esperienza della terapia farmacologica non corrisponde alla sua definizione di essa, o quantomeno non mi è parso di "affrontare la realtà" prendendo i farmaci e dormendo 14-15 ore al giorno, e in quelle rimanenti rimanendo totalmente sconnessa e indifferente a ogni cosa. Non che senza farmaci io non sia quasi totalmente sconnessa e quasi totalmente indifferente a ogni cosa, ma perlomeno mi resta la consapevolezza di esserlo, contrariamente a quando prendevo i farmaci, che hanno determinato il mio dover ricostruire a posteriori il fatto che mi congedavano completamente da me stessa e dal mio senso di lucidità(che talvolta non è molto condivisibile, ma tant'è). In quanto alla psicoterapia, l'ho fatta per molti anni, e non mi pare sia servita a granché. Non mi ha mai fatto sentire aiutata, meno sola o più capita; mi è servita invece, per un periodo, per darmi l'illusione del contrario. Ma non basta. Queste due forme di cura non mi aiutano a stare meglio, ad essere meno alienata e più integrata con la società. Curiosamente, il delirio è cominciato mentre ero già in terapia, e non è servita a fermarlo né ad evitare tutta la degenerazione che ha comportato. In quanto alla rabbia, probabilmente ha ragione. Dovrei essere molto arrabbiata, ma al tempo stesso ne percepisco l'inanità. Inoltre è un sentimento che non ho mai capito bene. Resta il fatto che, sentendomi piuttosto delusa da me stessa, nonché dalla psicoterapia e dalla terapia farmacologica, nelle quali avevo riposto le mie speranze di diventare una persona meno disfunzionale, mi sento a un vicolo cieco(e per questo ho posto questa domanda).
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Dr.ssa Franca Scapellato Psichiatra, Psicoterapeuta 4k 202
Pensare in termini assoluti: bianco, nero, funziona, non funziona, è un errore.
La terapia farmacologica va adattata alla persona, se come effetto collaterale c'è una sonnolenza eccessiva si può ridurre la dose o cambiare farmaco.
La psicoterapia non è una sola e non c'è un solo psicoterapeuta. Se qualcosa non va in terapia prima lo si affronta all'interno della relazione terapeutica, poi, se non c'è possibilità di modificare le cose che non funzionano, si cambia terapeuta o tipo di terapia.
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Utente
Utente
Di nuovo, grazie. Purtroppo ho una mente piuttosto grossolana e non mi riesce di pensare in termini relativi; inoltre faccio molta fatica ad affrontare qualunque genere di cambiamento, specie quando coinvolge relazioni umane. Ad esempio, se cambiassi terapeuta, dovrei stabilire ancora un'altra parvenza di legame, e poi forse un'altra, e forse un'altra ancora, e così il terapeuta con me, con tutto lo sperpero di risorse che implica da ambo le parti. Ora mi ritengo troppo stanca per fingere di fidarmi di qualcuno(non che non mi piacerebbe fidarmi, ma non ci riesco più)e di penare per non dare a intendere l'entità della mia sfiducia nei confronti di ogni cosa. In conclusione: vorrei farmi conoscere da meno persone possibili e ridurre al minimo lo spettro delle mie interazioni; ogni impulso contrario a questo mi esaspera. Del resto forse non mi sono espressa adeguatamente, o forse avrei dovuto pubblicare la domanda nella sezione di psicologia, o addirittura, se ci fosse, di filosofia. Non lo so. Comunque, cerco di spiegare meglio la natura della mia domanda a cui lei, così gentilmente, ha risposto(e lo apprezzo molto). Quello che io sto chiedendo non è una soluzione pratica e concreta a quanto mi è capitato, ma un responso umano. Io ho capito molto bene quello che si ritiene sarebbe bene che io facessi: prendere farmaci, fare terapia, fare sport, mangiare bene, non bere, non fumare, cercare di uscire almeno una volta alla settimana, prendere aria, ecc. ecc. Sarei ipocrita se dicessi che non lo so perfettamente, e sarei ipocrita se dicessi che io per prima sono pienamente disposta a collaborare al mio miglioramento. Perché non posso desiderare di stare 'meglio' se non guarisco prima dall'insensatezza di non volerlo. Quindi il mio primo pensiero, quando mi sveglio, non è "devo tornare a credere nel prendere i farmaci, nel fare terapia, nel fare sport, nel mangiare bene, ecc. ecc.". Perché ogni giorno, quando mi sveglio, non so come spiegare al mio cuore quanto gli è capitato. E lui, allora, non sa spiegare a me una sola ragione per cui qualcosa - qualunque altra cosa - gli debba capitare ancora. Perché l'insensatezza è un veleno. Quindi, con la mia domanda, ho fatto appello - forse ambiziosamente - a chiunque abbia la facoltà, la volontà e la capacità, in stesso/a di trovare senso, e di restituirlo, a ciò che apparentemente non ne ha nessuno.
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Dr.ssa Franca Scapellato Psichiatra, Psicoterapeuta 4k 202
Lei non ha affatto una mente grossolana, anzi ha una capacità di ragionare in termini analitici, però in questo momento sta girando a vuoto.
Aveva creato un bellissimo castello che ora è in frantumi e sta contemplando disperata le macerie ai suoi piedi. Le verrebbe voglia di spazzare via tutto, ed è comprensibile, ma poco utile.
Il lavoro di oggi, e di domani, è cercare i frammenti che possono essere utili e pian piano costruire non un castello, ma una casetta robusta, con qualche difetto come tutte le costruzioni umane, ma che stia in piedi e sia funzionale e magari anche comoda. Non si fa in un giorno e neanche in un mese, ma si può fare.
A volte sovrastimiamo l'utilità delle spiegazioni razionali: vorremmo che per tutti i comportamenti ci fosse una spiegazione logica. Spesso le spiegazioni logiche non ci sono, perché galleggiamo su un enorme iceberg che è l'inconscio.
A volte bisogna fare come Rossella O' Hara, che si diceva "Ci penserò domani. Domani è un altro giorno" e andava avanti.
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Utente
Utente
Bene. In questo momento, non lo nego, riesco a relazionarmi solo al "Domani e poi domani e poi domani" di Macbeth. Ma forse in un altro tempo sarò in grado di credere anch'io nel domani di Rossella O'Hara. Intanto la ringrazio per quello che ha scritto. Davvero. Mi ha dato diversi utili spunti di riflessione. Ad esempio mi chiedo se ero anch'io nel castello, quando è stato distrutto, e al prossimo colpo di vento la polvere in cui siamo stati ridotti sarà spazzata via assieme alla realtà che ci ha vanificati. O se invece un giorno leggerò su qualche giornale, seduta comodamente su una poltrona nella mia casetta robusta, che alla fine, contro ogni aspettativa, mi ero salvata. Chissà. E' vero, le spiegazioni logiche spesso non ci sono o non sembrano esserci, e sarebbe saggio saperlo accettare. Ma a volte arrendersi a questa forma di impotenza è intollerabile, perché le spiegazioni razionali sono l'unica piccola fiammella rimasta a rischiarare se stessi quando l'iceberg si fa troppo freddo, troppo ostile e troppo buio; non credo servano ad altro che a obnubilare e combattere il terrore. Grazie ancora.
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