Diagnosi sbagliata o malessere inventato?

Gentili dottori,
non sono capace di comprendere se sia di pura e semplice pigrizia, la mia, non lo capisco come sia possibile disperarsi il giorno prima e rinnegare tutto quello dopo. Non me lo spiego. Nell'arco di una stessa giornata io sono quattro persone diverse o anche più. Quello che più mi turba è che la mia versione razionale e ottimista manda tutto il malessere e la sofferenza nell'oblio, io la scordo, la sotterro, la sofferenza che però quando mi parte è forte, veramente forte, per sdrammatizzare mi scuso e dico: chiedo scusa, mi è morto il gatto... ma io non ho il gatto. Il giorno dopo tutto mi passa e mi dico che no, non è vero niente, è tutta una farsa inventata per chissà quale ragione. Che no, non è vero, io non ho niente. Circa tre mesi fa mi è stata fatta una diagnosi di disturbo di personalità borderline, che a essere onesta non vi volevo comunicare per non influenzare i vostri pareri, dato che gli specialisti dal vivo li ho incontrati più volte e uno concluse: è lo stress, un altro: sei troppo saggia e per questo soffri. Lo stesso medico del "sei saggia" l'ho rivisto al pronto soccorso a seguito di un ricovero. Gli ho comunicato io la diagnosi di disturbo borderline, ma mi rimane in testa quest'idea di averlo influenzato. Che se forse non mi fossi "presentata" la diagnosi sarebbe stata un'altra. Vi scrivo perché mi sto confondendo. Non capisco se DECIDO di star male e poi bene e poi bene e poi malissimo e poi ancora bene, non capisco se lo scelgo con consapevolezza di non studiare. Lamento: non riesco a studiare, non so stare concentrata. E nemmeno adesso mi è semplice scrivere, qui. Non so se "non voglio fare niente" o se "ho paura di fare qualcosa", o se c'è realmente qualche meccanismo che non funziona. Questo è un momento di quelli in cui penso: no, era una farsa, ho inventato tutto sto meglio di tutti. Ma non posso non pensare agli attimi di altissimo dolore e crisi, non lo so spiegare bene. Forse sono pigra e basta. Ma sono sempre distratta, all'università non rendo e nella vita non rendo. Vorrei essere più tecnica nel descrivervi il "malessere", più sensata e più concreta. Vivo costantemente tra il tentativo orgoglioso di non far trapelare niente e il tentativo disperato di ricevere aiuto. Aiutami a far cosa? Non lo so. "Mi è morto il gatto ma io il gatto non ce l'ho". (breve parentesi indispensabile: padre troppo spesso arrabbiato ma autorevole e stimato, madre dagli occhi incontinenti e dal carattere fragile fragile. Divorziati, neanche a dirlo). So che dovrei dire di più. Sono stanca, sono stanca, non capisco se è tutto frutto di immaginazione e fantasia. E mi rimane il dubbio che io sia pigra. La mia dottoressa lei cerca di dirmi che sto male. E' finita che io dico sto bene e lei: vedi che non stai bene, Irene. E aiutatemi a esprimere meglio il concetto centrale di questa richiesta di aiuto, perché io ho l'impressione che non sia chiaro, mi sento una neonata che piange a caso sperando che la mamma capisca. Irene .
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 42.5k 1k
la caratteristica dei disturbi di personalità è proprio quella che descrive con improvvisi sintomi in un momento e la totale scomparsa degli stessi in un altro.

E' quindi probabile che la sua diagnosi possa essere corretta e dovrebbe seguire le cure che le vengono indicate per evitare che questi passaggi di umore e di sintomi possano susseguirsi continuamente.

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Dr. Manlio Converti Psichiatra, Psicoterapeuta 799 17
Conosco diverse persone come lei. Astratte ed ipersensibili (non è una diagnosi) capaci di scrivere dei pezzi di letteratura molto interessanti, che scavano dentro il proprio animo, ma in pratica ci guardano dentro tutti noi dentro quell'universo astratto che ci portiamo dietro la maschera di cortesia con cui interagiamo con gli altri.
Esistiamo su vari piani e sotto vari punti di vista, alternando amore ed odio, felicità e tristezza in modi spesso anche incongrui. Si chiamano emozioni, come quelle che si vivono a leggere le sue parole.

La maschera di cui lei non parla proprio e su cui non si concentra a quanto pare è fragile, il contenuto emozionale non è sotto controllo, e d'altra parte non potrebbe esserlo, per sua natura, ma ancora un pezzo sfugge, quello del senso pratico dell'esistenza.

Le emozioni servono per relazionare con gli altri, non per relazionare con noi stessi e con le astrazioni dentro di noi. Questo lavoro con noi stessi esiste, ma è sempre funzionale alla preparazione del lavoro relazionale con gli altri. Gli altri sono i parenti, gli amici, i colleghi, ma sono anche i compiti funzionali nel mondo, il lavoro, lo studio, gli hobbies, lo sport come le vacanze.

Nel descrivere la vita di qualcuno si descrivono le sue azioni e le emozioni espresse in relazione agli altri, non i suoi stati emotivi interiori, fino a Dostoevskij Proust e Joyce...che usano il filtro interiore ma per descrivere comunque il mondo esterno e le interazioni con gli altri.

Lei parla solo di sè stessa ed è chiusa solo dentro sè stessa, (in questa descrizione parziale), in relazione solo con sè stessa, mentre gli altri sono solo contorni al suo sè stesso onnipresente.

Una volta le avrebbero consigliato Modestia, Pazienza e Umiltà.
Noi psichiatri tendiamo ad offrire psicofarmaci e psicoterapia.
Io la invito anche a vivere nel mondo e con gli altri (per il mondo e per gli altri)...

Dr. Manlio Converti

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Attivo dal 2015 al 2015
Ex utente
ma se parlo solo di me stessa è perché Non sono i fattori esterni a stravolgermi l'umore, i pensieri, le opinioni, anche la faccia. Perché cosa posso dire in relazione all'università? sono iscritta a lingue ma di martedì le amo alla follia e penso che sarò una grande linguista e di mercoledì mi metto in crisi e quasi compilo i moduli per il ritiro. E sulla collega che cosa posso dire... che le voglio tanto bene ma ho paura, quindi le voglio bene con riserva, perché "si accorgerà di come sono veramente e discreta si allontanerà". In realtà io mi piaccio anche, ma vorrei mai avere a che fare con me. Tengo tanto a lei, lei è l'unico scoglio che ho all'università, ma non voglio arrivare a dipendere da lei perchè a me finisce sempre così, mi innamoro delle amiche, mi innamoravo delle professoresse, mi innamoro di tutte le persone ferme e stabili e decise. Come faccio a fermarmi, come faccio a trovare una coerenza, come faccio a vivere se ho troppi stili di pensiero tutti troppo diversi tra loro. Come li concilio insieme, come fanno le persone a volermi bene, chi vogliono bene? Quale? Non so come spiegarlo, non so come trasmetterlo, ma mi sento tormentata e una volta quando avevo deciso di essere una scrittrice incompresa la cosa mi faceva anche piacere, ora no, adesso ho altri obiettivi, vorrei fermarmi (o che mi si fermasse), per esempio
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Attivo dal 2015 al 2015
Ex utente
E sia il mondo, che gli altri, che i parenti, gli amici, i colleghi, e il lavoro, lo studio, e gli hobbies, e lo studio mi spaventano che è una cosa vergognosa, mi terrorizzano, ma veramente... a cinque anni ero molto più coraggiosa e ragionevole
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