Può essere dissociazione?
Pregiatissimi dottori,
ritorno a scrivervi dopo qualche mese in una situazione assai più complicata di quella del mio ultimo intervento.
In estrema sintesi, nel mese di settembre, l'ultimo psichiatra consultato, lo stesso che tuttora mi segue, pur non avendo dati certi per una diagnosi sicura, sulla base dei miei racconti e di una autodiagnosi, mi ha inserito in un quadro di di disturbo bipolare e proposto una farmacoterapia con depakin chrono, terapia che- dopo un mese- ho rifiutato. D'accordo con lo psichiatra/psicoterapeuta abbiamo deciso di sospendere il farmaco e di aspettare che si manifestasse apertamente qualche sintomo indicante il disturbo bipolare prima di iniziare una farmacoterapia. Abbiamo comunque continuato i colloqui settimanali. Da fine novembre in maniera molto graduale la mia condizione di benessere ha iniziato a vacillare. A gennaio ho accettato una proposta lavorativa in una regione diversa, consapevole che la nuova situazione sarebbe stata molto difficile, visto che già una prima volta lo stesso lavoro, per il quale mi sento totalmente inadeguata, mi aveva mandato in tilt. Nell'arco di un mese la situazione è peggiorata notevolmente: a febbraio sono tornata a casa per incontrare il mio curante chi mi ha trovato in uno stato di angoscia (definita qualche giorno dopo angoscia psicotica) , ma a suo dire non depresso, mi ha prescritto seroquel e somministrato il test di Rorschach. Due giorni dopo è successo ciò che non sarebbe mai dovuto succedere...un "salto" dal balcone del primo piano di casa mia. Da questo momento il mio medico, ha iniziato a parlare di una "marginalità" che il test avrebbe messo in luce, di episodi psicotici e di momenti di dissociazione. C'è un episodio che io ho raccontato durante quell'incontro che avrebbe fatto nascere in lui il sospetto di momenti di dissociazione. Praticamente durante una lezione, io- totalmente nel pallone- ho detto ai ragazzi che a Siracusa si trova la valle dei templi. Il ragionamento del mio medico è il seguente: Lei sa perfettamente che a Siracusa non si trova la Valle dei Templi, sa perfettamente che invece si trova ad Agrigento, quindi per un momento lei ha perso il senso di realtà. Al pari di quest'episodio, sebbene con conseguenze ben più gravi, si porrebbe il mio salto. A me davvero sembra che le due situazioni non siano minimamente accostabili e l'errore Siracusa/Valle dei Templi mi sembra piuttosto simile alle sillabe che uno studente sott'esame balbetta all'esaminatore quando va nel pallone. Questo "andare nel pallone" io non riesco proprio a vederlo come sintomo psicotico, soprattutto perché è un'esperienza assai comune che hanno vissuto moltissime persone, persone "sane" che mai hanno frequentato studi psichiatrici. Dopo questa lunghissima premessa, la mia domanda è: può l'episodio in questione rappresentare un momento di dissociazione?
Mi scuso per essere stata così prolissa, e ringrazio sin d'ora quanti avranno la pazienza di leggermi e di rispondermi.
ritorno a scrivervi dopo qualche mese in una situazione assai più complicata di quella del mio ultimo intervento.
In estrema sintesi, nel mese di settembre, l'ultimo psichiatra consultato, lo stesso che tuttora mi segue, pur non avendo dati certi per una diagnosi sicura, sulla base dei miei racconti e di una autodiagnosi, mi ha inserito in un quadro di di disturbo bipolare e proposto una farmacoterapia con depakin chrono, terapia che- dopo un mese- ho rifiutato. D'accordo con lo psichiatra/psicoterapeuta abbiamo deciso di sospendere il farmaco e di aspettare che si manifestasse apertamente qualche sintomo indicante il disturbo bipolare prima di iniziare una farmacoterapia. Abbiamo comunque continuato i colloqui settimanali. Da fine novembre in maniera molto graduale la mia condizione di benessere ha iniziato a vacillare. A gennaio ho accettato una proposta lavorativa in una regione diversa, consapevole che la nuova situazione sarebbe stata molto difficile, visto che già una prima volta lo stesso lavoro, per il quale mi sento totalmente inadeguata, mi aveva mandato in tilt. Nell'arco di un mese la situazione è peggiorata notevolmente: a febbraio sono tornata a casa per incontrare il mio curante chi mi ha trovato in uno stato di angoscia (definita qualche giorno dopo angoscia psicotica) , ma a suo dire non depresso, mi ha prescritto seroquel e somministrato il test di Rorschach. Due giorni dopo è successo ciò che non sarebbe mai dovuto succedere...un "salto" dal balcone del primo piano di casa mia. Da questo momento il mio medico, ha iniziato a parlare di una "marginalità" che il test avrebbe messo in luce, di episodi psicotici e di momenti di dissociazione. C'è un episodio che io ho raccontato durante quell'incontro che avrebbe fatto nascere in lui il sospetto di momenti di dissociazione. Praticamente durante una lezione, io- totalmente nel pallone- ho detto ai ragazzi che a Siracusa si trova la valle dei templi. Il ragionamento del mio medico è il seguente: Lei sa perfettamente che a Siracusa non si trova la Valle dei Templi, sa perfettamente che invece si trova ad Agrigento, quindi per un momento lei ha perso il senso di realtà. Al pari di quest'episodio, sebbene con conseguenze ben più gravi, si porrebbe il mio salto. A me davvero sembra che le due situazioni non siano minimamente accostabili e l'errore Siracusa/Valle dei Templi mi sembra piuttosto simile alle sillabe che uno studente sott'esame balbetta all'esaminatore quando va nel pallone. Questo "andare nel pallone" io non riesco proprio a vederlo come sintomo psicotico, soprattutto perché è un'esperienza assai comune che hanno vissuto moltissime persone, persone "sane" che mai hanno frequentato studi psichiatrici. Dopo questa lunghissima premessa, la mia domanda è: può l'episodio in questione rappresentare un momento di dissociazione?
Mi scuso per essere stata così prolissa, e ringrazio sin d'ora quanti avranno la pazienza di leggermi e di rispondermi.
[#1]
Gentile utente, la disgnosi di fenomeni psicotici o di disturbo psicotico non può essere fatta solo in base ad elementi dell'anamnesi recente (gli episodi che riferisce) e in base al test. Importante è l'esame psichico diretta della persona.
Comunque, l'alterazione di contatto con la realtà a livello della memoria o a livello della precezione del contesto possono essere considerati i sintomi "dissociativi" non necessariamente nel senso psicotico.
Non meno preoccupante e non da trascurare, secondo me, è il problema diagnostico dello stato depressivo, il quale non escluderei così in fretta. soprattutto con la Sua storia. Lo stato depressivo di per sé non è un disturbo definito, ma può comparire in più disturbi diversi e non si esclude a vicenda con fenomeni "dissociativi" (che siano di natura psicotica o no). Tuttavia, a prescindere da ciò, lo stato depressivo costituisce un fattore di rischio di ulteriori salti dal balcone.
Lei riesce a spiegarsi le motivazioni di questo salto dal balcone ?
Comunque, l'alterazione di contatto con la realtà a livello della memoria o a livello della precezione del contesto possono essere considerati i sintomi "dissociativi" non necessariamente nel senso psicotico.
Non meno preoccupante e non da trascurare, secondo me, è il problema diagnostico dello stato depressivo, il quale non escluderei così in fretta. soprattutto con la Sua storia. Lo stato depressivo di per sé non è un disturbo definito, ma può comparire in più disturbi diversi e non si esclude a vicenda con fenomeni "dissociativi" (che siano di natura psicotica o no). Tuttavia, a prescindere da ciò, lo stato depressivo costituisce un fattore di rischio di ulteriori salti dal balcone.
Lei riesce a spiegarsi le motivazioni di questo salto dal balcone ?
Dr. Alex Aleksey Gukov
[#2]
Utente
Gentilissimo dott. Gukov,
grazie intanto per la celere risposta.
Del "volo" io ricordo con molta precisione gli istanti che lo hanno preceduto.Nulla di premeditato, assolutamente. Fino a due giorni prima ironizzavo anche con lo psicoterapeuta sui gesti estremi. E dicevo..."non mai, non avrei proprio il coraggio...non sarei io."
Poi quella domenica mattina, vedendo la ringhiera, ricordo una fortissima tentazione, quasi una sfida e il pensiero "perché no? perché no? posso farlo, posso farlo" e credo di ricordare anche qualche secondo in cui capivo che sarebbe stato sufficiente scavalcare...una cosa facile, tutto sommato, e poi un momento di "coraggio", una "forza" estrema. E ancora l'immagine del foglietto illustrativo del Seroquel, che avevo assunto per la prima volta sabato sera, che dedicava un lungo paragrafo al rischio di aumento di ideazioni suicidarie.Durante il tragitto in ambulanza ho sempre pensato che fosse stata "colpa" del farmaco. E per i giorni successivi quest'idea non mi ha abbandonata.
Poi rivedendo l'episodio prima con la psicologa dell'ospedale e poi con il mio psichiatra, ho iniziato ad avere una visione diversa e ho capito che in realtà l'idea che fosse colpa del farmaco era solo una maniera di deresponsabilizzarmi, anche se sono sicura che l'autosuggestione ha giocato un ruolo importante.
Ciò che davvero è successo invece è quanto segue: era domenica mattina, alle 16 avrei avuto il volo per tornare nel paese in cui lavoravo. Io non volevo tornare: ogni giorno al lavoro per me rappresentava la conferma della mia inadeguatezza. Uscivo da scuola in lacrime, tornavo a casa e da sola piangevo.Domenica mattina stavo lavorando a degli schemi che non sapevo assolutamente costruire. Piangevo in cucina con mia madre dicendo che non volevo partire e lei provava a convincermi che affrontare il problema era l'unica soluzione. Anche lo psichiatra era dello stesso parere, non si era neanche fatto pagare l'ultima seduta,io avrei dovuto pagare partendo. Ma io, domenica mattina non volevo partire. Pensavo che forse avrei potuto non prendere il volo, lo avevo già fatto altre volte, in circostanze ben diverse e con altro spirito. Ero avvilita. Avevo finito di fare il check-in on line, in lacrime e continuavo a piangere. Mia madre mi aveva invitato ad uscire in balcone,per fumare una sigaretta, distrarmi e prendere un po' d'aria. Io ho interpretato quell'invito come un "Basta, non ti sopporto più. Smettila di lagnarti per una situazione normale in cui siamo passati tutti".In balcone piangevo. Mi sono seduta sul bordo di una veranda. Per qualche secondo ho pensato che sarebbe stato facile lasciarmi andare.Ma subito un altro pensiero: "ma che sto pensando??? sono idiota?!" .Sono rientrata in cucina, sempre piangendo. Ho acceso un'altra sigaretta e sono riuscita. Mi rivedo appoggiata alla porta-finestra, a 3 metri da quella della cucina, osservare la ringhiera e piangere. E' l'immagine che mi ritorna più spesso in mente e non riesco a non piangere quando ci penso.E poi, la tentazione e tutto il resto.
Credo sia stata soprattutto l'unica soluzione trovata per non partire. Un gesto eclatante. Spiazzante.Ma totalmente inatteso. Io ho sempre messo in atto strategie di evitamento, e ho scelto spesso modalità assai plateali.Ho interrotto un contratto importante dichiarando al mio datore di lavoro un "disturbo bipolare" autodiagnosticato. Forse quel salto è stato il più eclatante modo di evitare una situazione difficile, senza incorrere nel "rimprovero" degli altri. Il dolore sarebbe stato più forte. Ma tutto questo io non l'ho pensato prima di scavalcare.
Io ho solo provato una forte tentazione. E per un momento ho perso la lucidità.
Ora ho paura. Leggo sempre che ci prova una volta, in una grossa percentuale, ci prova di nuovo. Io non voglio saltare di nuovo...non volevo farlo neanche domenica. Ma ho paura di riperdere un'altra volta la lucidità. E troppo spesso, se vedo una ringhiera, mi rivedo mentre scavalco. E ho ancora paura.
Vi chiedo scusa per lo sfogo...forse è il posto sbagliato
grazie intanto per la celere risposta.
Del "volo" io ricordo con molta precisione gli istanti che lo hanno preceduto.Nulla di premeditato, assolutamente. Fino a due giorni prima ironizzavo anche con lo psicoterapeuta sui gesti estremi. E dicevo..."non mai, non avrei proprio il coraggio...non sarei io."
Poi quella domenica mattina, vedendo la ringhiera, ricordo una fortissima tentazione, quasi una sfida e il pensiero "perché no? perché no? posso farlo, posso farlo" e credo di ricordare anche qualche secondo in cui capivo che sarebbe stato sufficiente scavalcare...una cosa facile, tutto sommato, e poi un momento di "coraggio", una "forza" estrema. E ancora l'immagine del foglietto illustrativo del Seroquel, che avevo assunto per la prima volta sabato sera, che dedicava un lungo paragrafo al rischio di aumento di ideazioni suicidarie.Durante il tragitto in ambulanza ho sempre pensato che fosse stata "colpa" del farmaco. E per i giorni successivi quest'idea non mi ha abbandonata.
Poi rivedendo l'episodio prima con la psicologa dell'ospedale e poi con il mio psichiatra, ho iniziato ad avere una visione diversa e ho capito che in realtà l'idea che fosse colpa del farmaco era solo una maniera di deresponsabilizzarmi, anche se sono sicura che l'autosuggestione ha giocato un ruolo importante.
Ciò che davvero è successo invece è quanto segue: era domenica mattina, alle 16 avrei avuto il volo per tornare nel paese in cui lavoravo. Io non volevo tornare: ogni giorno al lavoro per me rappresentava la conferma della mia inadeguatezza. Uscivo da scuola in lacrime, tornavo a casa e da sola piangevo.Domenica mattina stavo lavorando a degli schemi che non sapevo assolutamente costruire. Piangevo in cucina con mia madre dicendo che non volevo partire e lei provava a convincermi che affrontare il problema era l'unica soluzione. Anche lo psichiatra era dello stesso parere, non si era neanche fatto pagare l'ultima seduta,io avrei dovuto pagare partendo. Ma io, domenica mattina non volevo partire. Pensavo che forse avrei potuto non prendere il volo, lo avevo già fatto altre volte, in circostanze ben diverse e con altro spirito. Ero avvilita. Avevo finito di fare il check-in on line, in lacrime e continuavo a piangere. Mia madre mi aveva invitato ad uscire in balcone,per fumare una sigaretta, distrarmi e prendere un po' d'aria. Io ho interpretato quell'invito come un "Basta, non ti sopporto più. Smettila di lagnarti per una situazione normale in cui siamo passati tutti".In balcone piangevo. Mi sono seduta sul bordo di una veranda. Per qualche secondo ho pensato che sarebbe stato facile lasciarmi andare.Ma subito un altro pensiero: "ma che sto pensando??? sono idiota?!" .Sono rientrata in cucina, sempre piangendo. Ho acceso un'altra sigaretta e sono riuscita. Mi rivedo appoggiata alla porta-finestra, a 3 metri da quella della cucina, osservare la ringhiera e piangere. E' l'immagine che mi ritorna più spesso in mente e non riesco a non piangere quando ci penso.E poi, la tentazione e tutto il resto.
Credo sia stata soprattutto l'unica soluzione trovata per non partire. Un gesto eclatante. Spiazzante.Ma totalmente inatteso. Io ho sempre messo in atto strategie di evitamento, e ho scelto spesso modalità assai plateali.Ho interrotto un contratto importante dichiarando al mio datore di lavoro un "disturbo bipolare" autodiagnosticato. Forse quel salto è stato il più eclatante modo di evitare una situazione difficile, senza incorrere nel "rimprovero" degli altri. Il dolore sarebbe stato più forte. Ma tutto questo io non l'ho pensato prima di scavalcare.
Io ho solo provato una forte tentazione. E per un momento ho perso la lucidità.
Ora ho paura. Leggo sempre che ci prova una volta, in una grossa percentuale, ci prova di nuovo. Io non voglio saltare di nuovo...non volevo farlo neanche domenica. Ma ho paura di riperdere un'altra volta la lucidità. E troppo spesso, se vedo una ringhiera, mi rivedo mentre scavalco. E ho ancora paura.
Vi chiedo scusa per lo sfogo...forse è il posto sbagliato
[#3]
Non è un posto sbagliato. Altrimenti, come una persona può spiegarsi... Sono stato io stesso a chiederLe di spiegare le motivazioni del Suo tentativo di suicidio.
Dalle Sue spiegazioni risulta che,
sebbene lo reputa come una cosa "non da Lei" a livello di realizzazione e sebbene, come una motivazione più profonda, poteva starci la voglia di evitare le difficoltà e l'insofferenza di fronte al timore del rimprovero,
queste sfumature non lo fanno diventare qualcos'altro che un tentativo di suicidio.
C'è anche la Sua ambivalenza (sia nei confronti della decisione di buttarsi dal balcone, sia nelle altre decisioni), ma questa rende il quadro meno grave solo apparentemente. Gli stati depressivi che sono imbricati con le problematiche di carattere possono essere anzi più difficili da curare, perché non dipendono solo da "episodio" di depressione, ma dalla problematica caratterologica e relazionale sottostante. C'è rischio della cronicizzazione della condotta non necessariamente suicida ma di autolesionismo.
I fenomeni "dissociativi" potrebbero essere indicativi proprio di una personalità problematica, ambivalente.
Non bisogna sottostimare né il problema della depressione, né quella della personalità e della situazione relazionale e ambientale. Penso che dal Test di Rorschach che avete fatto si può ricavare le conoscenze di Lei più approfondite e che possono essere d'aiuto nella psicoterapia.
Le consiglio di cercare di parlare con il Suo specialista di questo nostro consulto.
Dalle Sue spiegazioni risulta che,
sebbene lo reputa come una cosa "non da Lei" a livello di realizzazione e sebbene, come una motivazione più profonda, poteva starci la voglia di evitare le difficoltà e l'insofferenza di fronte al timore del rimprovero,
queste sfumature non lo fanno diventare qualcos'altro che un tentativo di suicidio.
C'è anche la Sua ambivalenza (sia nei confronti della decisione di buttarsi dal balcone, sia nelle altre decisioni), ma questa rende il quadro meno grave solo apparentemente. Gli stati depressivi che sono imbricati con le problematiche di carattere possono essere anzi più difficili da curare, perché non dipendono solo da "episodio" di depressione, ma dalla problematica caratterologica e relazionale sottostante. C'è rischio della cronicizzazione della condotta non necessariamente suicida ma di autolesionismo.
I fenomeni "dissociativi" potrebbero essere indicativi proprio di una personalità problematica, ambivalente.
Non bisogna sottostimare né il problema della depressione, né quella della personalità e della situazione relazionale e ambientale. Penso che dal Test di Rorschach che avete fatto si può ricavare le conoscenze di Lei più approfondite e che possono essere d'aiuto nella psicoterapia.
Le consiglio di cercare di parlare con il Suo specialista di questo nostro consulto.
[#4]
Utente
Gentilissimo Dott. Gikov,
Grazie ancora anzitutto del tempo che mi ha dedicato.
E' parecchio impattante leggere così a bruciapelo "tentativo di suicidio"; questa è una delle poche volte in cui preferirei non dare un nome alle cose.
Il farmaco sta lavorando : l'"umorometro" sale, io inizio ad avere un atteggiamento leggermente più attivo nei confronti di ciò che mi circonda e con molta lentezza provo a tornare alla vita di sempre. E più ritorno alla vita, più questo TENTATIVO DI SUICIDIO mi sembra totalmente fuori luogo: la frase che dico più spesso è "non c'entrava proprio niente": tra le tante anomalie della mia vita, questa proprio non c'entrava.
Martedì prossimo parlerò senz'altro al mio psichiatra di questo consulto.
Intanto mi chiedo se dietro le palore "personalità problematica, ambivalente", possa celarsi un disturbo psichiatrico ben definito o se questa "ambivalenza" possa rimanere piuttosto un tratto caratteriale, appunto.
E non Le nascondo che mi spaventa e mi preoccupa non poco l'idea del "rischio della cronicizzazione della condotta non necessariamente suicida ma di autolesionismo".
Infine,
Ancora grazie.
Grazie ancora anzitutto del tempo che mi ha dedicato.
E' parecchio impattante leggere così a bruciapelo "tentativo di suicidio"; questa è una delle poche volte in cui preferirei non dare un nome alle cose.
Il farmaco sta lavorando : l'"umorometro" sale, io inizio ad avere un atteggiamento leggermente più attivo nei confronti di ciò che mi circonda e con molta lentezza provo a tornare alla vita di sempre. E più ritorno alla vita, più questo TENTATIVO DI SUICIDIO mi sembra totalmente fuori luogo: la frase che dico più spesso è "non c'entrava proprio niente": tra le tante anomalie della mia vita, questa proprio non c'entrava.
Martedì prossimo parlerò senz'altro al mio psichiatra di questo consulto.
Intanto mi chiedo se dietro le palore "personalità problematica, ambivalente", possa celarsi un disturbo psichiatrico ben definito o se questa "ambivalenza" possa rimanere piuttosto un tratto caratteriale, appunto.
E non Le nascondo che mi spaventa e mi preoccupa non poco l'idea del "rischio della cronicizzazione della condotta non necessariamente suicida ma di autolesionismo".
Infine,
Ancora grazie.
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 3.1k visite dal 03/04/2014.
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